Tra il marito e la moglie può esserci comunione oppure separazione dei beni. Il regime legale (art. 159 c.c.) è quello della comunione: occorre una esplicita opzione dei coniugi per instaurare fra loro, in luogo del regime di comunione, quello della separazione dei beni (artt. 159 ss. c.c.).
acquisti a titolo originario nella comunione fra coniugi: ci si domanda se gli acquisti di cui all’art. 177 lett. a c.c. siano solo quelli a titolo derivativo (v. acquisto, comunione fra coniugi a titolo derivativo) o anche quelli a titolo originario (v. acquisto, comunione fra coniugi a titolo originario). Non c’è ragione di distinguere: sarebbe, del resto, incongruo ritenere che un bene entri o non entri in comunione a seconda che sia acquistato a domino oppure a non domino, in forza dell’art. 1153 c.c.. Ma si è posto il caso della costruzione eseguita, in costanza di matrimonio, su terreno parafernale di un coniuge: dovrà la proprietà superficiaria, con il diritto di superficie sul suolo, essere qualificata come acquisto compiuto dal coniuge proprietario del suolo? Sta di fatto che un nuovo bene è entrato, durante il matrimonio, nel patrimonio del coniuge, e che vi è entrato in virtù di quel modo di acquisto della proprietà che è l’accessione (v.): se nell’art. 177, lett. a c.c., si ricomprendono gli altri acquisti a titolo originario, nulla può giustificare l’esclusione dell’accessione.
amministrazione dei beni in comunione fra coniugi: l’comunione fra coniugi comunione fra coniugi ordinaria, nonche´ la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi, spetta, disgiuntamente, a ciascun coniuge; gli atti di straordinaria amministrazione debbono, invece, essere compiuti congiuntamente da essi (art. 180 c.c.) e, in caso di disaccordo, ci si rivolge al giudice (art. 181 c.c.). Sono equiparati agli atti di straordinaria amministrazione, per l’art. 180, comma 2o, c.c., i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento.
comunione fra coniugi attuale: è la comunione formata dai beni di cui alle lettere a e d dell’art. 177 c.c..
azioni di società in comunione fra coniugi: v. valori mobiliari in comunione fra coniugi.
beni compresi nella comunione fra coniugi: la comunione fra coniugi comprende (art. 177 c.c.): a) gli acquisti compiuti dai coniugi, anche separatamente, durante il matrimonio; esclusi, quindi, i beni appartenenti loro già prima del matrimonio (cosiddetti beni parafernali), ed esclusi gli altri beni personali (art. 179 c.c.). La formula legislativa (gli acquisti compiuti) ha sollevato molti interrogativi: la si deve leggere con riferimento ai beni acquistati oppure con riguardo al titolo dell’acquisto di beni, fonte del diritto di credito al conseguimento della proprietà ? Se, in costanza di matrimonio, uno dei coniugi conclude un contratto preliminare per l’acquisto di un bene, si può ritenere che il titolo si comunichi all’altro coniuge e che questi possa agire per l’adempimento del preliminare? La risposta negativa è suggerita dalla considerazione che oggetto di comunione possono essere beni, e non anche diritti di credito, quantunque strumentali al conseguimento della proprietà di un bene. Dalla medesima considerazione discende la risposta negativa al quesito se il diritto di credito alla restituzione di un deposito bancario eseguito da uno dei coniugi possa essere esercitato dall’altro coniuge. Ancora: assume rilievo, per decidere se l’acquisto è avvenuto durante il matrimonio, la data del titolo di acquisto o la data in cui si produce l’effetto acquisitivo della proprietà del bene? Se, prima del matrimonio, un coniuge ha concluso una compravendita con riserva di proprietà ed è diventato proprietario del bene, con il pagamento dell’ultima rata, in costanza di matrimonio, il bene cade in comunione fra coniugi legale? La risposta è affermativa: rilevante è il momento in cui si consegue la proprietà , come è confermato dall’art. 179, comma 1o, lett. a c.c., che esclude dalla comunione fra coniugi i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario, anche se ne ha pagato il corrispettivo durante il matrimonio. In tutti i casi nei quali opera l’art. 177, lett. a c.c., lo stato di comunione fra coniugi si attua ipso iure, senza necessità di un ritrasferimento dall’altro coniuge di una quota del bene acquistato da un coniuge. La norma in esame configura uno specifico