danno all’ambiente: è qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte. Ne deriva, per l’art. 18 l. n. 349 del 1986, l’obbligazione dell’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato. L’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonche´ dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo. Le associazioni e i cittadini, al fine di sollecitare l’esercizio dell’azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza. Le associazioni possono intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi. Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino, e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali. Nei casi di concorso nello stesso evento dannoso, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità individuale. Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile. Quando di parla di ambiente con riguardo al danno patito dallo Stato, dalle regioni, dai comuni in seguito alla distruzione dei beni appartenenti al demanio o al patrimonio di tali enti, si individua una forma di lesione della proprietà pubblica. Sotto questo profilo l’azione intentata contro il responsabile da tali enti non è strutturalmente e funzionalmente diversa da quella che i privati possono promuovere contro l’autore dell’inquinamento o della immissione per il danno subito al proprio fondo o alla propria salute. Ma l’ambiente non si esaurisce nelle cose già presenti nel demanio o nel patrimonio, comprende anche il passaggio, l’aria, le bellezze naturali, cioè beni che non hanno una rappresentazione materiale: sono beni nuovi propri di società organizzate e che si caratterizzano per una loro fruizione collettiva. L’ambiente, più che un autonomo diritto soggettivo, si qualifica come un concetto di relazione che esprime un valore unitario distinto dai singoli beni che lo compongono. Certo è che la sua lesione comporta la alterazione della integrità del territorio a presidio del quale sta un interesse pubblicistico, così come pubblicistico è il danno danno. Tuttavia il dubbio di poter affermare l’esistenza di un diritto soggettivo all’ambiente deriva proprio dalla difficoltà di individuarlo, data la sua natura collettiva che porta a rendere pubblica la lesione inferta. Così inquadrato, il danno danno si presenta come prototipo di danno collettivo, poiche´ riflette la lesione di un interesse diffuso del quale solo l’ente pubblico può farsi portatore. L’illecito disciplinato dall’art. 18 è un illecito tipico (v. danno ingiusto), un illecito cioè che non va ricercato con la tecnica di selezione da operarsi in base alla clausola generale dell’art. 2043 c.c. (v. fatti illeciti). Per questa specie di danno, anzi, la funzione della clausola generale è alquanto limitata, sennonche´ è valsa ugualmente la pena di parlarne a questo proposito, poiche´ dimostra come, anche al di fuori del danno non patrimoniale (v. danno morale), si possano individuare tipi di danni qualificabili come collettivi proprio in relazione alla natura del bene leso. Dimostra altresì come la natura di tali beni debba tener conto della evoluzione tipica delle società organizzate, più che delle costruzioni tradizionali legate alla struttura del diritto soggettivo di stampo proprietario.
danno alla salute: v. danno biologico.
danno alla vita di relazione: il danno danno, una significativa manifestazione del quale è il danno estetico, si colloca entro un più vasto concetto di danno alla salute (v. danno biologico). Non costituisce una forma di danno morale, ma è una componente specifica del danno patrimoniale, in quanto esso consiste nella compromissione peggiorativa della capacità psicodannofisica del soggetto, incidente sulla esplicazione di attività complementari o integrative rispetto alla normale attività lavorativa, e, quindi, di riflesso anche su quest’ultima; il danno danno implica una menomazione della cosiddetta capacità di concorrenza dell’individuo rispetto ad altri soggetti dei rapporti sociali ed economici, e sotto tale aspetto, anche la componente estetica ha una incidenza patrimoniale, riflettendosi sulle menomate capacità di espansione e di affermazione del soggetto sia nel campo professionale che nel campo extralavorativo. Il danno danno, consistente nella impossibilità o nella difficoltà di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, costituisce una componente del danno patrimoniale e concreta non una generica menomazione, bensì un nocumento che tocca aspetti specifici della personalità umana, variabili a seconda dell’età , del sesso, dell’attività esercitata e delle condizioni ambientali in cui la vittima vive ed opera; conseguentemente, nel procedere alla sua liquidazione, il giudice del merito è tenuto ad indicare le ragioni idonee a suffragare il convincimento raggiunto.
