V. inadempimento, responsabilità dell’obbligazione; mora, responsabilità del debitore; clausola, responsabilità di esonero da responsabilità ; ausiliari, responsabilità per fatto degli responsabilità; interessi, responsabilità moratori; danno, responsabilità ingiusto; fatti illeciti.
responsabilità aquiliana: v. responsabilità extracontrattuale.
assicurazione della responsabilità civile: v. assicurazione, responsabilità della responsabilità civile.
responsabilità civile: è la responsabilità per danni conseguente ad un illecito civile (v. illecito, responsabilità contrattuale; illecito, responsabilità extracontrattuale): consiste nell’obbligazione del risarcimento dei danni cagionati dall’inadempimento (v.) o dal fatto illecito (v. fatti illeciti).
responsabilità civile del notaio: v. notaio, responsabilità del responsabilità.
clausole di esonero da responsabilità: v. clausola, responsabilità di esonero da responsabilità .
clausole di limitazione della responsabilità: v. clausola, responsabilità di esonero da responsabilità .
concorso di responsabilità: v. concorso, responsabilità di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
conferimento della responsabilità illimitata: è il caso in cui le parti di una società semplice (v.) esercitano in comune un’attività economica, assumendo responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sorte dall’esercizio dell’attività , senza alcun iniziale conferimento di beni. Si parla, in tal caso, di responsabilità responsabilità. In realtà, in questo caso, frequente nelle c.d. società di fatto (v.) i soci assumono il reciproco impegno di prestare, in parti uguali, tutto quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale (v.) (art. 2253, comma 2o, c.c.). Pertanto, il socio non è obbligato solo nei confronti dei creditori sociali, ma è anche obbligato, nei confronti di altri soci, a versare le somme necessarie per il compimento delle singole operazioni sociali.
responsabilità contrattuale: il debitore inadempiente è tenuto, a norma dell’art. 1218 c.c., al risarcimento del danno cagionato al creditore con l’inadempimento (v.) o il ritardo (v. mora, responsabilità del debitore). Ev la cosiddetta responsabilità responsabilità, così distinta dalla responsabilità da fatto illecito (art. 2043 c.c.), cui si suole dare il nome di responsabilità extracontrattuale (v.). Sono espressioni convenzionali, non del tutto appropriate: l’art. 1218 c.c., collocato nel titolo sulle obbligazioni in generale, fa riferimento all’inadempimento di qualsiasi obbligazione, e non solo delle obbligazioni nascenti da contratto, anche se è , di fatto, destinato a trovare prevalentemente applicazione a queste ultime. Di più : l’art. 1218 e l’art. 2043 c.c., cui si suole guardare come alla fonte della responsabilità extracontrattuale, operano su piani diversi, giacche´ il secondo attiene a una specifica fonte generatrice di obbligazione (v. fonti, responsabilità delle obbligazioni), quale il fatto illecito (v. fatti illeciti), e si colloca sul medesimo piano del contratto, anch’esso fonte di obbligazione (art. 1173 c.c.), come ad esempio l’obbligazione di pagare il prezzo di vendita; mentre l’art. 1218 c.c. riguarda l’inadempimento dell’obbligazione, quale che sia il fatto o l’atto che l’ha prodotta, incluso anche l’inadempimento di obbligazione nascente da fatto illecito. Nulla vieta di perseverare nell’abitudine linguistica che distingue, nei termini predetti, fra responsabilità responsabilità e responsabilità extracontrattuale, purche´ si abbia coscienza del significato solo convenzionale di questa locuzione. Altra distinzione convenzionale è quella che contrappone, entro la più generale categoria dell’illecito o del torto civile, fra illecito o torto contrattuale, costituito dalla violazione di un impegno contrattuale, e illecito o torto extracontrattuale, identificato nel fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c.. Le due specie di illecito o torto civile vengono a loro volta contrapposte all’illecito penale (per il quale è comminata una pena) ed all’illecito amministrativo (per il quale è comminata una sanzione amministrativa). Entro questo ordine di classificazioni il nesso che fa accostare fra loro la responsabilità responsabilità e la responsabilità extracontrattuale è nel fatto che entrambe conseguono ad un comportamento antigiuridico, che nel primo caso consiste nella violazione di una preesistente obbligazione e nel secondo caso si concreta nel fatto illecito definito dall’art. 2043 c.c.. Il debitore inadempiente deve al creditore una somma di danaro che sia equivalente monetario dei danni che l’inadempimento o il ritardo nella esecuzione della prestazione gli hanno cagionato: una somma corrispondente cioè alla differenza fra il valore che il patrimonio del creditore avrebbe se l’obbligazione fosse stata adempiuta ed il suo valore attuale. Il danno da risarcire è formato da due componenti (art. 1223 c.c.). V. anche inadempimento, responsabilità dell’obbligazione; clausola, responsabilità di esonero da responsabilità ; interessi, responsabilità moratori; risarcimento del danno, responsabilità per inadempimento.
responsabilità contrattuale comunitaria: viene a sussistere, ex art. 181, Trattato Cee, in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dalla Comunità o per conto di questa. Tale norma comporta che la Corte debba condurre un’indagine di diritto internazionale privato al fine di individuare la legge applicabile; in ogni caso, la norma di conflitto, idonea ad individuare la legge applicabile al contratto in causa, non può essere che una norma formulata dall’organo giurisdizionale sulla base dei principi generali di diritto internazionale privato comuni agli Stati membri o quanto meno agli Stati membri cui sia collegato il contratto in questione. Al riguardo, la Convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980 ha provveduto ad individuare una serie di norme di conflitto.
responsabilità da fatto illecito: v. responsabilità extracontrattuale.
debito e responsabilità: v. debito, responsabilità e responsabilità .
responsabilità degli amministratori di società controllante: v. società , responsabilità controllante.
responsabilità degli amministratori di società controllata: v. società , responsabilità controllante.
responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali: v. amministratori, responsabilità degli responsabilità verso i creditori sociali.
responsabilità degli amministratori verso i singoli soci: v. amministratori, responsabilità degli responsabilità verso i singoli soci.
responsabilità degli amministratori verso i terzi: v. amministratori, responsabilità degli responsabilità verso i terzi.
responsabilità degli amministratori verso la società: v. amministratori, responsabilità degli responsabilità verso la società.
responsabilità degli amministratori verso l’associazione: v. associazione, responsabilità degli amministratori verso l’responsabilità.
responsabilità dei commessi: v. responsabilità dei padroni e dei committenti.
responsabilità dei committenti: v. responsabilità dei padroni e dei committenti.
responsabilità dei domestici: v. responsabilità dei padroni e dei committenti.
responsabilità dei genitori: v. responsabilità dei sorveglianti di incapaci, dei genitori, dei tutori, dei precettori.
responsabilità dei magistrati: la responsabilità civile dei magistrati per i danni causati nell’espletamento delle funzioni è disciplinata da una legge speciale (l. n. 117 del 1988), che si diversifica, sotto molti aspetti, dalla normativa ordinaria stabilita per gli impiegati civili dello Stato (t.u. n. 3 del 1957), nonche´ dai principi sulla responsabilità extracontrattuale enunciati dall’art. 2043 c.c., entrambi applicabili soltanto in via residuale. Sono previsti due distinti procedimenti giudiziari: nel primo si accerta il danno subito dal cittadino per l’illecito esercizio della funzione giudiziaria (giudizio di responsabilità civile ex art. 4 l. cit.); nel secondo, l’amministrazione, ove risulti soccombente, si rivale verso il magistrato delle somme erogate al cittadino, in conseguenza del suo operato (giudizio di rivalsa ex art. 7 l. cit.). I magistrati, in deroga al principio fissato dall’art. 28 Cost., non possono essere chiamati direttamente in giudizio, a meno che il loro comportamento non dia luogo ad una figura di reato. Il cittadino danneggiato, con l’eccezione ora indicata, deve citare in giudizio presso il tribunale del luogo ove ha sede la Corte d’appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l’ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto, la Presidenza del Consiglio dei ministri, essendo l’amministrazione statale responsabile in via esclusiva della condotta dolosa o gravemente colposa del magistrato. Il giudizio di responsabilità civile concerne sia i danni patrimoniali che quelli non patrimoniali; questi ultimi costituiscono fonte di risarcimento per l’illegittima privazione della libertà personale, anche se non derivino da fattispecie penalmente rilevanti (deroga al 2059 c.c.). La sentenza non fa stato nel successivo ed obbligatorio giudizio di rivalsa, a meno che il magistrato non sia volontariamente intervenuto in giudizio. Si deve precisare che la responsabilità dell’amministrazione statale sussiste solo nel caso di dolo o colpa grave del magistrato; ciò per non aggravare la posizione dei giudici, i quali potrebbero essere condizionati nella loro azione se dovessero rispondere dei danni causati con una condotta ascrivibile a colpa lieve. Sempre al fine di garantire un sereno operato dell’attività giudiziaria, il giudizio di responsabilità è posticipato rispetto a qualsiasi procedimento di impugnazione o di opposizione inerente a tale attività. Ev prevista inoltre una fase preliminare nel giudizio di responsabilità dinanzi al tribunale al fine di verificare il rispetto dei termini e dei presupposti di legge per l’ammissibilità della domanda di risarcimento dei danni. Al termine del giudizio di responsabilità civile, l’amministrazione, ove risulti soccombente, è autorizzata ad esercitare il diritto di regresso, a somiglianza di quello spettante ad fideiussore avverso il debitore principale. Per la determinazione del grado di responsabilità di ogni singolo giudice, si fa luogo ad un giudizio di rivalsa, circondato da una serie di cautele. L’amministrazione, infatti, può esperire l’azione di rivalsa solo entro determinati limiti quantitativi, dato che il magistrato sarà tenuto al risarcimento nella misura di un terzo della annualità di stipendio (art. 8, comma 3o, l. cit.). Da ciò si evince che nel giudizio in questione non si esplica la funzione recuperatoria tipica dei giudizi di rivalsa. La Corte Costituzionale ha precisato che trattasi di una sanzione pecuniaria accessoria, imposta al magistrato autore del fatto illecito, la quale è espressione di una tendenziale socializzazione del rischio per i danni causati dall’attività giudiziaria. In applicazione dei principi generali, si deve escludere qualsiasi interferenza fra il giudizio di responsabilità e quello disciplinare, trattandosi di procedimenti di competenza di autorità giudiziarie differenti (il giudice ordinario e la sezione disciplinare del C.S.M.). .