modo di acquisto della (com)proprietà , basato sulla qualità di coniuge di chi ha compiuto l’acquisto: il bene entra pro quota nel patrimonio del coniuge senza transitare attraverso il patrimonio di chi lo ha acquistato; b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti ma non consumati al momento dello scioglimento della comunione fra coniugi. Così i canoni di locazione dell’immobile parafernale; gli interessi sul capitale o i dividendi sulle azioni ricevute in eredità e così via; c) i proventi dell’attività separata di ciascuno di essi, percepiti, ma non ancora consumati al momento dello scioglimento della comunione fra coniugi. Così gli utili dell’impresa gestita da un solo coniuge, i diritti d’autore o di inventore per le opere dell’ingegno o le invenzioni industriali del coniuge, le retribuzioni per il lavoro prestato, inclusa l’indennità di fine rapporto; d) le aziende costituite durante il matrimonio e gestite da entrambi i coniugi; ma comunione fra coniugi precisa l’art. 177, comma 2o, c.c. comunione fra coniugi qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio e gestite da entrambi, la comunione fra coniugi comprende solo gli utili e gli incrementi. Ev qui configurata una forma di esercizio in comune di una attività economica alternativa rispetto alla società (v.): se un’impresa è di fatto esercitata in comune da due persone, e queste sono coniugi che non abbiano optato per il regime della separazione dei beni, l’attività esercitata in comune non dà luogo ad una società , secondo l’art. 2247 c.c., e in particolare ad una società di fatto, bensì ad una azienda coniugale. Non si applicano le norme sulla società semplice (se l’attività di fatto esercitata in comune è una attività agricola) o quelle sulla società in nome collettivo irregolare (se l’attività di fatto esercitata in comune è una attività commerciale), ma le norme che regolano la comunione legale fra coniugi. Perciò la figura della comunione di impresa, inammissibile in via di principio, risulta ammessa fra coniugi; ma non si tratta qui della ordinaria comunione regolata dagli artt. 1100 ss. c.c., bensì della speciale comunione di cui agli artt. 180 – 192 c.c., giudicata come non inadatta all’esercizio collettivo di un’impresa. L’azienda coniugale ha carattere alternativo, rispetto alla società , ma residuale: ricorre quando i coniugi non abbiano, ancorche´ in regime di comunione legale, concluso un espresso contratto di società , quale che sia il tipo societario prescelto; e la conclusione di un contratto di società fra coniugi non richiede una convenzione modificativa del regime della comunione legale, ai sensi dell’art. 210 c.c., salvo che l’azienda coniugale non preesistesse alla conclusione del contratto di società . Se, in comune con i coniugi, esercitano l’attività imprenditoriale anche terzi, si è fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 177, lett. d c.c.: il rapporto dovrà essere qualificato come società di fatto. V. anche acquisti a titolo originario nella comunione fra coniugi.
beni esclusi dalla comunione fra coniugi: sono esclusi dalla comunione fra coniugi, in quanto beni personali a norma dell’art. 179 c.c.: a) i cosiddetti beni parafernali, dei quali il coniuge era proprietario prima del matrimonio o sui quali già aveva un diritto reale di godimento; b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione (v.) o di successione (v.), purche´ nell’atto di liberalità o nel testamento non sia specificato che essi sono attribuiti alla comunione; c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori. Questi sono esclusi dalla comunione fra coniugi anche se acquistati con danaro comune: sono gli abiti, quale che ne sia il valore; ma non anche i gioielli, se di grande valore (quantunque destinati ad un uso personale, essi sono anche oggetti di investimento; non sono solo beni d’uso, sono anche valori di scambio); d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione dell’azienda coniugale, che sono comuni ai sensi dell’art. 177, lett. d, c.c.. Non sono neppure quelli destinati all’esercizio dell’impresa del coniuge, che formano oggetto di comunione de residuo a norma dell’art. 178 c.c.. Sono sicuramente gli strumenti di lavoro del professionista intellettuale, e possono anche essere, come si desume dall’art. 179, comma 2o, c.c., beni immobili o beni mobili