danno a terzi sulla superficie: la categoria dei danni a terzi sulla superficie è costituita dall’insieme di lesioni personali e danni materiali provocati direttamente da un aeromobile in movimento a persone o beni sulla superficie. La relativa responsabilità ed il conseguente obbligo di risarcimento sono posti in capo all’esercente dell’aeromobile. Prevedendosi una responsabilità di tipo oggettivo, l’esercente dovrà sempre rispondere per i danni provocati dall’aeromobile anche qualora questi siano dovuti a cause di forza maggiore. L’esercente può però esonerarsi dall’obbligo di risarcimento quando provi che i danni siano stati volontariamente prodotti, senza alcun rapporto con l’esercizio dell’aeromobile e senza che l’esercente od i suoi dipendenti e preposti abbiano potuto impedirlo, da persone estranee all’equipaggio che erano presenti a bordo. Un’ulteriore ipotesi di esclusione dalla responsabilità si verifica quando l’esercente provi che i danni sono stati causati da colpa del danneggiato. A fronte dell’ampia responsabilità che è posta in capo all’esercente, il c. nav. (art. 965) ha stabilito dei limiti quantitativi nella determinazione del risarcimento limitandolo ad una somma di lire diecimila per ciascun chilogrammo di peso dell’aeromobile con il carico totale massimo, secondo le indicazioni del certificato di navigabilità o di collaudo. Quando la somma così ottenuta è inferiore a venticinque milioni di lire o superiore ad ottantatre milioni di lire, l’esercente risponde fino a concorrenza di tali somme. Nei casi in cui i danni sono stati provocati da alianti o aeromobili da turismo, il limite minimo per il risarcimento è ridotto a dieci milioni di lire (art. 967 c. nav.). Queste limitazioni non hanno però luogo quando il danneggiato prova il dolo o la colpa grave dell’esercente, o dei suoi dipendenti e preposti; e nel contempo l’esercente non provi che egli aveva preso le misure necessarie per evitare il danno oppure non dimostri che il danno deriva da errore di pilotaggio (v.), di condotta o di navigazione. Un’altra ipotesi, nella quale non opera la limitazione del risarcimento del danno dovuto da parte dell’esercente, si verifica quando questi non ha contratto o mantenuto in vigore l’assicurazione obbligatoria relativa a questa specifica tipologia di responsabilità , o quando essa non copre la responsabilità dell’esercente secondo i limiti e le modalità previste dalla legge. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive col decorso di tre anni dal giorno in cui il danno si è prodotto.
danno biologico: il danno danno, o danno alla salute, dopo molti contrasti è stato riconosciuto dalla giurisprudenza. Si considera tale la lesione dell’integrità psicodannofisica della persona, quale bene protetto in se´ e per se´ (art. 32 Cost.) e indipendentemente dalla capacità della persona di produrre ricchezza. Esso è danno patrimoniale e, in particolare, danno emergente futuro. Perciò , a chi abbia subito una invalidità , temporanea o permanente, viene comunque riconosciuto il risarcimento del danno; se poi il danneggiato prova d’avere dovuto interrompere, a causa dell’invalidità subita, una attività produttiva di reddito, allora gli viene liquidato anche il conseguente mancato guadagno. I criteri per determinare il danno danno sono ancora incerti, ma è ormai sicuro il fondamento della sua risarcibilità . Non si tratta di danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., come in un primo tempo aveva ritenuto il Supremo Collegio. Ma neppure sembra corretto qualificarlo, come in un secondo tempo lo aveva qualificato la Cassazione, quale sottospecie del danno ingiusto ex art. 2043 c.c., diversa sia dal danno patrimoniale sia dal danno non patrimoniale e tertium genus rispetto ad essi. Si adottava così una non giustificata nozione restrittiva del danno patrimoniale alla persona, basata esclusivamente sulla capacità del singolo di produrre reddito, ossia valori di scambio, e non anche sulla sua capacità di produrre valori d’uso, ossia di produrre per se´ beni o servizi, fuori dalle ore lavorative o, come nel caso dei pensionati, a prescindere da una contemporanea attività lavorativa. Chi vede lesa la propria capacità di rendersi utile a se stesso e deve ricorrere alle onerose prestazioni altrui o rinunciare ad utilità di cui prima fruiva ha, in realtà , subito un danno per il mancato guadagno.