responsabilità dei padroni e dei committenti: se il danno è cagionato da un domestico o commesso, nell’esercizio delle mansioni a lui affidate, dal danno risponde, oltre a chi ha commesso il fatto, anche il padrone o committente (art. 2049 c.c.). L’antiquato linguaggio qui adoperato dal legislatore, privo di precisi referenti nelle figure nominate dal vigente c.c., ha finito con il fare di questa norma una sorta di clausola generale della responsabilità indiretta (v.), i cui contorni risultano così tracciati: un soggetto può essere chiamato a risarcire il danno cagionato da un altro soggetto quando: a) tra i due soggetti esista un rapporto (cosiddetto rapporto di preposizione) suscettibile di assoggettare il preposto al potere di direzione e di sorveglianza del preponente. Il più delle volte, ma non necessariamente, questo rapporto è un rapporto di lavoro subordinato (v. lavoro, responsabilità subordinato) (art. 2094 c.c.). Così, se l’autista, dipendente di un’impresa di trasporti, investe un pedone mentre è alla guida di un automezzo dell’impresa, del danno risponde il titolare dell’impresa; se un muratore fa cadere dall’impalcatura di un cantiere un attrezzo che colpisce un passante, del danno risponde il titolare dell’impresa edile dalla quale il muratore dipende. Altrettanto accade se la domestica fa cadere un oggetto dalla finestra: del danno provato risponde il suo datore di lavoro. Il rapporto di lavoro può anche essere occasionale, come nel caso in cui ci si sia avvalsi dell’opera di persona normalmente alle dipendenze altrui, assoggettandola temporaneamente alla propria direzione ed alla propria vigilanza. Oltre al rapporto di lavoro subordinato, viene in considerazione ogni altro rapporto che comporti l’assoggettamento di un soggetto al potere di direzione e di vigilanza di un altro soggetto: così il mandato con rappresentanza (v. mandato, responsabilità con e senza rappresentanza); così il cosiddetto appalto a regia (v. appalto, responsabilità a regia), nel quale l’appaltatore è nudus minister dell’appaltante. La norma non si applica, invece, in presenza di rapporti che non includano il potere di direzione e di sorveglianza: non si applica al preponente per i danni cagionati dall’agente di commercio (v. agente, responsabilità di commercio); b) il rapporto di preposizione fra i due soggetti abbia operato come occasione necessaria dell’evento dannoso: il che include la responsabilità del preponente non solo per i fatti illeciti commessi dal preposto per eseguire la prestazione contrattuale, ma anche per quelli da lui commessi in occasione dell’esecuzione della prestazione, anche se fatti dolosi ed anche se fatti costituenti reato. Se poi il preposto abbia commesso il fatto illecito in esecuzione di specifiche direttive del preponente, allora il primo risponderà non a nome dell’art. 2049 c.c., ma ai sensi dell’art. 2043 c.c., quale coautore del fatto illecito (v. fatti illeciti). L’art. 2049 c.c. esaurisce la propria funzione nell’imputare la responsabilità per il fatto illecito ad un soggetto diverso dall’autore del fatto; si intende che il fatto deve presentare, in capo al suo autore, tutti gli estremi richiesti dall’art. 2043 c.c. (v. responsabilità extracontrattuale). Perciò, è necessario il dolo o la colpa dell’autore del fatto, salvo che non ricorra una delle ipotesi di responsabilità oggettiva (v.). Ex art. 2049 c.c. si può essere chiamati a rispondere anche per il cosiddetto danno anonimo, riferibile al fatto doloso o colposo di un dipendente non identificato; ma non si può essere chiamati a rispondere del fatto illecito del dipendente non responsabile, a norma dell’art. 2046 c.c., perche´ incapace di intendere e di volere al momento del fatto. Il principio accolto dall’art. 2049 c.c. è antico: un tempo se ne dava giustificazione movendo dall’esigenza che ogni danno sia risarcito e adducendo che i padroni e committenti sono, di regola, persone abbienti, e perciò , in grado di assicurare il risarcimento del danno subito dal terzo, che difficilmente lo otterrebbe dai domestici e commessi. Il fondamento del principio è stato soprattutto ricercato in una presunzione assoluta (v. presunzione, responsabilità assoluta) di culpa in eligendo o di culpa in vigilando del preponente; e questa tradizionale giustificazione, che talora affiora nella giurisprudenza, finisce con il riportare l’art. 2049 c.c. all’art. 2043 c.c.: il preposto non sarebbe chiamato a rispondere del fatto illecito altrui, ma del fatto illecito proprio, ossia della propria culpa in eligendo o in vigilando. Ma parlare di una presunzione assoluta di colpa, che non ammette la prova contraria, equivale a riconoscere l’irrilevanza della colpa in eligendo o in vigilando e, dunque, la non configurabilità di un illecito in capo al preponente. Oggi si preferisce ricercare la giustificazione nella struttura del contratto di lavoro o, comunque, del rapporto di preposizione: il lavoratore, o il preposto, mette a disposizione del datore di lavoro, o del preponente, le sue energie lavorative, mentre il rischio del lavoro incombe sul secondo. Questi fa proprio il risultato del lavoro altrui; deve, correlativamente, assumerne i rischi, compreso il rischio che, nello svolgimento della sua prestazione, il preposto cagioni danni a terzi. L’estensione giurisprudenziale dell’art. 2049 c.c., oltre il contratto di lavoro subordinato, a tutti i rapporti di preposizione, basati sul potere di direzione e di vigilanza del preponente sul preposto, non contraddice questo ordine di idee: ad un rapporto così configurato si accompagna sempre l’attribuzione al preponente del rischio del lavoro del preposto; così nel mandato, così nell’appalto a regia. Non si pensi però che del danno cagionato rispondano solo padroni e committenti con esclusione dei domestici e commessi. Vari elementi di giudizio contraddicono questa interpretazione: l’art. 28 Cost. fa rispondere del fatto illecito del pubblico dipendente sia lo Stato o l’ente pubblico datore di lavoro, sia il dipendente che ha commesso il fatto; e analoga norma vale, oltre che per gli amministratori (v.) (art. 2395 c.c.), per i direttori generali (v.) (art. 2396 c.c.) di s.p.a., che sono dipendenti della società. In giurisprudenza è incontroverso che preponente e preposto rispondano in solido; come è certo che il preponente, una volta risarcito il danno, abbia azione di regresso per l’intero nei confronti del preposto. Il che mal si concilia con l’idea della culpa in eligendo o in vigilando: se il preponente fosse dall’art. 2049 c.c. chiamato a rispondere di un proprio fatto illecito, non gli si potrebbe riconoscere azione di regresso per l’intero verso il preposto. Si concilia, invece, con la teoria del rischio del lavoro: si può dire, da questo punto di vista, che l’art. 2049 c.c. addossa al preponente il rischio dell’insolvenza del preposto. V. anche fatti illeciti degli amministratori di ente pubblico; fatti illeciti, responsabilità dei pubblici dipendenti per responsabilità.
responsabilità dei precettori: v. responsabilità dei sorveglianti di incapaci, dei genitori, dei tutori, dei precettori.
responsabilità dei professionisti intellettuali: v. professionisti intellettuali, responsabilità dei responsabilità.
responsabilità dei pubblici dipendenti per fatti illeciti: v. fatti illeciti, responsabilità dei pubblici dipendenti per responsabilità.
responsabilità dei sindaci: v. sindaci.
responsabilità dei soci di società cooperativa: v. società cooperativa.
responsabilità dei soci di società di persone: v. società di persone.
responsabilità dei sorveglianti di incapaci, dei genitori, dei tutori, dei precettori: se un fatto illecito (v. fatti illeciti) è commesso da persona incapace di intendere e di volere, questa non ne risponde, a meno che responsabilità sono le cosiddette actiones liberae in causa responsabilità lo stato di incapacità non derivi da sua colpa (art. 2046 c.c.). Si fa qui riferimento alla capacità naturale di intendere e di volere: può , perciò , essere condannato a risarcire il danno anche il minore, se naturalmente capace (v. capacità naturale, responsabilità del minore), ed anche se di età inferiore a quella richiesta dal c.p. per l’imputabilità (v.). Può , per contro, essere esonerato da responsabilità il maggiorenne il quale versasse, al momento del fatto, in uno stato di incapacità di intendere e di volere (v. incapacità, responsabilità naturale), anche se dipendentemente da causa transitoria. Se il fatto illecito è stato commesso in stato di incapacità , risponde chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace (art. 2047 c.c.). La norma è di scarsa applicazione: dopo la riforma dell’assistenza psichiatrica non si può più fare il caso del personale della clinica nella quale è ricoverato il malato di mente che ha commesso il fatto; restano i casi dei minori affidati ad istituti di protezione dell’infanzia o a privati che abbiano assunto il compito della loro sorveglianza. I genitori sono responsabili dei fatti illeciti commessi dai loro figli minori; il tutore lo è per il minore o per l’interdetto affidato alla sua tutela; i precettori, ossia gli insegnanti, gli istruttori e i maestri d’arte sono responsabili del danno cagionato dai loro allievi o apprendisti (minori) nel tempo in cui sono sotto la loro sorveglianza (art. 2048 c.c.). Qui il presupposto della responsabilità è l’incapacità legale, non quella naturale, di chi ha cagionato il danno. Le ipotesi sopra dette differiscono da quella di cui all’art. 2049 c.c. (v. responsabilità dei padroni e dei committenti): tanto chi è tenuto alla sorveglianza degli incapaci quanto i genitori, i tutori, i precettori e i maestri d’arte possono liberarsi da responsabilità provando di non aver potuto impedire il fatto (artt. 2047 c.c., 2048, comma 3o, c.c.). Ai padroni e committenti, al contrario, non è concessa alcuna prova liberatoria: essi rispondono sempre e comunque del fatto illecito dei loro dipendenti; e ne rispondono a titolo di rischio inerente ad una attività altrui svolta a loro favore. Perciò quella dei padroni e committenti è una vera e propria responsabilità indiretta (v.), ossia per il fatto illecito altrui. Gli altri, invece, rispondono del fatto illecito altrui in quanto sia configurabile, a loro carico, un fatto illecito proprio, consistente nel mancato adempimento dell’obbligo di sorveglianza dell’incapace. Questo in teoria: in pratica la prova liberatoria è così difficile da rendere, di fatto, la loro responsabilità una sostanziale responsabilità indiretta. I soggetti tenuti alla sorveglianza ex art. 2047 c.c. debbono, per esonerarsi da responsabilità, dare la difficile prova di uno specifico ostacolo che ha impedito loro di esercitare la dovuta attività di vigilanza sull’incapace. Quanto ai genitori, viene in considerazione anche il loro dovere di educare i figli minori. La giurisprudenza, tendenzialmente, distingue tra figlio incapace di intendere e di volere e figlio, benche´ minore, naturalmente capace; ritiene, che i genitori rispondano, per omessa vigilanza (culpa in vigilando), riguardo al primo, a norma dell’art. 2047 c.c.; parla, invece, di responsabilità per mancanza di idonea educazione (culpa in educando), riguardo al secondo, consentendo ai genitori di liberarsi da responsabilità dando la prova di avere impartito una buona educazione al figlio. Quanto ai precettori, si ammette che il dovere di vigilanza si attenui a misura che gli allievi si avvicinino all’età di pieno discernimento; ma, se questi sono in tenera età , i precettori sono trattati alla stregua dei sorveglianti di incapaci.
responsabilità dei tutori: v. responsabilità dei sorveglianti di incapaci, di genitori, dei tutori, dei precettori.
responsabilità del cancelliere: responsabile personalmente quando si rifiuti od ometta di compiere in termini gli atti che gli sono legalmente richiesti, ovvero quando compia un atto nullo se in dolo od in colpa grave; in tali casi il cancelliere può essere condannato alle spese necessarie per la rinnovazione dell’atto nullo ed al risarcimento dei danni causati dalla nullità . Sussiste anche una responsabilità disciplinare, la quale spetta al ministero di grazia e giustizia, con compiti di alta sorveglianza su tutti i funzionari, compresi quelli delle cancellerie e segreterie giudiziarie.
responsabilità del curatore del fallimento: v. curatore, responsabilità del fallimento.
responsabilità del custode: v. responsabilità per danno cagionato da cose in custodia.
responsabilità del debitore: v. debito, responsabilità e responsabilità ; inadempimento, responsabilità dell’obbligazione.
responsabilità del depositario: v. depositario, responsabilità del responsabilità.
responsabilità del falsus procurator: v. falsus procurator.
responsabilità dell’accomandante: v. accomandante.
responsabilità dell’albergatore: v. albergatore, responsabilità dell’responsabilità.
responsabilità dell’amministratore verso l’associazione: v. associazione, responsabilità degli amministratori verso l’responsabilità.
responsabilità della persona giuridica per fatto illecito dell’organo: altro dalla responsabilità indiretta (v.), del preponente ex art. 2049 c.c. (v. responsabilità dei padroni e dei committenti) è la responsabilità, questa volta diretta, della persona giuridica per il fatto illecito dell’organo. Qui il rapporto organico attua una diretta imputazione alla prima del fatto illecito del secondo, anche se si tratta di fatto doloso. I presupposti di questa imputazione sono affatto diversi: l’organo della persona giuridica non occupa posizione corrispondente a quella dei domestici e commessi di cui all’art. 2049 c.c.; non si trova sottoposto ad un altrui potere di direzione di sorveglianza; è , tutto all’opposto, colui che esercita in nome dell’ente un autonomo potere, in forza di una competenza originaria e non derivata, che ripete direttamente dallo statuto dell’ente, come nel caso degli amministratori delle persone giuridiche private o pubbliche. Ma in materia si constata un singolare indirizzo giurisprudenziale: il rapporto organico viene posto a fondamento della responsabilità dell’ente pubblico non solo per il fatto illecito dei suoi amministratori (che sono organi in senso proprio), ma anche per il fatto illecito dei suoi dipendenti, quantunque collocati in posizione corrispondente a quella dei preposti di cui all’art. 2049 c.c.. La ragione è di natura dogmatica: la presunzione di culpa in eligendo o in vigilando non potrebbe trovare applicazione nei confronti della P.A., la quale sceglie i propri dipendenti nel rispetto di precise regole predisposte dalla legge. In passato concorreva anche una ragione pratica: si riteneva che il dolo dell’organo interrompesse il rapporto organico; sicche´ la qualificazione del rapporto come rapporto organico, anziche´ come rapporto di preposizione, valeva ad esonerare la P.A. da responsabilità per il fatto doloso del dipendente. Ma questa ragione pratica è venuta meno da quando la giurisprudenza ha ammesso la responsabilità dell’ente pubblico anche per il fatto doloso dell’organo (v. organo, concetto di responsabilità); sicche´ è legittimo confidare nel superamento della incongrua elevazione del pubblico dipendente al rango di organo della P.A.. V. anche organo, concetto di responsabilità; Pubblica Amministrazione, soggezione al diritto comune della responsabilità.