registrati: così l’immobile adibito a studio professionale. E qui c’è una incongruenza, giacche´ l’immobile adibito ad azienda del coniuge rientra nella comunione de residuo; ne´ l’incongruenza si supera includendo l’immobile adibito a studio professionale nella comunione fra coniugi: sarebbe in tal caso deteriore la condizione del professionista intellettuale rispetto a quella dell’imprenditore, i cui beni aziendali sono sottratti alla comunione fra coniugi attuale; e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno, nonche´ la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa. Si tratta di somme che reintegrano una (parzialmente o totalmente) perduta capacità della persona; e non è sembrato giusto renderne partecipe il coniuge. Ma per la stessa ragione si dovrà escludere dalla comunione il risarcimento del danno biologico (v.). Cade, invece, in comunione de residuo il risarcimento dovuto per mancata percezione del reddito nel periodo di invalidità temporanea, essendo l’equivalente dei proventi di cui all’art. 177, lett. c, c.c., al pari di quello ricevuto per la mancata percezione dei frutti di cui all’art. 177, lett. b, c.c.; f) i beni, infine, che sono stati acquistati con il prezzo del trasferimento dei predetti beni personali o con il loro scambio, purche´ ciò sia espressamente dichiarato nell’atto di acquisto. In difetto di questa dichiarazione non opera la surrogazione, nel nuovo bene, della qualità personale del bene venduto o permutato, ed il nuovo bene cade in comunione. La dichiarazione ha, secondo la giurisprudenza, natura di dichiarazione di volontà , diretta ad attuare la surrogazione; deve essere espressa e rivolta all’altro coniuge, che deve perciò essere presente all’acquisto e che con il proprio silenzio esprime accettazione; ma non occorre, se l’acquisto ha per oggetto un bene mobile, che sia una dichiarazione scritta. Che si tratti di dichiarazione di volontà (v. atti giuridici, dichiarazione di volontà come comunione fra coniugi), produttiva dell’effetto surrogatorio, si può convenire: sarebbe, altrimenti, incomprensibile che una dichiarazione di scienza (v. atti giuridici, dichiarazione di scienza come comunione fra coniugi), enunciativa della provenienza del danaro, non possa essere resa successivamente all’atto di acquisto. Bisogna però precisare che l’effetto surrogatorio trova pur sempre la propria giustificazione nella provenienza del danaro dalla vendita di un bene personale del coniuge: la più corretta qualificazione della dichiarazione in parola è , perciò , quella di dichiarazione (bilaterale) ricognitiva, che inverte l’onere della prova (v. onere, comunione fra coniugi della prova). L’altro coniuge, sebbene consenziente all’atto dell’acquisto, potrà successivamente dare la prova che il danaro utilizzato era danaro comune ed ottenere una sentenza che accerti la natura del bene come bene in comunione fra coniugi; ed analoga azione, basata sulla medesima prova, potrà essere esercitata in via surrogatoria del terzo creditore della comunione fra coniugi o dell’altro coniuge. Al fatto che si tratta di volontà ricognitiva e non dispositiva consegue anche che, ove l’altro coniuge contesti, all’atto dell’acquisto, la dichiarazione del coniuge acquirente, impedendo così la produzione (contrattuale) dell’effetto surrogatorio, questo effetto potrà essere ugualmente provocato dal coniuge acquirente con l’accertamento giudiziale della provenienza del danaro della vendita di un bene personale. Corrispondente qualificazione va estesa alla dichiarazione richiesta dall’art. 179, comma 2o, c.c. Se viene acquistato, quale bene di uso strettamente personale o quale bene destinato all’esercizio della professione o quale reimpiego del prezzo di vendita di un qualsiasi bene personale, una cosa immobile o mobile registrata, il bene acquistato è escluso dalla comunione fra coniugi solo se all’atto di acquisto prende parte anche l’altro coniuge e nell’atto è dichiarata l’esclusione dalla comunione fra coniugi. Qui la dichiarazione deve essere scritta perche´ si tratta di acquisti soggetti a trascrizione ai sensi dell’art. 2647 c.c., che fa esplicito riferimento agli atti di acquisto personali a norma delle lettere c, d, e ed f dell’art. 179 c.c., da trascriversi a carico del coniuge titolare del bene escluso dalla comunione fra coniugi, e dell’art. 2685, che ripete