danno cagionato da animali: v. responsabilità , danno per danno cagionato da animali.
danno cagionato da cose in custodia: v. responsabilità , danno per danno cagionato da cose.
danno cagionato da circolazione di veicoli: v. circolazione, danno dei veicoli.
danno causato da difetti del prodotto: v. responsabilità , danno del produttore.
danno contra ius: v. danno ingiusto.
danno da inflazione: v. interessi, danno moratori.
danno da prodotti: v. responsabilità , danno del produttore.
danno emergente: nella responsabilità contrattuale (v. responsabilità , danno contrattuale), il danno danno consiste nella perdita subita dal creditore a causa dell’inadempimento del debitore: le merci affidate al vettore, ad esempio, sono perite durante il trasporto; il danno danno è qui pari al danaro occorrente per ricomperare sul mercato merci dello stesso genere e quantità . Nella responsabilità extracontrattuale, il danno danno consiste nella perdita subita dal danneggiato (artt. 1223 e 2056 c.c.). Il danno danno può essere sia danno presente che danno futuro, come nel caso del costo che l’infortunato dovrà affrontare per tutto il tempo della sua vita residua, per avere perduto a causa dell’infortunio la propria autosufficienza ed essere costretto a servirsi dell’assistenza altrui.
danno futuro: viene in considerazione la norma, dettata dall’art. 2056, comma 2o, c.c., secondo la quale il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso; norma che viene applicata con questo principiodannoguida: il lucro cessante è risarcibile quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, appare ragionevole prevedere che il danno si produrrà nel futuro. Il lucro cessante è sempre danno, basato sulla valutazione presente del suo probabile verificarsi; il danno danno, per contro, può essere sia danno presente sia danno. Ev danno il mancato guadagno spettante al lavoratore colpito da invalidità permanente che lo renda totalmente o parzialmente inabile al lavoro; il lucro cessante dovutogli corrisponderà alle somme che avrebbe percepito per tutto il tempo della sua residua vita lavorativa. Ma è danno, sebbene sia danno danno e non lucro cessante, il costo che l’infortunato dovrà affrontare, per tutto il tempo della sua vita residua, per avere perduto a causa dell’infortunio la propria autosufficienza ed essere costretto a servirsi dell’assistenza altrui.
danno ingiusto: il concetto di danno danno si ricollega, lessicalmente, al romanistico damnum iniuria datum: vi esula ogni connotazione di natura morale o etica; esprime, come aveva espresso la parola iniuria, l’idea della non conformità al diritto, e la esprime sotto un duplice aspetto: allude al danno che leda la situazione giuridica altrui (damnum contra ius) e, al tempo stesso, al danno ad altri cagionato non nell’esercizio di un proprio diritto (damnum non iure). Un punto è fuori discussione: non basta, per aversi danno danno, la lesione di un semplice interesse altrui. Chi costruisce un edificio sul proprio terreno lede l’interesse dei vicini a godere della vista del panorama, ma non cagiona loro un danno, perche´ il loro interesse a continuare a godere della vista del panorama non è giuridicamente protetto. Diverso è il caso di chi costruisce, in violazione del piano regolatore, dove non si può costruire: in questo caso l’interesse dei proprietari vicini a che non sorgano nuove costruzioni è giuridicamente protetto, e ciascuno dei vicini può chiedere il risarcimento dei danni subiti (art. 872, comma 2o, c.c.). Il principio della risarcibilità di ogni danno qualificabile come ingiusto è una clausola generale, analoga, sotto quest’aspetto, ad altre clausole generali come quella della correttezza (v.) o come quella della buona fede (v.): quando non è la legge a valutare, essa stessa, che un dato danno è ingiusto, riconoscendo a chi lo ha subito il diritto al risarcimento (come, ad esempio, nel caso dell’art. 872, comma 2o, c.c., cui si è prima fatto cenno; o come nel caso della concorrenza sleale (v.), che l’art. 2600 c.c. considera fonte dell’obbligazione di risarcimento del danno cagionato ai concorrenti), la valutazione è rimessa all’apprezzamento del giudice, il quale decide, caso per caso, se l’interesse leso è degno di protezione secondo l’ordinamento giuridico e se la lesione, di conseguenza, costituisce un danno danno, che deve essere risarcito. Si può parlare di atipicità dell’illecito civile, in antitesi con la tipicità dell’illecito penale, retto dal principio secondo il quale nessuno può essere punito se non per un fatto espressamente previsto dalla legge come reato. L’analisi del concetto di danno non può , pertanto, essere condotta solo sul dettato legislativo; essa va condotta anche, e soprattutto, sull’esteso materiale giurisprudenziale. La principale linea di espansione è quella che si svolge lungo la sequenza: a) uguale lesione di un diritto assoluto; b) uguale lesione di un diritto soggettivo, anche relativo; c) uguale lesione di un interesse, anche se non protetto come diritto soggettivo. In alcune serie di casi la presenza del requisito della ingiustizia del danno è , nella prassi giurisprudenziale, fuori discussione: a) quando siano stati lesi diritti della personalità (v.): così, il ferimento di una persona, doloso o colposo che sia, è danno danno perche´ è lesione del diritto all’ integrità fisica (v.); il danno alla salute (come, ad esempio, nel caso degli inquinamenti industriali) è danno danno perche´ è lesione del diritto alla salute (v. diritto, danno alla salute); la diffamazione di una persona è lesione del suo diritto all’ onore (v.), e così via; b) quando sia stato leso un diritto reale: così il danneggiamento di una cosa è danno danno perche´ è lesione del diritto di proprietà ; la costruzione di un edificio in violazione di una servitù di non edificare è danno danno perche´ è lesione del diritto di servitù , e via di seguito; c) quando l’uccisione di una persona comporti lesione del diritto al mantenimento oppure del diritto agli alimenti (v.) dei suoi familiari: qui non viene in considerazione la lesione del diritto alla vita dell’ucciso (il quale, in quanto morto, non può vantare diritti al risarcimento), ma solo la lesione del diritto al mantenimento che, eventualmente, il coniuge e i figli avevano nei suoi confronti o del diritto agli alimenti eventualmente spettante ad altri. Il diritto al risarcimento dei familiari è ammesso dalla giurisprudenza con larghezza: è considerata risarcibile non solo la lesione attuale del diritto al mantenimento o agli alimenti, ma anche la lesione della semplice aspettativa di prestazioni future, come nel caso della uccisione del figlio minore, considerata fonte di responsabilità per danni nei confronti dei genitori. Viene valutata anche l’aspettativa di successione futura; così, se è ucciso il genitore, il figlio maggiorenne può legittimamente lamentare la lesione della sua aspettativa di ereditare i risparmi che, nel corso ulteriore della sua vita, il genitore avrebbe accumulato. Al requisito della ingiustizia del danno i giudici avevano dato, in passato, una interpretazione alquanto restrittiva, limitata alle tre serie di ipotesi ora indicate; si era, in sostanza, ritenuto ingiusto solo il danno consistente nella lesione di un diritto assoluto, fosse esso diritto della personalità oppure diritto reale, o nella lesione di un diritto inerente allo status del soggetto, quale membro della famiglia, inclusa la lesione di semplici aspettative. Questa interpretazione restrittiva è ormai superata; si ammette che c’è danno danno: d) quando sia stato leso un diritto relativo, anche estraneo ai rapporti di famiglia e, in particolare, un diritto di credito; così l’uccisione di un giocatore di calcio lede il