responsabilità dell’appaltatore: v. appaltatore, responsabilità dell’responsabilità.
responsabilità dell’armatore: v. armatore.
responsabilità della società di revisione verso i terzi: v. società di revisione.
responsabilità della società di revisione verso la società revisionata: v. società di revisione.
responsabilità dell’ente pubblico: v. responsabilità della persona giuridica per fatto illecito dell’organo.
responsabilità delle parti: discende in generale dall’obbligo di comportarsi in giudizio con lealtà e probità .; ad esempio, il giudice può ordinare il risarcimento dei danni anche non patrimoniali quando si faccia uso di espressioni sconvenienti ed offensive che non siano necessarie ai fini della difesa. Esiste una responsabilità delle parti per le spese (v.) e per i danni processuali. Inoltre, se la parte soccombente abbia agito con mala fede o colpa grave, sussiste la responsabilità (aggravata, cosiddetta per lite temeraria) oltre che alle spese anche al risarcimento dei danni, eventualmente concorrente con quella aquiliana (v. responsabilità , responsabilità aquiliana).
responsabilità dell’esercente attività pericolose: per principio generale, il fatto illecito (v. fatti illeciti) deve presentare l’elemento soggettivo del dolo o della colpa; è, per definizione, un fatto doloso o colposo (art. 2043 c.c.). Ma a questo principio generale sono apportate dallo stesso c.c. molteplici eccezioni, tradizionalmente classificate come ipotesi di responsabilità oggettiva (v.). E le eccezioni alla regola sono tali e tante che, nella pratica, il rapporto fra regola ed eccezione appare capovolto: risulta più estesa l’area della responsabilità oggettiva che non quella della responsabilità per dolo o per colpa. Il principio generale finisce così con il tradursi in un principio residuale, destinato a regolare le ipotesi per le quali non vige una delle tante regole di responsabilità oggettiva. In passato i casi di responsabilità oggettiva erano molto limitati: dominava il principio, etico prima ancora che giuridico, per il quale non si poteva essere chiamati a rispondere di un fatto, se non lo si era commesso, quanto meno, per colpa (nessuna responsabilità senza colpa). L’espansione dell’area della responsabilità oggettiva si ricollega ai caratteri della odierna civiltà industriale, basata sull’impiego di mezzi di produzione e di vita che sono di per se´ stessi fonte di pericolo per le persone e per le cose (gli impianti industriali, le autovetture ecc.), e di pericolo che è socialmente accettato come una componente ineliminabile della nostra civiltà . L’enorme aumento delle occasioni di danno, proprio dell’era industriale, ha posto l’esigenza di un diverso sistema di responsabilità per danni: chi ha subito un danno è giusto riceva un risarcimento, indipendentemente dal fatto che glielo sia stato cagionato o no con colpa. D’altra parte, chi impiega, nelle attività produttive o nella vita privata, mezzi che sono di per se´ fonti di pericolo accetta, con ciò stesso, l’eventualità di cagionare danni ad altri; deve, di conseguenza, assumere il rischio di doverli risarcire, anche se non li avrà cagionati per colpa. Se poi si assicura contro il rischio della responsabilità civile (v. assicurazione, responsabilità della responsabilità civile) (e in molti casi l’assicurazione è obbligatoria), sarà l’assicuratore a risarcire il danno: a questo modo il sistema assicurativo vale a ripartire fra tutti coloro che usano mezzi pericolosi e per piccole quote (corrispondenti ai premi di assicurazione) il rischio, cui ciascuno di essi è esposto, di dover risarcire il danno ad altri cagionato. La prima regola di responsabilità oggettiva riguarda i danni cagionati nell’esercizio di attività pericolose: chi cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno (art. 2050 c.c.). Attività pericolosa è l’attività caratterizzata da notevole potenzialità di danno: da una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio e dai mezzi di lavoro impiegati. Ciò che qui assume rilievo non è la pericolosità del comportamento al momento del fatto dannoso, ma la pericolosità dell’attività nel corso della quale il fatto dannoso si è prodotto. Non è solo il caso, cui subito si pensa, della fabbrica di esplosivi o di fuochi di artificio. Nell’odierna società industriale questa norma ha estese possibilità di applicazione: vale per le imprese che svolgono attività industriali come, ad esempio, le imprese chimiche, che possono inquinare l’ambiente e mettere in pericolo la salute o la stessa vita degli uomini; ma vale anche per le imprese edili, in relazione ai mezzi di lavoro impiegati; per le imprese portuali di carico e scarico delle navi; per l’industria di produzione di gas in bombole. Vale, ancora, per i prodotti che le imprese industriali mettono in commercio e che possono risultare pericolosi per i consumatori, come ad esempio una macchina il cui funzionamento espone a pericolo l’incolumità di chi la usa o come un alimento conservato che, per il metodo di conservazione, risulti pericoloso alla salute. Ma, quanto ai prodotti pericolosi, bisogna distinguere: l’art. 2050 c.c. non si applica quando il prodotto industriale abbia cagionato danno alle persone; non si applica quando trattandosi di danno alle cose, sia stato danneggiato il consumatore finale del prodotto. A questo riguardo valgono specifici principi, introdotti per direttiva comunitaria (v. responsabilità del produttore). In fatto di danno da prodotti l’art. 2050 c.c. resta applicabile solo al danno alle cose subito da un utilizzatore del prodotto diverso dal consumatore finale, come l’imprenditore che abbia subito danni alla propria azienda a causa dei difetti delle macchine impiegate nella produzione. La responsabilità ex art. 2050 c.c. investe l’esercente l’attività pericolosa: questa è di norma, anche se non necessariamente, un’attività imprenditoriale; ma, quando è tale, responsabile è l’imprenditore cui l’attività pericolosa è riferibile a norma dell’art. 2082 c.c., quantunque il fatto dannoso venga commesso dai suoi ausiliari. Qui non si tratta di responsabilità indiretta, regolata dall’art. 2049 c.c., ma di responsabilità diretta dell’imprenditore; sicche´ la qualificazione come pericolosa dell’attività nel corso della quale il danno è stato cagionato provoca questa conseguenza: l’imprenditore risponde del danno senza possibilità ad esercitare il regresso nei confronti dell’autore materiale del fatto dannoso. Chi ha cagionato il danno nell’esercizio di una attività pericolosa ne risponde indipendentemente da ogni sua colpa; anche se, al momento del fatto, ha usato diligenza, prudenza, perizia. La responsabilità si basa sulla esistenza di un rapporto di causalità (v. causalità , rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno) fra l’attività esercitata e l’evento dannoso. L’imprenditore, ad esempio, è responsabile del danno provocato dalle esalazioni nocive, che un guasto agli impianti di depurazione ha fatto fuoriuscire dal suo stabilimento chimico, per il solo fatto che le esalazioni sono fuoriuscite dal suo stabilimento e che hanno cagionato danni a persone o a cose; anche se non gli si può essere rimproverata alcuna negligenza o imprudenza o imperizia in relazione alle cause che hanno prodotto il guasto agli impianti (anche se gli impianti cioè erano in perfetto stato di manutenzione ed erano diligentemente controllati da personale esperto). Ci si libera da responsabilità solo con la prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno (art. 2050 c.c.); e la prova liberatoria non verte sulle modalità del fatto che ha cagionato il danno, ma sulle modalità di organizzazione dell’attività pericolosa, che debbono apparire idonee a prevenire l’eventualità di eventi dannosi. L’attività pericolosa deve essere svolta nelle condizioni di massima sicurezza, con l’adozione di tutti gli accorgimenti che la tecnica offre, quale che ne sia il costo; se, ciò nonostante, l’evento dannoso si è ugualmente verificato, esso apparirà un evento inevitabile e, perciò , non in rapporto di causalità con lo svolgimento dell’attività pericolosa. La particolare natura della prova liberatoria di cui all’art. 2050 c.c., che è prova critica (v. prova, responsabilità critica), e non prova storica (v. prova, responsabilità storica), dell’assenza di rapporto di causalità fra attività pericolosa e danno, fa sì, d’altra parte, che l’esercente attività pericolose possa conseguire la propria liberazione pur restando ignote le cause che hanno prodotto il danno. Ove la tecnica ancora non offra, in rapporto a una data attività pericolosa, misure idonee a prevenire danni a persone o a cose, e l’imprenditore ugualmente intraprenda quella attività, si dovrà ritenere che gli la intraprende a proprio rischio, e che sarà sempre responsabile dei danni cagionati, senza possibilità di offrire la prova liberatoria? La dottrina accoglie l’interpretazione meno rigorosa e consente la liberazione da responsabilità a chi provi di avere adottato tutte le misure allo stato offerte dalla tecnica, anche se non ancora del tutto idonee a scongiurare eventi dannosi. Nell’ipotesi di attività pericolose ci si libera da responsabilità con la prova del proprio comportamento (l’adozione di tutte le misure idonee), e si consegue la liberazione anche se le cause del danno restano ignote: nello stabilimento c’è stata un’esplosione, ma non se ne conoscono le cause; l’imprenditore non risponde dei danni se prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare incidenti.
responsabilità dell’utilizzatore di cosa che ha cagionato il danno: v. responsabilità per danno cagionato da cose.
responsabilità del mediatore: v. mediatore, responsabilità del responsabilità.
responsabilità del medico: v. attività , responsabilità sanitarie; contratto, responsabilità d’opera intellettuale; prestazione, responsabilità di mezzi; professionisti intellettuali, diligenza del buon padre di famiglia dei responsabilità.
responsabilità del notaio: v. notaio, responsabilità del responsabilità.