analoga formulazione. Per effetto della trascrizione dell’acquisto, recante la dichiarazione voluta dall’art. 179, comma 2o, c.c., l’esclusione del bene dalla comunione fra coniugi risulterà opponibile ai creditori della comunione fra coniugi o a quelli dell’altro coniuge, a norma dell’art. 2915 c.c.. Qui non può valere la concorde qualificazione della pubblicità richiesta dall’art. 2647 c.c. quale semplice pubblicità comunione fra coniuginotizia (v.): essa vale per le convenzioni matrimoniali, in quanto opponibili ai terzi in forza della loro annotazione a margine dell’atto di matrimonio (art. 162, comma 4o, c.c.); non anche per gli acquisti di beni personali, insuscettibili di una simile annotazione. Può accadere che, dopo avere acquistato un bene personale, il coniuge lo alieni ad un terzo, mentre l’altro coniuge contesta, in contrasto con la dichiarazione sottoscritta ai sensi dell’art. 179, comma 2o, c.c., la natura personale del bene in questione. Considerata la natura di questa azione, quale azione di accertamento della comproprietà del bene, il conflitto andrà risolto sulla base dell’art. 2653 n. 1 c.c., che fa riferimento alla trascrizione delle domande dirette all’accertamento della proprietà e degli altri diritti reali (dunque, anche della comproprietà ): la sentenza ottenuta dall’altro coniuge sarà opponibile al terzo acquirente solo se la relativa domanda giudiziale era stata trascritta prima della trascrizione dell’acquisto del terzo. Ai casi menzionati dall’art. 179 c.c. la Cassazione ne ha aggiunto uno ulteriore: è il caso in cui l’altro coniuge, con dichiarazione inserita nell’atto di acquisto dell’immobile o del mobile registrato, rinunci alla comunione del bene, quantunque non si tratti di bene rientrante fra quelli di cui alle lett. c, d, f dell’art. 179 c.c.. In questo caso la volontà del coniuge non è dichiarativa, bensì dispositiva: la Cassazione precisa che la dichiarazione non può essere successivamente revocata e che è resa pubblica con la trascrizione dell’atto, mentre i creditori della comunione fra coniugi e quelli particolari del coniuge possono, ricorrendone i presupposti, esperire l’azione revocatoria (v.) della dichiarazione in parola, siccome atto di disposizione del proprio patrimonio. Con il che viene data una lettura siffatta dell’art. 177, lett. a c.c.: gli acquisti compiuti separatamente da ciascuno dei coniugi cadono in comunione fra coniugi, salvo che non si tratti di beni personali e salvo che l’altro coniuge non abbia, nell’atto di acquisto, dichiarato una volontà contraria. La regola della comunione fra coniugi è , a questo modo, contemperata con il principio dell’autonomia contrattuale: la comunione fra coniugi è , insomma, comunione legale, ma non comunione fra coniugi forzosa (v.) (e la stessa Cassazione fa valere l’argomento secondo il quale nessuno può essere costretto, contro la sua volontà , ad acquisire un bene). Non si tratta, si noti, di una rinuncia alla quota (e l’ipotesi non è assimilabile a quelle di cui agli artt. 882, comma 2o, 1104 c.c.): qui l’atto di volontà dell’altro coniuge interviene prima che la fattispecie acquisitiva si perfezioni, e perciò il bene è ab initio acquistato individualmente dal coniuge stipulante. Ev la rinuncia ad acquistare un diritto, non la rinuncia ad un diritto già acquistato.
creditori della comunione fra coniugi e creditori particolari del coniuge in comunione fra coniugi: sui beni che formano la comunione fra coniugi è impresso un vincolo di destinazione: essi sono destinati, in modo prioritario, al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli. Questo vincolo di destinazione ha efficacia esterna: è, cioè , opponibile ai creditori, e dà luogo alla distinzione fra due serie di creditori: a) creditori le cui ragioni di credito dipendano da obbligazioni contratte dai coniugi, congiuntamente o, se nell’interesse della famiglia, anche separatamente, oppure derivanti dall’amministrazione dei beni comuni; b) creditori particolari di ciascun coniuge, le cui ragioni di credito, cioè , non dipendono da obbligazioni contratte nell’interesse della famiglia o derivanti dall’amministrazione dei beni comuni. I primi possono soddisfarsi sulla totalità dei beni comuni (art. 186 c.c.) e, se questi non bastano, possono agire sui beni personali di ciascun coniuge, ma solo per la metà del credito (art. 