diritto alle sue prestazioni sportive spettante, per contratto, alla società calcistica; così la distruzione, ad opera di un terzo, della cosa in locazione non lede solo il diritto reale del proprietario, ma anche il diritto di credito del conduttore, e così via. Questa è la lesione del credito in senso stretto; ma la giurisprudenza ha poi riconosciuto la risarcibilità della lesione del credito anche in ipotesi in cui il fatto del terzo non estingue il rapporto obbligatorio; ipotesi per le quali è più corretto parlare, anziche´ di lesione del credito, di lesione dell’aspettativa di prestazione del creditore. In particolare: d1) quando il terzo abbia reso solo temporaneamente impossibile la prestazione del debitore: così il ferimento, in un incidente stradale, di una persona che lavora alle dipendenze altrui lede il diritto del datore di lavoro alle prestazioni del dipendente (per tutta la durata della invalidità temporanea il datore di lavoro non fruirà delle sue prestazioni pur dovendolo retribuire o, ulteriori ipotesi di danno, avendo dovuto assumere e retribuire altro dipendente); d2) quando il terzo sia concorso nell’inadempimento del debitore, o istigandolo a non adempiere (cosiddetta induzione all’inadempimento) o rendendosi comunque partecipe dell’inadempimento. L’ipotesi differisce da quelle sin qui considerate per il fatto che l’azione del terzo, lesiva del diritto del creditore alla prestazione, non è tale da rendere impossibile, definitivamente o temporaneamente, la prestazione del debitore, ma si associa ad un contegno di quest’ultimo, definibile come inadempimento (v.); sicche´ si ha concorso della responsabilità contrattuale (del debitore) con la responsabilità extracontrattuale (del terzo). Nella serie di ipotesi fin qui indicate è pur sempre leso un diritto, anche se relativo e non assoluto, anche se patrimoniale e non di famiglia. Fuori della lesione del credito si collocano altre ipotesi di danno danno giudicato risarcibile. Così: e) quando sia stata lesa la libertà contrattuale: sono i casi del contraente che, per falsa informazione del terzo, si sia indotto a concludere un contratto che altrimenti si sarebbe guardato dal concludere. Così la falsa informazione sulle condizioni di solvibilità del mutuatario, che induce il mutuante a fare credito, così la falsa attestazione sulle qualità di un bene destinato alla circolazione. Ancora contrastato è , invece, il riconoscimento della ingiustizia del danno: f) quando sia stata lesa, anziche´ un diritto, una situazione di fatto, che appaia meritevole di protezione. Un caso emblematico è quello della famiglia di fatto: viene uccisa, in un incidente stradale, una persona che provvedeva al mantenimento della sua convivente (è il caso che va, solitamente, sotto il nome di uccisione del concubino); questa non ha, come ha il coniuge, un diritto al mantenimento, non può lamentare la lesione di un diritto, ma solo la lesione di una situazione di fatto che l’ordinamento giuridico considera pienamente lecita e dalla quale traeva la legittima aspettativa di assistenza materiale, oltre che morale. Che questa lesione sia danno danno è , tuttavia, alquanto controverso, anche se non mancano pronunce orientate in senso positivo. Per contro, altre situazioni di fatto sono considerate rilevanti agli effetti della tutela aquiliana: così è pacificamente ammessa dalla giurisprudenza l’azione di danni di chi subisca spoglio o turbative nel possesso (v. manutenzione, azione di danno; reintegrazione, azione di danno) o nella detenzione (v.) qualificata, quantunque il possesso e la detenzione siano altrettante situazioni di fatto. Secondo questa giurisprudenza la tutela aquiliana del possesso e della detenzione si estende fino al limite, ma non oltre il limite, della loro tutela possessoria. Decisivo, per la Cassazione, è che sia configurabile un rapporto con il bene, anche