responsabilità del produttore: una qualità che si richiede ad ogni prodotto industriale, quale che sia l’uso cui è destinato, è la possibilità di essere usato in condizioni di sicurezza, senza pregiudizio cioè per l’integrità fisica e per i beni dell’utente. Il concetto di sicurezza, già presente nella nostra letteratura in materia di responsabilità responsabilità, anche in assonanza con l’art. 41, comma 2o, Cost., che pone all’iniziativa economica privata il limite della salvaguardia della sicurezza umana, ha assunto significato tecnicoresponsabilitàgiuridico nella direttiva comunitaria 25 luglio 1985, n. 374, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, attuata in Italia con il d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224. Per l’art. 1 del testo normativo italiano il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto; l’art. 5, comma 1o, precisa che un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze. Questa qualità riassunta nel concetto di sicurezza è altro dalla idoneità dei prodotti industriali allo specifico uso cui sono destinati. I considerando della direttiva tengono a chiarirlo: per proteggere il consumatore nella sua integrità fisica e nei suoi beni è necessario che il carattere difettoso di un prodotto sia determinato non già in base alla carenza del prodotto dal punto di vista del suo uso, bensì in base alla mancanza della sicurezza che il grande pubblico può legittimamente attendersi. I principi della direttiva comunitaria non introducono sconvolgenti innovazioni nei sistemi giuridici degli Stati membri, e nel nostro sistema in particolare. Essi si pongono piuttosto in rapporto di continuità con i principi (in primo luogo, il principio della responsabilità oggettiva del produttore) cui già erano approdate le diverse società industriali del nostro tempo, europee ed extraeuropee, anche se nell’ambito di queste erano stati seguiti itinerari diversi. In alcune di esse si erano prese le mosse dalle norme sulla vendita e, in particolare, da quelle sulla responsabilità oggettiva del venditore per i vizi della cosa venduta (v. garanzia, responsabilità per vizi occulti nella vendita), per poi adeguarle ai caratteri del sistema distributivo, basato sulle vendite a catena dei prodotti industriali, con l’estensione della relativa azione di danni, dal contraente diretto del venditore, ai successivi aventi causa, fino all’acquirente finale del prodotto. In altre società si era, invece, privilegiata la clausola generale della responsabilità aquiliana (v.) (v. anche danno, responsabilità ingiusto), siccome meglio rispondente alle esigenze di protezione del consumatore, che di regola non è diretto contraente del produttore; ma si è poi dispensato il consumatore dall’onere di provare la colpa del produttore, e resa a questo modo oggettiva la sua responsabilità, introducendo una presunzione di colpa. La responsabilità imposta al produttore in attuazione della direttiva prescinde dalla prova della sua colpa. Ev , dunque, una responsabilità oggettiva (v.); ma non è una responsabilità per rischio di impresa, se con questa locuzione si vuole alludere ad una responsabilità gravante sul produttore solo in quanto produttore, come è una responsabilità per rischio d’impresa quella che l’art. 2049 c.c. impone a padroni e committenti (v. responsabilità dei padroni e dei committenti). La responsabilità è , invece, collegata al fatto d’avere il produttore messo in circolazione un prodotto difettoso, nel senso precisato dal citato art. 5; e spetta al danneggiato, per l’art. 8, l’onere di provare il danno, il difetto e la connessione causale fra difetto e danno. Là dove il difetto, che il danneggiato ha l’onere di provare, non è certo l’intrinseco vizio di progettazione o di fabbricazione del prodotto (che ben difficilmente il consumatore può scoprire), ma è l’insicurezza del prodotto, quale si manifesta nell’uso cui è destinato. responsabilità oggettiva significa responsabilità basata sul solo rapporto di causalità fra il fatto proprio e l’altrui evento dannoso; e il rapporto di causalità , si basa sulla normalità o regolarità statistica, che rende prevedibile un dato effetto come conseguenza del verificarsi di una data causa. La responsabilità oggettiva, a differenza della responsabilità per rischio d’impresa, ammette la prova liberatoria, ossia la prova della non imputabilità causale dell’altrui evento dannoso al fatto proprio. L’art. 6 concede al produttore di liberarsi da responsabilità in sei modi. Uno di essi, quello di cui alla lett. c, è piuttosto una causa di esonero da responsabilità per chi abbia fabbricato il prodotto non a scopo economico e non nell’esercizio di una attività professionale. Le altre sono, propriamente, prove miranti ad escludere il rapporto di causalità (v. causalità , rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno): 1) talvolta è richiesta la prova dello specifico fatto del terzo, interruttivo del rapporto di causalità: così, alla lett. f, la prova richiesta al produttore di una parte componente o di una materia prima che il difetto è interamente dovuto alla altrui concezione del prodotto finale oppure alla conformità della parte componente o della materia prima alle istruzioni impartite dal produttore del prodotto finale; 2) talaltra è richiesta la prova del factum principis (v.): così, alla lett. d, la prova che il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a norme imperative (v. norma imperativa) o a provvedimenti vincolanti dei pubblici poteri; 3) altre volte il fatto del terzo è provato per presunzione tratta dalla prova del fatto proprio: così, per la lett. a, si dà la prova di non avere messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno, o, per la lett. b, si prova che il difetto è opera di un terzo, o dello stesso danneggiato, dando la prova che esso non poteva esistere al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione; 4) infine, la lett. e consente la prova della non prevedibilità del danno allo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione. Ev il cosiddetto rischio di sviluppo. Talvolta la prova liberatoria si basa su elementi presuntivi: così il produttore non deve provare il fatto storico che il difetto non esisteva al momento della messa in circolazione del prodotto (lett. b): a norma dell’art. 8, comma 2o, deve fornire la più agevole prova che, tenuto conto delle circostanze, è probabile che il difetto non esistesse. I fatti da provare sono, dunque, queste circostanze, provate le quali si argomenta per presunzione che il difetto all’origine non esistesse. L’ambito di applicazione di questi principi è delimitato dai concetti di prodotto e di produttore. Per prodotto si intende ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile (art. 2, comma 1o), e dunque anche se ha cessato, per effetto dell’incorporazione, di essere bene mobile; vi è compresa l’elettricità (art. 2, comma 3o); sono esclusi i prodotti agricoli del suolo e dell’allevamento, i prodotti della pesca e della caccia; ma sono compresi quelli derivanti dalla loro trasformazione e quelli che, anche se non trasformati in altri prodotti, abbiano tuttavia subito un confezionamento o un trattamento industriale, tale da rendere difficile il controllo del prodotto da parte del consumatore o tale da creare affidamento circa la loro sicurezza (art. 2, comma 3o). Il prodotto agricolo o della pesca o della caccia è , dunque, sottoposto all’applicazione dei principi sulla responsabilità responsabilità in presenza di una di queste tre condizioni: a) quando sia trasformato in altro prodotto (come l’uva trasformata in vino); e qui si deve prescindere dalla circostanza che l’attività di trasformazione possa, ai sensi dell’art. 2135, comma 2o, c.c., essere qualificata come attività connessa all’agricoltura e, perciò , dalla qualificazione del produttore come imprenditore agricolo; b) quando sia sottoposto a trattamento industriale (come il congelamento, l’aggiunta di conservanti), non implicante trasformazione del prodotto; ed anche in questo caso è irrilevante che il trattamento sia stato eseguito dallo stesso imprenditore agricolo; c) quando sia stato sottoposto a confezionamento industriale (come l’inscatolamento o l’avvolgimento in involucri di plastica); ed anche in questo caso vale l’avvertenza sopra formulata. Produttore non è solo il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente o della materia prima (art. 3, comma 1o); è tale anche il soggetto, diverso dal fabbricante, che si presenti come produttore apponendo il proprio nome o marchio (v.) o altro segno distintivo (v. segni distintivi) sul prodotto o sulla sua confezione (art. 3, comma 3o): in una parola chi firmi il prodotto. Al produttore sono poi equiparati, agli effetti della responsabilità , l’importatore dei prodotti nella Comunità europea (art. 3, comma 4o) e, quando il produttore non sia individuato, il fornitore dei prodotti, che abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro tre mesi dalla richiesta, l’identità del produttore o di chi gli ha fornito il prodotto (art. 4). Quando ricorrono i casi ora menzionati la responsabilità per danno da prodotti difettosi si configura quale responsabilità indiretta (v.), essendo chiamato a rispondere un soggetto (l’importatore, il fornitore) diverso dal produttore. Se sul prodotto figurano sia il marchio del produttore, sia quello del distributore (marchio di commercio), si dovrà escludere la responsabilità del secondo: egli ha sì firmato il prodotto, ma non come produttore, bensì come distributore. Ma, ove sul prodotto manchi il marchio di fabbricazione, il distributore risponderà come fornitore, a norma dell’art. 4. Il danno risarcibile è o il danno alla persona, cagionato dalla morte o dalle lesioni personali (art. 11, lett. a), o il danno alle cose, derivante dalla distruzione o dal deterioramento di cosa diversa dal prodotto difettoso (art. 11, lett. b). Il danneggiato è , nel caso di danno alle cose, solo il consumatore finale del prodotto: la cosa, la cui distruzione o il cui danneggiamento è risarcibile, deve essere di tipo normalmente destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato. Perciò la responsabilità in parola non può essere invocata dall’imprenditore che abbia subito un danno per la propria azienda o per i propri prodotti a causa dei prodotti difettosi fornitigli da altro imprenditore (questi potrà però invocare l’art. 2050 c.c. (v. responsabilità dell’esercente attività pericolosa). Ev , inoltre, prevista una franchigia: è risarcibile solo il danno alle cose che ecceda la somma di lire 750.000. Per i danni alla persona, invece, la responsabilità per danni da prodotti difettosi può essere invocata da chiunque, anche da chi non sia utilizzatore finale del prodotto. L’ipotesi della pluralità di responsabili e quella del concorso di colpa del danneggiato sono regolate dagli artt. 9 e 10 in conformità dei principi di diritto comune (artt. 2055 e 1227 c.c.). Può suscitare perplessità l’art. 14, per il quale i diritti del danneggiato si estinguono in dieci anni dalla messa in circolazione del prodotto o dalla sua importazione nella Comunità europea. Il termine, che ricorda la garanzia decennale per rovina di edifici (art. 1669 c.c.) (v. appaltatore, garanzia decennale dell’responsabilità), è apparso eccessivo per prodotti industriali. Va però considerato che l’eccezione basata sul decorso di un simile termine è , per il produttore, solo l’extrema ratio: prima della sua scadenza egli può formulare eccezioni basate sull’art. 5, lett. c, che mette in relazione la sicurezza del prodotto con il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, e dà rilievo alla sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto, fra l’altro, di questa circostanza. Sicche´ bisognerà distinguere fra prodotto e prodotto, e stabilire se è legittimo o no attendersi da esso una sicurezza decennale. Il prodotto si considera messo in circolazione, a norma dell’art. 7, quando sia consegnato all’acquirente o all’utilizzatore o ad un ausiliario di questo, anche in visione o in prova, o quando sia consegnato al vettore o allo spedizioniere per l’invio all’acquirente o all’utilizzatore (art. 7). Il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe potuto avere conoscenza del danno, del difetto del prodotto e dell’identità del responsabile (art. 13). L’azione è , perciò , esperibile entro un duplice limite temporale: entro il termine triennale di prescrizione ora menzionato, purche´ non sia scaduto il termine decennale ex art. 14 (o il minore termine desumibile dall’art. 5, lett. c). Il problema della responsabilità responsabilità è sorto, là dove è stato per prima avvistato, come problema di responsabilità per i vizi della cosa venduta (v. garanzia, responsabilità per vizi occulti nella vendita). L’esperienza americana è in questo senso: la responsabilità del venditore è stata adattata al sistema delle vendite a catena con il principio per cui la garanzia corre con il prodotto; essa si estende fino all’ultimo rapporto contrattuale instaurato dal dettagliante con l’acquirente finale. Analoga vicenda si era sviluppata in Francia, anche se in tempi successivi: l’iniziale inadeguato sistema della catena dei ricorsi in garanzia, dall’acquirente finale all’ultimo rivenditore, e da questo via via al primo venditore, era stato superato dalla giurisprudenza francese con l’introduzione dell’action directe, attribuita all’acquirente finale nei confronti del venditore originario. Una corrispondente vicenda si è svolta, nel nostro paese, solo in rapporto alle vendite immobiliari, per le quali i nostri giudici potevano muovere da un dato legislativo, anche se formulato in materia di appalto. La garanzia decennale dell’appaltatore per pericolo di rovina o altri gravi difetti dell’edificio può , a norma dell’art. 1669 c.c., essere fatta valere, oltre che dal committente, anche dai suoi aventi causa. Questo principio, sebbene testualmente riferito al costruttoreresponsabilitàappaltatore, è stato dalla nostra giurisprudenza esteso al costruttoreresponsabilitàvenditore: non solo gli aventi causa del committente, ma anche i subacquirenti del compratore possono agire per danni nei confronti del costruttore, attesa la ratio dell’art. 1669 c.c., che è la tutela dell’incolumità personale dei cittadini in rapporto alla solidità e stabilità degli edifici. La garanzia decennale è stata così inserita anche entro lo schema della vendita immobiliare; e si è tradotta in una garanzia che corre con il bene, secondo l’espressione usata dalla giurisprudenza americana. Per le vendite mobiliari i nostri giudici hanno ritenuto di dovere uscire dallo schema della vendita e di dovere battere altra strada: l’insicurezza o pericolosità del prodotto è stata considerata vizio della cosa venduta, sottoposto come tale alla disciplina dell’art. 1494, comma 2o, c.c., solo