190 c.c.). Questa non è soltanto responsabilità parziaria dei coniugi, in deroga all’art. 1294 c.c.; diventa responsabilità limitata di ciascun coniuge, in deroga all’art. 2740, comma 1o, c.c., se l’altro non abbia beni personali. Il che ha l’evidente funzione di creare un incentivo per la preferenza da parte dei coniugi, del regime di comunione. Si noti che i beni della comunione fra coniugi rispondono, a norma dell’art. 186 c.c., come sussidiariamente rispondono, per l’art. 190 c.c., i patrimoni personali dei coniugi, anche per le obbligazioni assunte separatamente da ciascuno di essi, se nell’interesse della famiglia (art. 186, lett. c, c.c.). Può anche trattarsi di obbligazioni di elevato importo, nascenti da atti di straordinaria amministrazione; ma, se non sono atti di disposizione o di amministrazione straordinaria delle cose comuni, bensì acquisiti di nuovi beni, come ad esempio l’acquisto di un appartamento quale abitazione familiare, non si applicano ne´ l’art. 180 ne´ l’art. 184 c.c., con la conseguenza che l’altro coniuge, quantunque ignaro dell’acquisto, si troverà esposto verso il terzo creditore sia con la propria quota dei beni comuni sia con il proprio personale patrimonio, senza potere agire per l’annullamento dell’atto, che è rimedio che non vale per gli acquisti (che non siano acquisti di diritti personali di godimento). Poco giova l’esigenza di concordare l’indirizzo della vita familiare di cui all’art. 144 c.c. e la richiesta di intervento del giudice ex art. 145 c.c.: se il coniuge ha agito all’insaputa dell’altro, le conseguenze patrimoniali di cui agli artt. 186 e 190 c.c. si producono, a carico del secondo, senza possibilità di rimedio. Unico limite è il criterio dell’interesse della famiglia, la cui riconoscibilità può porre ardui problemi al terzo contraente, e la cui previsione legislativa certo non giova alla sicurezza nella circolazione dei beni. I creditori particolari debbono anzitutto agire sui beni personali del coniuge loro debitore e, solo se questi beni sono insufficienti, possono soddisfarsi (subordinatamente ai primi, se gli uni e gli altri sono creditori chirografari) sul valore della sua quota dei beni comuni (art. 189, comma 2o, c.c.). Questo onere di preventiva escussione dei beni personali deroga ai principi vigenti per la comunione in genere: là tutti i creditori del partecipante alla comunione sono sullo stesso piano, senza poter distinguere fra i criteri della comunione e creditori particolari, salve solo le comuni cause di prelazione. Oggetto di esecuzione sono i beni comuni fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato: formula che è stata talora letta nel senso che ciascun bene comune sia espropriabile solo nei limiti della quota del coniuge debitore; talaltra nel senso che l’esecuzione può colpire per intero uno o più beni comuni, se il loro valore è pari al valore della quota del debitore, e questa è la soluzione da preferire, giacche´ l’art. 189, comma 2o, c.c., non parla di espropriazione della quota (che nella comunione fra coniugi non esiste), ma di espropriazione dei beni comuni fino al valore della quota. Al creditore particolare del singolo coniuge è equiparato il creditore le cui ragioni dipendano da obbligazioni contratte, nell’interesse della famiglia, da uno dei coniugi senza il consenso dell’altro, quando sia necessario a norma dell’art. 180, comma 2o, c.c. (art. 189, comma 1o, c.c.). Il che getta luce sulla sorte degli atti di straordinaria amministrazione compiuti da un coniuge senza il consenso (o la successiva convalida) dell’altro: l’atto non è inefficace; non è , cioè , assimilabile all’atto del falsus procurator (v.) (assimilazione improponibile, in questa materia, perche´ i coniugi agiscono in nome proprio, anche se nell’interesse della famiglia); l’atto è efficace, ma vincola solo il coniuge che lo ha compiuto, allo stesso modo degli atti assuntivi di obbligazioni personali. Perciò , se un coniuge appalta lavori di straordinaria amministrazione sull’immobile comune senza il consenso dell’altro, il contratto di appalto è valido (salvo che l’altro coniuge non ne chieda l’annullamento a norma dell’art. 184 c.c.), ma l’appaltatore potrà agire per il pagamento del corrispettivo nei confronti del coniuge contraente, e solo in via sussidiaria, e nei limiti di valore della sua quota, sui beni comuni.