se si tratta di rapporto di fatto, che appaia tutelabile alla stregua delle norme sulla tutela del possesso o della detenzione e, perciò , che l’interesse alla continuazione di quel rapporto, o alla sua continuazione non turbata da molestie, risulti meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Ne consegue che l’azione di danni spetta al detentore (non per ragioni di servizio o di ospitalità ) che abbia subito uno spoglio violento o clandestino, così come gli compete l’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.); ma non spetta al detentore che abbia subito uno spoglio non violento o clandestino o che sia stato molestato nella detenzione di un immobile o di una universalità di mobili (art. 1170 c.c.), salvo che non si tratti di un conduttore, cui l’art. 1585, comma 2o, c.c., concede una azione corrispondente all’azione di manutenzione. Là dove il rapporto di fatto con il bene non riceve alcuna protezione da parte dell’ordinamento giuridico, neppure nella forma della protezione possessoria, chi subisce la perdita del bene o è molestato nel rapporto con questo non può lamentare di avere subito un danno qualificabile come ingiusto. Per superare il limite in discorso si dovrà dare la prova non di un semplice rapporto di fatto, ma di un rapporto di diritto avente ad oggetto la cosa, e invocare la tutela aquiliana del credito. A questo modo la atipicità dell’illecito civile trova un correttivo nella sia pure relativa tipicità dell’interesse leso, che deve apparire meritevole di tutela non secondo il libero apprezzamento del giudice, bensì secondo l’ordinamento giuridico. Il criterio risulta accolto anche per determinare il limite della tutela aquiliana degli stessi diritti assoluti; il danno alla salute, cagionato da rumori molesti, è danno danno solo se, ai sensi dell’art. 844 c.c., ecceda la normale tollerabilità . Il concetto di danno danno si compone, oltre che dell’estremo positivo fin qui analizzato (lesione di un interesse meritevole di tutela), anche di un estremo negativo: deve trattarsi di un danno che non sia stato cagionato nell’esercizio di un diritto. Il linguaggio tradizione suole contraddistinguere questi due estremi qualificando il danno danno, sotto il primo aspetto, come danno contra ius e, sotto il secondo aspetto, come danno non iure. Così c’è danno iure o secundum ius e, perciò , non risarcibile, nel caso in cui venga pignorata dal creditore una cosa che il debitore era obbligato a consegnare un terzo: qui il creditore pignorante lede il credito del terzo, ma il danno cagionatogli non è ingiusto, avendo egli agito nell’esercizio di un diritto. In due casi la legge esclude in modo esplicito che il danno sia ingiusto: il primo è quello della legittima difesa (v. legittima difesa, danno cagionato per danno); l’altro caso è quello dello stato di necessità (v. stato di necessità , danno cagionato in danno). Nel caso della legittima difesa si è del tutto esonerati dal risarcimento dei danni cagionati; in quello dello stato di necessità , invece, il giudice condanna il danneggiante a corrispondere un’equa indennità .
danno in stato di necessità : v. stato di necessità , danno cagionato in danno.
danno iure: v. danno ingiusto.
liquidazione equitativa del danno: quando il danno, danno emergente o lucro cessante, non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa (art. 1226 c.c.). Il criterio che ispira la disposizione è che la difficoltà per il creditore di provare l’ammontare del danno, quando è certo che il danno si è verificato, non deve andare a vantaggio del debitore inadempiente. La valutazione equitativa in parola non è, ovviamente, una valutazione etica, basata sul concetto che ha il giudice del giusto ristoro del danno: è , invece, una valutazione economica, basata sulla considerazione delle situazioni di mercato.
maggior danno: v. interessi, danno moratori.