nei rapporti fra produttoreresponsabilitàvenditore e diretto acquirente; nei confronti dei consumatoriresponsabilitàsubacquirenti i giudici hanno, nella generalità dei casi, fondato la responsabilità responsabilità sulla clausola generale della responsabilità per fatto illecito (v. danno, responsabilità ingiusto; responsabilità extracontrattuale) di cui all’art. 2043 c.c. (in ciò adottando posizione analoga a quella assunta dalla giurisprudenza tedesca, che in materia ha applicato il corrispondente BGB). Una simile articolata soluzione implica, almeno in teoria, una stridente disparità di trattamento. La responsabilità del venditore ex art. 1494, comma 2o, c.c., è una responsabilità per danni derivati dai vizi della cosa, dalla quale egli si libera solo se offre la prova richiesta dal comma 1o, ossia se prova di averne ignorato senza colpa i vizi; ciò che, in rapporto al venditoreresponsabilitàfabbricante, equivale a dire che i vizi si sono prodotti al di fuori della sua sfera di controllo. Per contro, la responsabilità ex art. 2043 c.c. richiede la prova, da parte del danneggiato, della colpa del danneggiante. Di fatto, questa disparità di trattamento fra primo acquirente e successivi subacquirenti non ha operato; e non ha operato perche´ i nostri giudici hanno, per così dire, adattato l’art. 2043 c.c. alle esigenze di protezione del consumatore: hanno, di fronte al danno da prodotto industriale, presunto (v. presunzione; inadempimento, responsabilità dell’obbligazione) la colpa del produttore (ed analoghi accorgimenti sono stati adottati dai giudici tedeschi). Nella nostra giurisprudenza anteriore alla direttiva si riscontrano due costanti: da un lato la responsabilità viene fondata sull’art. 2043 c.c. e ricondotta alla colpa del produttore; d’altro lato, il consumatore viene sollevato da ogni onere probatorio (v. onere, responsabilità della prova) circa la colpa del produttore, che è assunta come culpa in se ipsa, implicita nel fatto stesso della accertata dannosità del prodotto. Una responsabilità oggettiva si sarebbe potuta, in astratto, imporre al produttore applicandogli l’art. 2050 c.c. (v. responsabilità dell’esercente attività pericolose), sul presupposto della intrinseca pericolosità dei prodotti industriali o, quanto meno, di molti di essi. Ma ciò non sempre è accaduto: significativa al riguardo è la giurisprudenza sulle bombole di gas, della cui intrinseca pericolosità non si può dubitare. Qui la giurisprudenza ha configurato alternativamente due tipi di responsabilità a carico del fabbricante: se questi provvede anche alla distribuzione dei prodotti, ogni danno relativo gli viene attribuito nella qualità di esercente attività pericolosa, sulla base dell’art. 2050. Se invece le operazioni relative alla distribuzione sono affidate ad altri imprenditori autonomi, che ne assumono i rischi, la responsabilità del fabbricante può ancora sussistere nell’ipotesi in cui l’incidente sia ricollegabile a difetti di costruzione delle bombole, ma questa volta sulla base dell’art. 2043 c.c. La dannosità di un prodotto industriale può essere fatta rientrare nei seguenti quattro ordini di casi: a) insicurezza implicita nella ideazione o concezione del prodotto, ossia nella sua progettazione, se si tratta di prodotti dell’industria meccanica, o nella sua composizione chimica, se si tratta di prodotti dell’industria farmaceutica, alimentare ecc.; b) insicurezza manifestatasi nel processo di fabbricazione del prodotto. In questo ordine di casi, a differenza che in quello sub a, il danno può essere cagionato da alcuni esemplari soltanto del prodotto; c) insicurezza manifestatasi nell’uso del prodotto da parte dell’utente. Ev la serie di ipotesi più problematica: sono qui a confronto, da un lato, gli accorgimenti che il produttore deve adottare per evitare possibili danni all’utente e, dall’altro, le cautele che l’utente stesso deve osservare nell’uso del prodotto. La mancanza di doverose cautele da parte dell’utente può escludere la responsabilità; ma il confine che divide l’area dei necessari accorgimenti del produttore da quella delle doverose cautele dell’utente è di difficile demarcazione. In tutti questi casi vale il principio dell’imputet sibi: l’uso improprio o maldestro o smodato dell’utente interrompe il rapporto di causalità fra il fatto del produttore e l’evento dannoso. Il problema è stato adeguatamente affrontato sulla scorta della direttiva: l’art. 5, lett. b, tiene ad includere espressamente, fra le circostanze alla stregua delle quali valutare la sicurezza del prodotto, l’uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato. Sul quarto ordine di casi non constano precedenti di giurisprudenza (o almeno di giurisprudenza civile), ma notizie di cronaca e provvedimenti di legge o ministeriali proibitivi della produzione. Ev l’ipotesi della d) dannosità del prodotto in se´, indipendentemente da ogni vizio di progettazione o di produzione e indipendentemente dalle sue modalità d’uso. In questo ordine di casi rientrano casi ormai storici, come quello degli insetticidi a base di ddt o quello del tranquillante che andava sotto il nome di talidomide. Di questi preparati, quando furono prodotti e messi in commercio, si ignorava la nocività per la salute; quando la si accertò , essi furono proibiti. Ma casi di questo genere possono ripetersi: potrà il produttore essere chiamato a rispondere di danni che, allo stato delle conoscenze esistenti al momento della produzione e della immissione sul mercato, non erano prevedibili? Di fronte a questo interrogativo si misurarono le diverse concezioni della responsabilità responsabilità. Chi è per una sua responsabilità a titolo di responsabilità oggettiva (v.), basata sul rapporto di causalità fra insicurezza del prodotto ed evento dannoso, escluderà in questi casi la responsabilità, giacche´ il rapporto di causalità implica la prevedibilità dell’evento. Chi propende, all’opposto, per una responsabilità a titolo di rischio d’impresa sarà portato ad addossare al produttore anche questo specifico rischio, detto rischio di sviluppo. A questo interrogativo dà risposta negativa l’art. 6, lett. e, che include fra le prove liberatorie concesse al produttore quella che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto. Sennonche´ l’art. 15 della direttiva ammette che ciascuno Stato membro possa prevedere nella propria legislazione che il produttore è responsabile anche se prova che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo in circolazione il prodotto non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto. Nei considerando è spiegata la ragione di questa previsione: la possibilità per un produttore di liberarsi dalla responsabilità fornendo la prova che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui ha messo il prodotto in circolazione non permetteva di scoprire l’esistenza del difetto, può essere considerata in taluni Stati membri come una restrizione ingiustificata della protezione dei consumatori; che deve quindi essere possibile ad uno Stato membro mantenere nella sua legislazione o prescrivere con una nuova legislazione l’inammissibilità di tale prova liberatoria. Per l’art. 13 della direttiva la presente direttiva lascia impregiudicati i diritti che il danneggiato può esercitare in base al diritto relativo alla responsabilità contrattuale (v.) o responsabilità extracontrattuale (v.) o in base ad un regime speciale di responsabilità esistente al momento della notifica della direttiva; e i considerando spiegano che secondo i sistemi giuridici degli Stati membri il danneggiato può avere diritto al risarcimento in base alla responsabilità contrattuale o ad un titolo fondato sulla responsabilità extracontrattuale diverso da quello previsto dalla presente direttiva; che, nella misura in cui tali disposizioni perseguono anch’esse l’obiettivo di un’efficace protezione dei consumatori, esse non devono essere pregiudicate dalla presente direttiva. Il decreto di attuazione non dice molto di più : esso traduce la direttiva stabilendo che le disposizioni del presente decreto non escludono ne´ limitano i diritti che siano attribuiti al danneggiato da altre leggi (art. 15 c.c.).
responsabilità del professionista intellettuale: v. professionisti intellettuali, responsabilità dei responsabilità; contratto, responsabilità d’opera intellettuale; diligenza del buon padre di famiglia; prestazione, responsabilità di mezzi.
responsabilità del proprietario: v. responsabilità per danno cagionato da cose.
responsabilità del vettore: v. vettore.
responsabilità diretta dell’imprenditore: v. responsabilità dell’esercente attività pericolose.
responsabilità disciplinare: responsabilità che incombe su coloro che sono legati da uno stabile rapporto di servizio con l’amministrazione in conseguenza di violazione di norme. L’esistenza di un rapporto giuridico attribuisce alla P.A. uno speciale potere di supremazia cui corrisponde una situazione di soggezione del dipendente. Le modalità di esercizio di tale potere sono dettagliatamente disciplinate al fine di garantire le posizioni dei soggetti. In particolare il provvedimento disciplinare (di natura amministrativa) è l’atto conclusivo di un complesso iter procedimentale di tipo quasiresponsabilitàcontenzioso in cui momento fondamentale è il contraddittorio (contestazione degli addebiti e giustificazione). Pur non applicandosi il principio penale nullum crimen sine lege, le norme disciplinari contenute in leggi, regolamenti, consuetudini e regole etiche (si pensi alla deontologia professionale), devono essere convenientemente precisate così da consentire al dipendente di individuare la condotta cui deve attenersi. In linea tendenziale le sanzioni devono essere tipizzate (art. 22 l. n. 93 del 1983) e irrogate in rapporto proporzionale alla gravità dell’illecito, altrimenti il provvedimento disciplinare potrà essere sindacato sotto il profilo dell’eccesso di potere. Le sanzioni disciplinari di più lieve entità si sostanziano in una dichiarazione di biasimo (la censura e l’ammonizione); le altre hanno incidenza sullo stato giuridico ed economico del dipendente (riduzione dello stipendio, sospensione della qualifica), fino a giungere nei casi più gravi alla destituzione. La Corte Costituzionale ha sancito (sentenza n. 971/88) l’illegittimità della destituzione di diritto (art. 85 d.p.r. 3 del 1957), ossia della cessazione del rapporto di impiego ex lege in conseguenza della irrogazione di una sanzione penale per determinati reati. Il principio che si evince è quello dell’assoluta separazione fra le sanzioni giudiziarie e quelle disciplinari, in conseguenza della gradualità e discrezionalità di queste ultime. L’applicazione automatica di sanzioni disciplinari contrasterebbe infatti con il principio della indefettibilità del procedimento. L’iter disciplinare è però subordinato all’esito del giudizio penale (c.d. principio di prevalenza) e l’accertamento dei fatti ivi contenuto non può essere contestato. Il provvedimento disciplinare compete, nel comparto del pubblico, impiego al direttore generale ex art. 20 d.l. 29 del 1993. Si tratta di un provvedimento definitivo, contro il quale è ammesso ricorso giurisdizionale o straordinario al Presidente della Repubblica. L’apertura di un procedimento penale nei confronti di un pubblico dipendente, o la grave violazione da parte di questi dei propri doveri, può comportare l’allontanamento temporaneo dal servizio (c.d. sospensione cautelare). L’amministrazione intende tutelarsi con tale provvedimento dai pregiudizi che potrebbero derivarle dalla continuazione di un rapporto di servizio con colui che è imputato di reati o comunque è sottoposto a procedimento disciplinare. La sospensione è automatica (art. 91 d.p.r. n. 3 del 1957) con l’emissione del mandato di comparizione o di ordine di cattura nei confronti del pubblico dipendente; facoltativa in caso di apertura di procedimento disciplinare. In quest’ultima ipotesi, la sospensione si fonda su un esame sommario dei fatti e su un apprezzamento della gravità degli stessi. Il procedimento disciplinare deve avere ad oggetto gli stessi addebiti indicati nel provvedimento di sospensione. Pur nella sua autonomia, quest’ultimo provvedimento si pone in un rapporto di necessaria strumentalità rispetto all’esito del giudizio disciplinare, determinandone un’anticipazione degli effetti. Se al pubblico dipendente non è irrogata alcuna sanzione, ha diritto alla restitutio in integrum che elimini i pregiudizi a lui causati sul piano economico e professionale dal provvedimento cautelare di sospensione dal servizio. Durante il periodo di sospensione il dipendente perde il diritto alla retribuzione, godendo solo di un assegno alimentare ed è escluso da esami o scrutini di promozione. .
responsabilità esterna dei consorziati: v. consorzio; consorzio, responsabilità come imprenditore commerciale.
responsabilità ex recepto: è la responsabilità del depositario. V. depositario, responsabilità del responsabilità.
responsabilità extracontrattuale: la responsabilità responsabilità o responsabilità aquiliana è la responsabilità per fatto illecito (v. fatti illeciti).
responsabilità extracontrattuale comunitaria: il Tribunale di I grado (v.) (in precedenza la competenza era della Corte di giustizia) è competente a conoscere delle controversie relative ai danni causati dalle istituzioni comunitarie o dagli agenti delle Comunità nell’esercizio delle loro funzioni (art. 40 del Trattato Ceca, art. 215 del Trattato Cee ed art. 151 Trattato Euratom). Questa competenza riveste un particolare interesse oltre che per il suo carattere esclusivo, collegato alla necessità di un trattamento uniforme della responsabilità della Comunità , anche sotto il profilo del diritto che l’organo giurisdizionale comunitario è chiamato ad applicare. Esso, infatti, dovendo applicare un diritto che deriva da una fonte estranea ai trattati, come è la legislazione degli Stati membri, ma solo in relazione ai principi comuni ai vari Stati, compie in via preliminare una analisi comparativa degli ordinamenti degli Stati membri per ricavarne le direttrici generali comuni in materia e quindi applica, relativamente allo specifico fatto concreto, non una norma di diritto interno, bensì una norma formulata dal giudice sulla base delle disposizioni di diritto interno. L’azione diretta ad accertare la responsabilità responsabilità è un rimedio autonomo, che non è in stretta correlazione ne´ con il ricorso in annullamento (v. ricorsi giurisdizionali comunitari, responsabilità per annullamento) ne´ con il ricorso in carenza (v. ricorsi giurisdizionali comunitari, responsabilità in carenza) e che trova il fondamento della sua ricevibilità non solo nell’esistenza di un comportamento illegittimo delle istituzioni comunitarie ma anche nell’esistenza di un danno e nel legame di causalità tra comportamento e danno.