comunione fra coniugi de residuo: mentre i beni di cui alle lettere a e d dell’art. 177 c.c. formano una comunione fra coniugi attuale (sono beni che, già durante il matrimonio, appartengono in comunione ai coniugi), i frutti e i proventi di cui alle lettere b e c sono oggetto di una comunione fra coniugi solo eventuale e differita. Appartengono, durante il matrimonio, al coniuge che li ha percepiti; e solo se non consumati, ossia risparmiati, o non alienati durante il matrimonio o, comunque, in pendenza del regime di comunione fra coniugi saranno divisi in parti uguali fra i coniugi (o i loro eredi) al momento dello scioglimento della comunione fra coniugi. Finche´ la comunione fra coniugi non è sciolta, il coniuge può disporre liberamente dei frutti e dei proventi in parola; l’altro coniuge non può avanzare pretese su di essi, ne´ i suoi creditori possono aggredirli. Se il coniuge percettore li utilizza per acquistare altri beni, allora si è in presenza di acquisti ai sensi dell’art. 177 lett. a c.c., ed i beni acquistati cadranno in comunione fra coniugi, salvo che non si tratti di beni strettamente personali o di beni che servono all’esercizio della professione, ai sensi delle lett. c e d dell’art. 179 c.c.. Fanno parte della comunione fra coniugi, ai sensi dell’art. 178 c.c., anche i beni destinati all’esercizio dell’impresa di un coniuge costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita precedentemente: l’intera azienda nel primo caso, i beni aziendali acquistati dopo il matrimonio nel secondo. Perciò , c’è comunione attuale nelle aziende gestite da entrambi i coniugi (art. 177, comma 2o, lett. d, c.c.); c’è comunione differita su quelle gestite da uno solo di essi. L’elemento distintivo fra le due ipotesi sta nella gestione dell’impresa, che è comune nel primo caso, propria di un solo coniuge nel secondo; ma occorre, perche´ ricorra la prima ipotesi, che ci sia collaborazione nella direzione dell’impresa, non semplice prestazione di attività lavorativa (ciò che può dare luogo all’impresa familiare di cui all’art. 230 bis c.c.). Segno sicuramente rivelatore di una gestione comune è il fatto che entrambi i coniugi trattino e concludano affari con i terzi; ma ciò non costituisce estremo necessario, potendo la gestione esterna essere delegata ad un solo coniuge (art. 182, comma 2o, c.c.), limitandosi l’altro a collaborare alla interna amministrazione aziendale, ossia alla assunzione delle decisioni relative alla direzione dell’impresa. Il fatto che uno dei coniugi eserciti un’impresa influisce sull’applicazione dell’art. 177 lett. a c.c.: gli acquisti compiuti dal coniuge imprenditore, che abbiano per oggetto beni aziendali, non danno luogo a comunione attuale, ma a comunione de residuo; ed è sufficiente, per sottrarre il bene acquistato al regime di comunione attuale, anche di fronte ai creditori dell’altro coniuge, la oggettiva destinazione del bene all’esercizio dell’impresa, senza necessità degli adempimenti di cui all’art. 179, comma 2o, c.c., richiesti per gli acquisti di immobili o di mobili registrati aventi natura di beni personali. Quando la comunione fra coniugi si scioglie, frutti, proventi, beni e incrementi in parola, stando alla lettera degli artt. 177 e 178 c.c., costituiscono oggetto della comunione. Ma può accadere, e spesso accade, che nel patrimonio del coniuge percettore non si trovino beni o somme di danaro, bensì crediti di restituzione verso le banche presso le quali le somme sono state depositate; e tali crediti non possono formare oggetto di comunione. La comunione de residuo in altro non consiste, in tal caso, se non nel credito di un coniuge nei confronti dell’altro coniuge, mentre si deve escludere che il primo possa rivolgere le proprie pretese verso la banca.
comunione fra coniugi e atti compiuti senza il consenso dell’altro coniuge: gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro sono annullabili, se riguardano beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, su domanda dell’altro coniuge, proposta entro un anno dalla conoscenza dell’atto e, in ogni caso, entro un anno dalla trascrizione (art. 184, commi 1o, e 2o, c.c.); se riguardano altri beni mobili, sono validi, ma obbligano il coniuge a ricostituire, in natura o per equivalente in danaro, lo stato di comunione fra coniugi (art. 184, comma 3o, c.c.). Si sono così contemperate opposte esigenze: quella di evitare che un coniuge compia un atto di straordinaria amministrazione (ad esempio, alieni un bene comune o lo prometta in vendita) senza il consenso dell’altro; l’esigenza, d’altro lato, di non compromettere la sicurezza nella circolazione di beni. L’annullabilità dell’atto è stata esclusa per il caso in cui si sia disposto, senza il consenso del coniuge, di cose mobili non registrate, in rapporto alle quali l’esigenza di sicura circolazione è più avvertita; negli altri casi è stata ammessa, ma si è sottoposta l’azione di annullamento al brevissimo termine di prescrizione (v.) di un anno, cui non si applica la causa di sospensione di cui all’art. 2941 c.c.. Sull’applicazione dell’art. 184, commi 1o, e 2o, c.c., ci si deve ulteriormente soffermare, considerando che la comunione fra coniugi è sottoposta al principio della cosiddetta pubblicità negativa, ossia al principio, risultante dagli artt. 2647 e 2685 c.c., secondo il quale non lo stato di comunione dei beni deve essere trascritto, derivando questo dal rapporto matrimoniale, ma l’esclusione dallo stato di comunione. Si consideri il caso che un coniuge alieni, senza il consenso dell’altro, un immobile o un mobile registrato che sia intestato al coniuge alienante: è sicuramente applicabile la disciplina di cui all’art. 184, commi 1o e 2o, c.c., e l’altro coniuge può agire, se non è decorso il termine di prescrizione, per l’annullamento del contratto; ma può altresì agire nei confronti del terzo cui il bene sia stato alienato dall’avente causa del coniuge, anche se il terzo ha trascritto il proprio atto di acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale di annullamento del contratto concluso dal suo dante causa. Qui si manifesta il principio della cosiddetta pubblicità negativa: l’altro coniuge è comproprietario del bene in quanto coniuge, come tale risultante dai registri dello stato civile e può opporre a chiunque la qualità di coniuge (quindi, di comproprietario dei beni intestati, in costanza di matrimonio, al proprio coniuge) quantunque lo stato di comunione fra coniugi non risulti trascritto.