responsabilità extracontrattuale indiretta: nell’assicurazione della responsabilità civile (v. assicurazione, responsabilità della responsabilità civile) è l’azione diretta riconosciuta dalla legge al danneggiato nei confronti dell’assicuratore (art. 18 l. 196, n. 990). Detta azione prescinde dal consenso o dalla richiesta dell’assicurato (cfr. art. 1917, comma 2o, c.c.). Si tratta di responsabilità extracontrattuale (v.) dell’assicuratore, in quanto il contratto di assicurazione viene in considerazione, nei confronti del terzo danneggiato, non come un atto giuridico, ma come un semplice fatto giuridico produttivo di obbligazione.
responsabilità illimitata: v. socio illimitatamente responsabile.
responsabilità illimitata dell’unico azionista: v. azionista, responsabilità illimitata dell’unico responsabilità.
responsabilità illimitata del debitore: v. debito, responsabilità e responsabilità .
responsabilità indiretta: per regola generale, l’obbligazione di risarcire il danno (v. fatti illeciti) incombe su colui che ha commesso il fatto, e sempre che si tratti di fatto doloso e colposo (art. 2043 c.c.). A questa regola fanno eccezione delle ipotesi nelle quali è responsabile del danno un soggetto diverso da quello che ha commesso il fatto; ipotesi che, per tradizione, si classificano come casi di responsabilità responsabilità. Sono casi di responsabilità responsabilità la responsabilità di padroni e dei committenti (v.); la responsabilità dei sorveglianti di incapaci, dei genitori, dei tutori, dei precettori (v.); la responsabilità del proprietario del veicolo (v. responsabilità del proprietario di veicoli). In alcuni casi si ha una concorrenza di responsabilità responsabilità e responsabilità oggettiva (v.): così in materia di circolazione di veicoli, alla responsabilità oggettiva del conducente (art. 2054, comma 1o, c.c.) (v. responsabilità per danno nella circolazione di veicoli) si aggiunge la responsabilità responsabilità del proprietario o dell’usufruttuario o dell’acquirente con patto di riservato dominio (v. vendita, responsabilità a rate con riserva di proprietà ) del veicolo (art. 2054, comma 3o, c.c.) (v. responsabilità del proprietario di veicoli). Del pari, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi alla responsabilità oggettiva del produttore (v. responsabilità del produttore) si affianca la responsabilità responsabilità di soggetti (di chi ha apposto sul prodotto il proprio segno distintivo o di chi ha fornito il prodotto, quando il produttore non sia individuato, o ha importato il prodotto entro la Cee) che possono essere diversi dal produttore, secondo le norme del d.p.r. n. 224 del 1988, attuativo della direttiva comunitaria sulla responsabilità del produttore.
responsabilità indiretta del proprietario di veicoli: con la responsabilità oggettiva del conducente (v. responsabilità per danno nella circolazione dei veicoli), concorre, quando il conducente non sia proprietario del veicolo, la responsabilità indiretta del proprietario o dell’usufruttuario o dell’acquirente con riserva di proprietà (v. vendita, responsabilità a rate con riserva di proprietà ), il quale può liberarsi da responsabilità solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà (art. 2054, comma 3o, c.c.), oltre che fornendo, naturalmente, la prova che il conducente non è responsabile, a norma dell’art. 2054, comma 1o, c.c., o a norma dell’art. 2046 c.c.. Usufruttuario o acquirente con patto di riservato dominio rispondono in vece del proprietario: la responsabilità dei primi, dunque, esclude quella del secondo. Si è posto il problema se, nel caso di veicolo in leasing, l’utilizzatore del bene risponda in vece della società di leasing (v.), per applicazione analogica della norma in esame; ed al problema è stata, correttamente, data risposta affermativa: la società di leasing, sebbene proprietaria del veicolo, perde per effetto del contratto ogni controllo sul mezzo; e la causa di questo contratto sta proprio nel trasferire all’utilizzatore, oltre che il godimento della cosa, anche i rischi ad essa relativi. Per liberarsi dalla responsabilità indiretta di cui all’art. 2054, comma 3o, c.c., non basta la prova di non avere dato ad altri il permesso di usare il mezzo: occorre la prova che la sua circolazione è avvenuta nonostante la contraria volontà del proprietario. Tale prova è spesso una prova difficile: non basta neppure la prova che l’automobile era stata rubata, e si risponde anche del danno cagionato dal ladro, se il mezzo era stato parcheggiato con la chiave di accensione inserita (in passato alcuni giudici avevano ritenuto responsabile il proprietario anche se la macchina era stata parcheggiata ermeticamente chiusa a chiave, ma al suo interno c’era il libretto di circolazione). Diverso è il caso della rapina: il proprietario non risponde, anche se i rapinatori si erano impossessati del mezzo con il consenso del proprietario; ma il consenso di questo è , in tal caso, estorto con violenza. Si ritiene che la volontà contraria all’uso del mezzo possa desumersi dal titolo contrattuale in forza del quale la detenzione del mezzo è dal proprietario affidata ad altri, come nei casi di affidamento del veicolo all’altrui custodia con mandato a vendere, di affidamento in custodia per il parcheggio o per l’esecuzione di riparazioni. Ci si chiede anche se il contrasto con la volontà del proprietario, idoneo ad escludere la sua responsabilità secondo l’art. 2054, comma 3o, c.c., possa essere desunto anche da un patto contrattuale intervenuto tra il proprietario ed il detentore (v. detenzione), con il quale venga precluso a quest’ultimo di consentire l’uso del mezzo a terzi. Così, chi ha dato una automobile in locazione (v.) può sottrarsi a responsabilità provando che il sinistro è stato provocato da un terzo, in presenza di una clausola che esclude l’uso del mezzo da parte di terzi? Ritengo che la risposta affermativa si imponga: se la volontà contraria può essere desunta dal titolo contrattuale, a maggior ragione essa assumerà rilievo quando è esplicitamente formulata. Conducente e proprietario rispondono in solido (v. obbligazioni, responsabilità solidali) fra loro: il danneggiato può , a sua scelta, esigere l’intero risarcimento dall’uno o dall’altro; ma si intende che il proprietario avrà azione di regresso per l’intero nei confronti del conducente. La responsabilità oggettiva, come la responsabilità indiretta, vale solo in sede civile, agli effetti del risarcimento del danno; non vale in sede penale (v. responsabilità penale), agli effetti della condanna per il reato che si è eventualmente commesso. In questa diversa sede non si può mai essere condannati se non si è commesso il fatto per dolo o per colpa (art. 42 c.p.). Può , perciò , accadere, ed è frequente in materia di incidenti stradali, che si sia assolti in sede penale (per mancanza di colpa) e condannati in sede civile, a titolo di responsabilità oggettiva o di responsabilità indiretta.
responsabilità indiretta per prodotti difettosi: v. responsabilità del produttore.
responsabilità limitata: ai sensi dell’art. 2740, comma 2o, c.c., le limitazioni della responsabilità sono ammesse solo nei casi stabiliti dalla legge. Per regola generale la responsabilità è illimitata, e la regola generale non può essere derogata per patto fra creditore e debitore, che limiti la responsabilità per inadempimento ad un determinato importo, come ad esempio la clausola della vendita o dell’appalto in base alla quale il venditore non risponde dei vizi della cosa venduta o l’appaltatore dei vizi dell’opera oltre il limite del valore della cosa o dell’opera. Una simile clausola è valida, a norma dell’art. 1229 c.c. (v. clausola, responsabilità di esonero da responsabilità ), solo se limita la responsabilità per colpa lieve; e questo è , appunto, uno dei casi in cui la limitazione convenzionale della responsabilità è , come esige l’art. 2740, comma 2o, c.c., ammessa dalla legge. Ev la stessa legge, in altri casi, a porre limiti alla responsabilità: così nel caso della limitazione della responsabilità dell’armatore (v.), del trasportatore marittimo (v. trasporto, responsabilità marittimo) ed aereo (v. trasporto, responsabilità aereo), nonche´ dei membri della comunione fra coniugi (v. comunione fra coniugi, responsabilità limitata nella responsabilità) (art. 190 c.c.), dell’erede che abbia accettato l’eredità con beneficio d’inventario (v.) (art. 490 c.c.). Ma l’ipotesi dominante, fra le eccezioni alla regola, è quella relativa alla responsabilità responsabilità della quale godono gli associati, anche nelle associazioni non riconosciute (v. associazione, responsabilità per le obbligazioni dell’responsabilità), i soci di società semplice (v.) (in presenza del patto di cui all’art. 2267 c.c.), i soci accomandanti di s.a.s. (v.) e per azioni (v. s.p.a.), i soci di s.p.a. (v.) e di s.r.l. (v.) (che non siano unici soci), i soci di società cooperative (v. società cooperativa), i membri dei consorzi fra imprenditori. Il rapporto fra regola ed eccezione appare, in atto, capovolto se si considera che il soggetto attivo nel mondo degli affari non è , nella normalità delle ipotesi, un imprenditore individuale o una società con soci a responsabilità illimitata, ma è all’opposto una società con soci a responsabilità responsabilità. In relazione a queste la regola generale dell’art. 2740 c.c. non perde però ogni valore: essa riacquista il proprio vigore quando, venuta meno la pluralità dei soci, l’unico socio decade dal beneficio della responsabilità responsabilità (artt. 2362, 2497, comma 2o, c.c.) (v. azionista, responsabilità illimitata dell’unico responsabilità) o quando, in presenza di abusi della personalità giuridica (v. abuso, responsabilità della personalità giuridica) della società , venga decretata la decadenza dal beneficio della responsabilità responsabilità del socio o dei soci che ne hanno abusato. V. anche debito, responsabilità e responsabilità .
responsabilità limitata dei soci di s.p.a.: v. s.p.a..
responsabilità limitata e gruppi di società: v. gruppi di società .
responsabilità limitata nelle società di capitali: v. società di capitali.
responsabilità oggettiva: per regola generale, l’obbligazione di risarcire il danno (v. fatti illeciti) incombe su colui che ha commesso il fatto, e sempre che si tratti di fatto doloso o colposo (art. 2043 c.c.). A questa regola generale fanno eccezione dei casi detti di responsabilità responsabilità, nei quali accade che chi ha commesso il fatto è chiamato a risponderne anche se lo ha commesso senza dolo o senza colpa, o accade che è chiamato a rispondere un soggetto che non ha commesso alcun fatto illecito, basandosi la sua responsabilità su una data relazione tra lui e la cosa che ha cagionato il danno. Sono casi di responsabilità responsabilità la responsabilità per danno cagionato da cose (v.), la responsabilità per danno nella circolazione di veicoli (v.), la responsabilità dell’esercente attività pericolose (v.), la responsabilità del produttore (v.). In alcuni casi responsabilità indiretta (v.) e responsabilità responsabilità concorrono fra loro: così, in materia di circolazione di veicoli, alla responsabilità responsabilità del conducente (v. responsabilità per danno nella circolazione di veicoli) (art. 2054, comma 1o, c.c.) si aggiunge la responsabilità indiretta del proprietario (v. responsabilità indiretta del proprietario di veicoli) o dell’usufruttuario o dell’acquirente con patto di riservato dominio del veicolo (art. 2054, comma 3o, c.c.). Del pari, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, alla responsabilità responsabilità del produttore (v. responsabilità del produttore) si affianca la responsabilità indiretta di soggetti (di chi ha opposto sul prodotto il proprio segno distintivo o di chi ha fornito il prodotto, quando il produttore non sia individuato, o ha importato il prodotto entro la Cee) che possono essere diversi dal produttore, secondo le norme del d.p.r. n. 224 del 1988, attuativo della direttiva comunitaria sulla responsabilità del produttore.
responsabilità oggettiva del conducente: v. responsabilità per danno nella circolazione di veicoli.
responsabilità oggettiva del fabbricante di prodotti difettosi: v. responsabilità del produttore.
responsabilità oggettiva per danno cagionato da cose: v. responsabilità per danno cagionato da cose; responsabilità oggettiva.
responsabilità patrimoniale del debitore: v. debito, responsabilità e responsabilità .
patto di esonero da responsabilità: v. clausola, responsabilità di esonero da responsabilità .
patto di limitazione della responsabilità: v. clausola, responsabilità di esonero da responsabilità .
responsabilità penale: è il criterio in forza del quale un soggetto è chiamato a rispondere di un determinato fatto, penalmente sanzionato. Al soggetto penalmente responsabile è attribuito tale fatto, e al medesimo soggetto è applicata la sanzione penale prevista dalla legge. In applicazione del principio di legalità , la fonte della responsabilità responsabilità può essere esclusivamente la legge (art. 25 Cost.). In ogni sistema penale moderno e civile, la responsabilità responsabilità è responsabilità per fatto proprio colpevole (art. 27 Cost.). Perciò va esclusa dal campo penale ogni ipotesi di responsabilità responsabilità per fatto altrui, ove il soggetto è chiamato a rispondere di un fatto commesso da altri; va esclusa, altresì, ogni ipotesi di responsabilità oggettiva, ossia per fatto proprio incolpevole. Ev configurabile, pertanto, la responsabilità responsabilità a carico di un soggetto, allorche´ questi abbia realizzato un fatto, tipico, previsto dalla legge come reato, con un atteggiamento psichico antidoveroso rispetto alla norma violata. Ev richiesta una partecipazione psichica dell’agente al fatto tipico. La responsabilità responsabilità deve essere accertata mediante un processo (v. processo penale) ove sia consentito al soggetto di difendersi. Tale soggetto non può essere considerato colpevole prima della condanna definitiva, ossia prima della conclusione dell’intero processo, e nel momento in cui si perviene ad una sentenza di accertamento della responsabilità responsabilità e di condanna del soggetto alla sanzione penale prevista, che non può essere modificata secondo gli ordinari mezzi di impugnazione.
responsabilità per causa del danno rimasta ignota: v. responsabilità per danno cagionato da cose.
responsabilità per danni a terzi sulla superficie: v. danno, responsabilità a terzi sulla superficie.
responsabilità per danno cagionato da animali: per l’art. 2052 c.c., il proprietario di un animale o chi se ne serva per il tempo in cui l’ha in uso (questo è il più antico caso di responsabilità oggettiva, risalente al diritto romano, cui si sono poi affiancati gli altri in epoca moderna) (v. responsabilità oggettiva) risponde del danno cagionato dall’animale (dei danni alla persona, ad esempio, cagionati dal morso di un cane), salvo che provi il caso fortuito (come, ad esempio, la rottura della catena a causa di un fulmine), al quale va equiparato il fatto dello stesso danneggiato, che ad esempio abbia imprudentemente introdotto la mano fra le inferiate della gabbia di un animale feroce. Si intende poi che non vale come caso fortuito il comportamento anomalo dell’animale (come l’improvviso imbizzarrimento di un cavallo), salvo che a provocarlo non sia stato lo stesso danneggiato. Il proprietario o l’utilizzatore dell’animale risponde, per l’art. 2052 c.c., sia che l’animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito: decisiva è , dunque, la qualità di proprietario o di utilizzatore; ed a nulla rileva il fatto che costoro avessero affidato l’animale in custodia ad altri, salva la loro azione di regresso nei confronti del custode. Giustificazione della responsabilità è qui il rischio inerente alla proprietà o alla utilizzazione dell’animale: un rischio che risulta addossato, alternativamente, al proprietario utilizzatore o all’utilizzatore non proprietario, come chi abbia in affitto il fondo rustico con le scorte vive; perciò , il proprietario non risponde se ha concesso ad altri l’utilizzazione dell’animale. Il danno deve essere stato cagionato dall’animale: è richiesto, perche´ operi l’art. 2052 c.c., che il danno si sia prodotto per effetto del comportamento attivo dell’animale; non può , perciò , invocare questa norma chi sia semplicemente inciampato sul corpo di un cane accucciato; mentre può invocarla che sia stato balzato dalla sella del proprio cavallo dall’azione scalciante del cavallo altrui. La peculiarità della norma sta nel fatto che il rapporto di causalità (v. causalità , rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno), necessario e sufficiente per rendere responsabile il proprietario o l’utilizzatore, si instaura qui non fra una azione umana e un evento dannoso, ma fra l’azione dell’animale e l’evento, del quale è chiamato a rispondere il proprietario o l’utilizzatore. Per quanto non manchino sentenze che, di fronte all’art. 2052 c.c., si esprimono in termini di presunzione di colpa (v. presunzione, responsabilità di colpa) del proprietario o dell’utilizzatore, si deve con tutta sicurezza affermare che costoro sono chiamati a rispondere per il solo fatto di essere proprietario o utilizzatore, quantunque nei loro confronti non possa essere configurata alcuna negligenza, imprudenza o imperizia, ed anche qualora essi non fossero in condizione di potere evitare l’evento dannoso. Altro è il fondamento della responsabilità, altra la ratio della norma che la sancisce, la sua evidente funzione di prevenzione degli eventi dannosi: si comprende che l’art. 2052 c.c., esponendo il proprietario o l’utilizzatore a responsabilità per il danno cagionato dall’animale, induce chi versa in tale condizione soggettiva ad esercitare sull’animale la massima vigilanza. Per il danno da animali vale una prova liberatoria affatto diversa da quella prevista dall’art. 2050 c.c. per l’esercizio di attività pericolose (v. responsabilità dell’esercente attività pericolose); ma non si può dire, in astratto, che una delle due sia più rigorosa dell’altra: chi esercita attività pericolose può essere chiamato a rispondere anche del caso fortuito (v.) (se il fulmine ha provocato il guasto degli impianti di depurazione, l’industriale risponde dei danni perche´ doveva adottare anche le misure idonee a immunizzare i fulmini); e, sotto questo aspetto, la prova della adozione di tutte le misure idonee appare più rigorosa; ma, se la causa del danno resta misteriosa, chi custodisce cose che hanno provocato danni ne risponde, anche se aveva adottato tutte le misure idonee ad evitarli; e, sotto quest’altro aspetto, la sua appare una responsabilità più gravosa. V. anche responsabilità per danno cagionato da cose.
responsabilità per danno cagionato da cose: nei casi di responsabilità responsabilità è possibile andare assolti da responsabilità solo con la prova del caso fortuito (v.), ossia di uno specifico avvenimento che ha, da solo, creato le condizioni dell’evento dannoso. Non basta, in altre parole, una prova critica (v. prova, responsabilità critica) dell’assenza del rapporto di causalità : occorre una prova storica (v. prova, responsabilità storica). I casi di responsabilità sono quelli di danno cagionato da cose in custodia o di danno cagionato da animali di cui agli artt. 2051 – 52 c.c.; e sono casi che presentano un’altra particolarità , comune all’ulteriore ipotesi del danno da rovina di edificio (v. responsabilità per rovina di edificio) di cui all’art. 2053 c.c.: il danno non è riferibile al comportamento, commissivo o omissivo, del soggetto chiamato a risponderne; questi ne risponde solo perche´ si trova in una data relazione responsabilità è proprietario o utilizzatore per l’art. 2052 c.c., custode per l’art. 2051 c.c., proprietario per l’art. 2053 c.c. responsabilità con la cosa che ha cagionato il danno. Sicche´ nei casi di responsabilità responsabilità non manca solo, della fattispecie descritta nell’art. 2043 c.c., l’estremo del fatto doloso o colposo: non è neppure configurabile un fatto, che possa dirsi commesso da un qualsiasi soggetto. V. anche responsabilità per danno cagionato da animali; responsabilità per danno cagionato da cose in custodia; responsabilità per rovina di edificio.
responsabilità per danno cagionato da cose in custodia: l’art. 2051 c.c. rende ciascuno responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito (v.). Anche qui la giurisprudenza continua a parlare di presunzione di colpa del custode; ma, a ben guardare, ne parla solo per rendere un omaggio formale alla tradizione: di fatto essa richiede, agli effetti della liberazione della responsabilità, non la prova dell’assenza di colpa, ossia la prova della propria diligenza, prudenza, perizia, bensì la prova positiva del caso fortuito, ossia dell’evento interruttivo del rapporto causale (v. causalità, rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno), e non concede esonero da responsabilità ove la causa del danno sia rimasta ignota. Di più : il custode di cui all’art. 2051 c.c., come il proprietario o l’utilizzatore dell’animale di cui all’art. 2052 c.c., o come il proprietario dell’edificio di cui all’art. 2053 c.c., risponde del danno anche se incapace di intendere e di volere. In queste ipotesi è irrilevante non solo la colpa del responsabile; è altresì irrilevante l’imputabilità del fatto dannoso, quantunque richiesta, con norma di portata apparentemente generale, dall’art. 2046 c.c. I presupposti per l’applicazione dell’art. 2051 c.c. sono: a) la figura del custode: è , nelle applicazioni giurisprudenziali, intesa in senso quanto mai lato; identifica chi ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa, quale che sia il titolo sul quale questo potere si fonda, ed anche in assenza di titolo, trattandosi di semplice potere di fatto. Questa lata interpretazione riduce alquanto l’ambito di applicazione dell’art. 2043 c.c.: possono invocare l’art. 2051 c.c. i condomini nei confronti del condominio, quale custode dei beni condominiali; gli utenti della strada nei confronti dell’ente proprietario di questa, per le insidie o trabocchetti di cui siano stati vittime; i clienti del pubblico esercizio, caduti sul pavimento scivoloso o colpiti dallo scoppio di una bottiglia di bibita gassata; il proprietario delle installazioni portuali contro l’armatore della nave che ha cagionato danni alle imbarcazioni in fase di ormeggio. Custode cessa di essere il proprietario, se ha dato in locazione la cosa? o se questa è nella totale disponibilità dell’appaltatore? La risposta negativa si impone per la considerazione che il proprietario non perde, in questi casi, il potere fisico di controllo. Una recente decisione della Cassazione ha stabilito che nella locazione (v.) di immobili ha la custodia della cosa chi ha la disponibilità diretta ed immediata, oltre che giuridica, dell’oggetto che ha causato il danno a terzi. Sempre secondo la predetta decisione il contratto di locazione trasferisce la disponibilità dell’immobile al conduttore, ma limitatamente alle parti la cui disponibilità immediata può essere trasmessa, e che perciò devono essere utilizzate in modo da prevenire danni, per esempio dovuti a intasamenti e allagamenti. Il proprietario invece resta custode e responsabile di tutte le cose che non passano nella custodia del conduttore, vale a dire delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, sui quali il conduttore non ha possibilità di intervenire per prevenire o riparare un danno. La premessa teorica, dalla quale la giurisprudenza muove, ossia la presunzione di colpa del custode, induce i giudici ad attribuire al custode ex art. 2051 c.c. l’obbligo di vigilare sulla cosa in modo da impedire che questa arrechi danni a terzi. La responsabilità del custode può così essere giustificata come responsabilità per colpa, sia pure presunta, consistente nella violazione, anch’essa presunta, di un tale dovere di vigilanza. Ma si tratta di mero obiter dictum: resta il fatto che la prova di una diligente vigilanza non libera, liberatoria essendo per la giurisprudenza solo la prova del caso fortuito; b) la cosa che cagiona i danni: qui è importante distinguere fra l’ipotesi in cui la cosa sia mera occasione dell’evento dannoso e l’ipotesi in cui ne sia, invece, la causa. L’impresa edile non risponde ex art. 2051 c.c. del furto commesso da ladri che, per penetrare in un appartamento, si sono avvalsi delle impalcature da essa montate: queste non sono state causa del danno, ma solo occasione; c) il rapporto di causalità (v. causalità , rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno) fra la cosa e il danno: lo si prova alla stregua del criterio, consueto, della normalità statistica; sicche´ , essendo prevedibile che chi scende da una scala dissestata possa cadere, c’è rapporto di causalità fra la scala dissestata e la caduta effettivamente avvenuta. Per il danno cagionato da cose vale una prova liberatoria affatto diversa da quella prevista dall’art. 2050 c.c. per l’esercizio di attività pericolose (v. responsabilità dell’esercente attività pericolose); ma non si può dire, in astratto, che una delle due sia più rigorosa dell’altra: chi esercita attività pericolose può essere chiamato a rispondere anche del caso fortuito (se il fulmine ha provocato il guasto degli impianti di depurazione, l’industriale risponde dei danni perche´ doveva adottare anche le misure idonee a immunizzare i fulmini); e, sotto questo aspetto, la prova della adozione di tutte le misure idonee appare più rigorosa; ma, se la causa del danno resta misteriosa, chi custodisce cose che hanno provocato danni ne risponde, anche se aveva adottato tutte le misure idonee ad evitarli; e, sotto quest’altro aspetto, la sua appare una responsabilità più gravosa. V. anche responsabilità per danno cagionato da cose.