comunione fra coniugi e comunione ordinaria: con la comunione (v.) regolata dal terzo libro del c.c. la comunione fra coniugi ha scarsi punti di contatto. Ne differisce, in primo luogo, per il fatto di essere una comunione senza quote, delle quali i singoli possano disporre. Ma non è tutto: gli artt. 180 – 184 c.c. non regolano solo l’amministrazione delle cose comuni, ossia la materia regolata, per l’ordinaria comunione, dagli artt. 1105 ss. c.c.; per qualche aspetto regolano, più estesamente, l’amministrazione della comunità familiare: hanno riguardo, cioè , anche ad atti di contenuto patrimoniale che, pur non avendo ad oggetto le cose comuni, mirino a soddisfare l’interesse della famiglia o siano stati comunque posti in essere congiuntamente dai coniugi, producendo obbligazioni delle quali i beni comuni sono chiamati a rispondere (art. 186 lett. c e d c.c.). Lo rivela il fatto che l’art. 180, comma 2o, c.c., si applichi non solo agli atti con i quali si concedono diritti personali di godimento (i quali sono atti di amministrazione delle cose comuni), ma anche agli atti con i quali si acquistano tali diritti (e questi non sono atti di amministrazione delle cose comuni). Sarebbe arbitrario trarne più generali illazioni e ritenere che il regime degli atti di straordinaria amministrazione si applichi non solo alle alienazioni, ma anche agli acquisti. Ev vero che l’art. 189, comma 1o, c.c., fa riferimento ad obbligazioni nascenti da atti di straordinaria amministrazione che richiedono il necessario consenso dell’altro coniuge, e che tali atti, in quanto fonti di obbligazioni, sembrano essere acquisti e non alienazioni. In senso contrario depone tuttavia l’art. 177, lett. a c.c., per il quale cadono in comunione gli acquisti compiuti anche separatamente dai coniugi: il consenso dell’altro coniuge non è necessario, ai sensi dell’art. 180, comma 2o, c.c.; e questi non potrà agire per l’annullamento dell’atto. L’art. 189, comma 1o, c.c., va riferito ad atti come, ad esempio, l’appalto (v.) per le innovazioni delle cose comuni, che è fonte di obbligazioni verso l’appaltatore. Si può parlare, nei limiti predetti, di amministrazione della comunità familiare; ma ciò non implica che si debba entificare il rapporto e supporre, come talora si è supposto, che si sia in presenza di un autonomo soggetto di diritto, la comunità familiare, distinto dalle persone dei coniugi e in nome del quale costoro agiscano, separatamente o congiuntamente. I coniugi agiscono in nome proprio, seppure nell’interesse della famiglia: gli acquisti da essi compiuti cadono in comunione per il solo fatto della esistenza, al loro interno, del rapporto matrimoniale; le obbligazioni da essi assunte vincolano i beni comuni per il solo fatto di essere contratte congiuntamente o, se separatamente, nell’interesse della famiglia.
comunione fra coniugi e obbligazioni di fonte extracontrattuale: l’art. 186 c.c. fa riferimento, alle lett. c e d, solo alle obbligazioni di fonte contrattuale; quelle di fonte non contrattuale possono in parte rientrare nella lett. b, relativa ai carichi dell’amministrazione, ma non possono rientrarvi tutte. Vi rientrano le obbligazioni di risarcimento del danno da cose (artt. 2051 – 53 e 2054, comma 3o, c.c.), quando il danno sia stato cagionato dalle cose comuni; ogni altra obbligazione di fonte non contrattuale è da considerare obbligazione personale del coniuge agli effetti dell’art. 189, comma 2o, c.c..
presunzione di comunione fra coniugi: v. comproprietà , presunzione di comunione fra coniugi tra coniugi.
responsabilità limitata nella comunione fra coniugi: v. creditori della comunione fra coniugi e creditori particolari del coniuge in comunione fra coniugi.
rinuncia alla comunione fra coniugi: v. beni esclusi dalla comunione fra coniugi.
scioglimento della comunione fra coniugi: lo stato di comunione fra coniugi si scioglie, e si fa luogo alla divisione dei beni in parti uguali (art. 194 c.c.), nei casi di annullamento o di scioglimento del matrimonio per morte di uno dei coniugi o per divorzio (v.), di separazione personale fra i coniugi (v. separazione dei coniugi), di mutamento convenzionale del regime personale (ossia di opzione concorde per il regime della separazione dei beni), di separazione giudiziale dei beni, chiesta da uno dei coniugi nei casi previsti dalla legge (art. 193 c.c.), di fallimento (v.) di uno dei coniugi (art. 191 c.c.).
valori mobiliari in comunione fra coniugi: nella comunione fra coniugi si pone il problema della collocazione dei valori mobiliari, quali titoli del debito pubblico, azioni, obbligazioni quote di società . Se non c’è alcun nesso fra l’acquisto dei titoli o delle quote e l’attività professionale del coniuge, e si tratta perciò di mero investimento del risparmio familiare, l’acquisto ricade nella lett. a dell’art. 177 c.c.; ma si dovrà distinguere fra proprietà dei titoli o titolarità delle quote, che è comune ad entrambi i coniugi, e legittimazione all’esercizio dei relativi diritti, spettante solo al coniuge che ne è intestatario, fino a quando l’altro coniuge non abbia ottenuto la cointestazione. Diverso discorso vale per l’ipotesi in cui l’acquisto dei valori mobiliari sia strumentale all’attività professionale del coniuge imprenditore, il quale abbia acquistato le azioni o le quote di una società in considerazione dell’oggetto di questa e per concorrere nell’attività sociale, come anche nel caso in cui titoli di Stato o obbligazioni o altri valori negoziabili siano stati temporaneamente acquistati dal coniuge imprenditore a fronte di liquidità aziendali, oppure nel caso in cui l’attività professionale del coniuge consista nell’intermediazione nella circolazione di tali valori. In tutti questi casi si tratta di beni destinati all’esercizio dell’impresa agli effetti dell’art. 178 c.c.: essi cadono in comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa. L’applicazione dell’art. 178 c.c. richiede, stando alla lettera della norma, che l’acquisto sia fatto da un coniuge imprenditore e che abbia ad oggetto un bene destinato all’esercizio dell’impresa. Questo presupposto, a rigore di termini, non ricorre quando il coniuge assuma una partecipazione di controllo in una società di capitali: qui il coniuge può non essere, formalmente, imprenditore, ne´ l’assunzione della partecipazione è definibile come atto avente ad oggetto un bene destinato all’esercizio dell’impresa. Ma sarebbe del pari incongruo considerare questa partecipazione tanto come acquisto compiuto da un coniuge ai sensi dell’art. 177, lett. a c.c., quanto come suo bene personale ai sensi dell’art. 179, lett. d, c.c., con l’effetto di ricomprenderla nella comunione attuale o, all’opposto, di escluderla anche dalla comunione de residuo. La collocazione più congrua è all’art. 178 c.c.: sul dato formale si dovrà fare prevalere quello sostanziale e argomentare che, attraverso la società di capitali di cui ha assunto il controllo, il coniuge esercita un’impresa, equiparando l’acquisto della partecipazione di controllo ad un acquisto di azienda. Del resto, la collocazione entro l’art. 178 c.c. è incontroversa per ciò che attiene alle partecipazioni sociali implicanti assunzione di responsabilità limitata, quale socio in nome collettivo o quale socio accomandatario, anche se l’acquisto della partecipazione deve, con qualche forzatura, essere in questi casi equiparato all’acquisto di una azienda.
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