responsabilità per danno nella circolazione di veicoli: è , statisticamente, l’ipotesi che cagiona il maggior numero di eventi dannosi: addirittura si può , con buona approssimazione, prevedere quale sarà nell’anno successivo il numero degli incidenti stradali, compreso il numero dei morti e dei feriti (sarà proporzionalmente maggiore dell’anno precedente se aumenterà il numero dei mezzi in circolazione, restando costante l’estensione della rete stradale). Il conducente di veicoli senza guida di rotaie (cioè destinati a circolare nel traffico con libertà di scelta del percorso: dagli autotreni alle biciclette) è responsabile del danno provocato dalla circolazione del veicolo anche se non è in colpa, ossia nonostante la guida diligente, prudente, esperta del mezzo. Si libera da responsabilità solo con la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (art. 2054, comma 1o, c.c.). La prova liberatoria è , anche qui, la prova diretta ad escludere il rapporto di causalità (v. causalità, rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno) fra la circolazione del veicolo e il danno: se l’automobilista prova di aver fatto tutto il possibile per evitarlo, si deve concludere che il danno era inevitabile e che, pertanto, egli non lo ha cagionato. Ev però un fatto che, nella concreta applicazione della norma, la prova liberatoria da essa consentita ha finito con il restare priva di contenuto: i giudici hanno richiesto, piuttosto che la prova del comportamento del conducente, quale prova critica (v. prova, responsabilità critica) della assenza del rapporto di causalità , la prova storica (v. prova, responsabilità storica) dell’evento interruttivo di questo rapporto, ossia la prova del fatto del danneggiato, o la prova del caso fortuito. Ev una prova liberatoria ugualmente ardua: chi, ad esempio, investe un pedone, non si libera certo da responsabilità provando di essersi comportato con la diligenza, la prudenza e la perizia del conducente medio; ma neppure si libera con la prova d’avere fatto tutto ciò che era umanamente possibile per evitare l’investimento. I giudici lo mandano esente da responsabilità solo se egli prova che l’investimento è riferibile al fatto del pedone, che ad esempio ha improvvisamente e imprevedibilmente attraversato la strada quando il veicolo era a pochi metri e nessuno, alla guida di quel mezzo, avrebbe potuto evitare l’investimento. Del pari, in caso di tamponamento fra veicoli, l’autore del tamponamento si libera da responsabilità solo con la prova del fatto del conducente del mezzo tamponato, il quale ad esempio ha arrestato il mezzo in circostanze del tutto imprevedibili ed inopinate. Caso fortuito, la cui prova libera il conducente, può essere lo slittamento del veicolo su una pozza d’olio presente sulla strada o l’improvviso malore che abbia colpito il conducente, purche´ non dipendente da malattia a lui nota, o l’abbagliamento di fari, se improvviso e imprevedibile. Il carattere oggettivo della responsabilità del conducente è reso ancor più grave dall’ulteriore principio secondo il quale il conducente, il proprietario, l’usufruttuario e l’acquirente con patto di riservato dominio rispondono del danno anche se questo deriva da vizi di costruzione o da difetti di manutenzione del veicolo (art. 2054, comma 4o, c.c.). Ben poco, evidentemente, può essere rimproverato a costoro se il veicolo è uscito difettoso dalla fabbrica o se l’officina, cui l’avevano affidato per ripararlo da un guasto, l’ha mal riparato. Qui non è ammessa alcuna prova liberatoria; la responsabilità non è , neppure qui, conseguenza della violazione di un obbligo; essa è comminata per indurre il conducente del mezzo, anche il conducente occasionale, il proprietario ecc. ad esercitare il massimo controllo sulle condizioni di sicurezza dei veicoli. Naturalmente, con la responsabilità di costoro concorre la solidale responsabilità del fabbricante, in caso di vizi di costruzione (v. responsabilità del produttore); in ogni caso, chi risarcisca il danno avrà azione di regresso per l’intero nei confronti del fabbricante o del riparatore. Per il caso di scontro fra veicoli vale una presunzione (v.): si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a cagionare il danno subito dai singoli veicoli (art. 2054, comma 2o, c.c.). A ciascuno dei conducenti, pertanto, incombe l’onere di provare che la responsabilità è tutta dell’altro o che è dell’altro in misura superiore alla metà (due terzi, tre quarti, ecc.). La responsabilità oggettiva vale solo in sede civile, agli effetti del risarcimento del danno; non vale in sede penale, agli effetti della condanna per il reato che si è eventualmente commesso. In questa diversa sede non si può mai essere condannati se non si è commesso il fatto per dolo o per colpa (art. 42 c.p.). Può , perciò , accadere, ed è frequente in materia di incidenti stradali, che si sia assolti in sede penale (per mancanza di colpa) e condannati in sede civile, a titolo di responsabilità oggettiva (v.) o di responsabilità indiretta (v.). V. anche responsabilità indiretta del proprietario di veicoli.
responsabilità per fatto degli ausiliari: v. ausiliari, responsabilità per fatto degli responsabilità.
responsabilità per fatto del dipendente: il lavoratore che ha causato il danno non è esente da conseguenze economiche, perche´ il suo datore di lavoro ha azione di regresso contro di lui ex art. 2055, comma 2o, c.c.. Ma per i lavoratori che, a causa del tipo di mansioni svolte, sono particolarmente esposti al rischio di responsabilità civile verso terzi e, in genere, per i quadri di azienda, l’art. 5 della l. n. 190 del 1985 obbliga il datore di lavoro ad assicurarli (v. prestazioni assicurative) contro il rischio.
responsabilità per il fatto illecito dei commessi: v. responsabilità dei padroni e dei committenti.
responsabilità per inadempimento: v. responsabilità contrattuale; inadempimento, responsabilità dell’obbligazione.
responsabilità per insicurezza del prodotto: v. responsabilità del produttore.
responsabilità per obbligazioni dell’associazione: v. associazione, responsabilità per le obbligazioni dell’responsabilità.
responsabilità per rovina di edificio: se un edificio o altra costruzione crolla, provocando danni a persone o a cose, il proprietario ne risponde, salva la prova che il crollo non è dovuto a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione (art. 2053 c.c.). Ev un criterio che può apparire analogo a quello delle attività pericolose (v. responsabilità dell’esercente attività pericolose): sembra doversi dare la prova di avere adottato misure idonee ad evitare il sinistro, come la buona manutenzione dell’edificio e la sua costruzione a regola d’arte. Ma non è così: deve qui essere data la prova del fatto specifico che ha provocato il sinistro (come una eccezionale tempesta di vento, di intensità superiore a quella considerata dalle norme tecniche sulle costruzioni edilizie); dopo di che si potrà addurre che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. E le cause ignote restano, anche qui, a carico del proprietario. Presupposto della responsabilità responsabilità è , come la Cassazione conviene, la mera qualità di proprietario del bene, al momento della rovina; sicche´ risulta puramente formale il costante ripetersi, nelle massime del Supremo Collegio, del preambolo secondo il quale l’art. 2053 c.c. si basa su una presunzione di colpa (v. responsabilità per danno cagionato da cose) del proprietario e sulla violazione, anch’essa presunta, di un dovere di vigilanza. Si deve rilevare, piuttosto, come la giurisprudenza esiga una prova liberatoria quanto mai rigorosa: la cosiddetta presunzione di colpa è qui resa superabile soltanto se ricorrono gli estremi del caso fortuito (v.) o della forza maggiore (v.), ovvero del fatto del terzo (v. fatto del terzo, liberazione del debitore per responsabilità). Orbene, il caso fortuito libera da responsabilità il proprietario perche´ esclude il rapporto di causalità (v. causalità , rapporto di responsabilità fra fatto illecito e danno) fra la cosa e il danno, denotando come la cosa ne sia stata semplice occasione (se il tetto crolla a causa di un eccezionale temporale, causa del danno sono le forze della natura, in balia delle quali l’immobile si è trovato); l’assenza di colpa del proprietario non viene affatto in considerazione.
responsabilità precontrattuale: chi, violando il dovere di buona fede (v.) nelle trattative contrattuali, ha cagionato un danno all’altra parte è tenuto a risarcirlo. Ev la cosiddetta responsabilità responsabilità: la sua fonte viene dalla giurisprudenza identificata in un fatto illecito (v. fatti illeciti) che ha preceduto o accompagnato la formazione del contratto (il non avere informato l’altro contraente, l’avere senza giustificazione interrotto le trattative). Ev , perciò , considerata una forma di responsabilità aquiliana (v. responsabilità extracontrattuale), regolata dalle norme a questa relative, inclusa quella di cui all’art. 2947 c.c., concernente il termine di prescrizione dell’azione. La misura del danno risarcibile si determina con il criterio dell’interesse contrattuale negativo, consistente del danno subito a causa dell’infruttuosa contrattazione. Alla giurisprudenza sembra difficile concepire una responsabilità contrattuale (v.) che non derivi dall’inadempimento di obbligazioni nascenti da un già concluso contratto. Ma la responsabilità che si suole definire come contrattuale è , in realtà , la responsabilità nascente dall’inadempimento di una obbligazione (art. 1218 c.c.), quale che sia la fonte, contrattuale o non contrattuale, dalla quale l’obbligazione inadempiuta derivi. Qui c’è una obbligazione inadempiuta: quella che trova la propria fonte nel fatto giuridico della instaurazione, fra le parti, di una trattativa precontrattuale e che ha per oggetto il comportamento secondo buona fede di ciascuna di esse. Perciò hanno forti argomenti le dottrine che si esprimono in termini di responsabilità contrattuale. Nessun dubbio può sussistere per l’ipotesi in cui la trattativa sia stata preceduta da un programma contrattuale (v.), che è già di per se´ un contratto: in tal caso, il comportamento delle parti in pendenza della trattativa potrà essere valutato come esecuzione di un contratto, e si potrà parlare di responsabilità contrattuale se e nella misura in cui l’omessa informazione o la rottura della trattativa possa essere qualificata come inadempimento di una obbligazione nascente dal programma di contratto. Ed altrettanto va detto per la violazione degli ulteriori doveri che talvolta sono previsti nel programma contrattuale, spesso in modo molto minuzioso. Una specifica ipotesi di responsabilità responsabilità è prevista dall’art. 1338 c.c.: la parte che, conoscendo, o dovendo conoscere con l’uso dell’ordinaria diligenza, l’esistenza di una causa di invalidità del contratto (si è accorta, ad esempio, dell’errore nel quale è incorso l’altro contraente), è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità o nell’efficacia del contratto. L’altra parte potrà sì ottenere (una volta scoperto il proprio errore) l’annullamento del contratto, con la restituzione della prestazione eventualmente eseguita, ma ciò può non avere interamente eliminato il danno da essa subito: può esserci l’interesse contrattuale negativo quale danno emergente (v. danno, responsabilità emergente), consistente nelle spese sostenute (le spese affrontate dall’appaltatore dell’esempio precedente), e quale lucro cessante (v.) derivante dalle occasioni perdute (l’appaltatore, per predisporsi ad eseguire quel contratto, che assorbiva tutta la capacità produttiva della sua impresa, aveva dovuto rinunciare ad altri contratti). L’altra parte, se prova di avere subito questo danno, ha diritto di esserne risarcita. Null’altro che un’applicazione di questa regola è la esaminata responsabilità del falsus procurator (v.). E va rilevato che l’interesse negativo può addirittura superare quello positivo, se il lucro ricavabile dal contratto al quale si è rinunciato sarebbe stato superiore a quello sperato dal contratto invalido.
responsabilità senza colpa: v. responsabilità oggettiva; responsabilità indiretta.
responsabilità senza dolo: v. responsabilità oggettiva; responsabilità indiretta.
responsabilità solidale: se più persone sono responsabili del medesimo danno, esse ne rispondono solidalmente: il danneggiato può esigere l’intero risarcimento da ciascuno di essi, indipendentemente dalla gravità della colpa dei singoli (art. 2055, comma 1o, c.c.). Chi ha pagato avrà poi azione di regresso nei confronti degli altri responsabili; e solo in questa sede si potrà tenere conto del diverso grado della colpa di ciascuno (art. 2055, comma 2o, c.c.). Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali (art. 2055, comma 3o, c.c.). Perche´ operi la responsabilità responsabilità è sufficiente che più persone siano concorse a cagionare il medesimo danno; non occorre che esse abbiano cooperato nella medesima azione o nella medesima omissione. Una responsabilità responsabilità per un medesimo evento dannoso può nascere da azioni o omissioni indipendenti di più persone, ed anche quando l’una abbia agito con dolo e l’altra con colpa; come può nascere nell’ipotesi in cui il medesimo evento dannoso sia imputabile all’una a titolo di inadempimento (v.) contrattuale ed all’altra a titolo di responsabilità da fatto illecito (v. fatti illeciti). Il grado della colpa è rilevante anche nel caso in cui il danneggiato sia concorso, con il proprio comportamento, a provocare il danno (cosiddetto concorso di colpa del danneggiato). Vale in tale caso, l’art. 1227, comma 1o, c.c.: il risarcimento dovuto dal danneggiante è diminuito in proporzione con il grado della colpa del danneggiato. V. anche fideiussione.
responsabilità solidale del fabbricante: v. responsabilità del produttore.
Responsabile d’imposta | | | Responsabilità amministrativa |