danno morale: il danno non patrimoniale (cosiddetto danno danno), consistente nelle sofferenze fisiche o psichiche del danneggiato, è risarcibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 2059 c.c.), ed è liquidato dal giudice in via equitativa. Un caso è quello previsto dall’art. 89 c.p.c., comma 2o; ma il caso più importante è quello del danno cagionato con un fatto che, oltre ad essere fatto illecito per il c.c., costituisca reato per il c.p. (art. 185, comma 2o, c.p.). Una specifica misura riparatoria è l’ordine del giudice di pubblicare la sentenza penale di condanna in uno o più giornali, quando ciò costituisca, ad esempio, in caso di lesione dell’ onore (v.), alla riservatezza (v.) ecc., il mezzo per riparare il danno non patrimoniale cagionato dal reato (art. 186 c.p.). Sul rapporto fra risarcibilità del danno non patrimoniale e reato si deve considerare: a) perche´ la responsabilità civile sussista, basta l’astratta previsione del fatto come reato e non occorre la sentenza penale di condanna; sicche´ lo stesso giudice civile può , ai limitati effetti della condanna al risarcimento dei danni, accertare la sussistenza del reato. Il principio è stato per la prima volta enunciato per il caso in cui l’autore del fatto non era imputabile perche´ minore. Ma la sentenza si è rivelata suscettibile di notevoli implicazioni ulteriori; svincolando il danno da reato dal processo penale, ha reso possibile una alternativa tutela civile dei diritti lesi da reati perseguibili a querela, come i reati contro l’onore e, in particolare, la diffamazione a mezzo stampa. L’azione di danni davanti al giudice civile può , in questi casi, apparire più temibile, e quindi dotata di maggiore efficacia deterrente, perche´ direttamente minaccia il patrimonio del reo e perche´ non è subordinata al breve termine di proposizione della querela; e può presentare anche il vantaggio di una più sicura, anche se più tarda, protezione essendo immune dall’eventualità di provvedimenti di clemenza; b) il fatto illecito deve integrare tutti gli estremi del reato; perciò non sono risarcibili i danni non patrimoniali quando la responsabilità dell’autore materiale del fatto illecito dipendente dalla circolazione dei veicoli sia affermata in base alla presunzione stabilita dall’art. 2054 c.c, e non in forza di un accertamento concreto della colpa, necessaria per integrare gli estremi del reato.
danno nel diritto penale: il concetto di danno nel nostro ordinamento penale assume un duplice significato. Il una prima accezione, esso è inteso come danno criminale, ossia come offesa (v.) necessaria per l’esistenza del reato. In tal caso il termine danno coincide con il concetto di offesa, e pertanto può consistere o in una lesione che si concentra in un nocumento effettivo del bene protetto dalla norma, bene che viene distrutto o diminuito, oppure in una messa in pericolo, che si concreta in un nocumento potenziale del bene, che viene soltanto minacciato. Accanto al danno criminale, il c.p. considera anche il danno patrimoniale o non patrimoniale, cagionato dal reato e che obbliga il colpevole al risarcimento. Il risarcimento del danno consiste nella corresponsione di una somma di denaro, equivalente al danno arrecato ad altri o compensatorio di esso, nel caso in cui la restituzione non sia possibile o non basti a riparare danno. Tale tipo di danno si differenzia dal precedente, in quanto consiste in un danno civile, consequenziale ed esteriore al fatto criminoso, con esso in rapporto di causa ed effetto, mentre il danno criminale è un danno penale, intrinseco e coincidente con il reato stesso.
danno non iure: v. danno ingiusto.
danno non patrimoniale: v. danno morale.
danno non prevedibile: se l’inadempimento o il ritardo dipende da dolo del debitore, il risarcimento si estende anche al danno danno; altrimenti è limitato al danno che poteva prevedersi al momento in cui l’obbligazione è sorta (art. 1225 c.c.). L’inadempimento può non dipendere da dolo: le merci affidate al vettore e perite durante il viaggio erano merci per le quali il mittente aveva trovato un compratore disposto a pagare un prezzo superiore al prezzo di mercato: il vettore corrisponderà , quale risarcimento del danno, il corrente valore di mercato delle merci (che è il danno prevedibile come conseguenza del proprio inadempimento), non già quel maggior prezzo che, eccezionalmente, il creditore era riuscito a pattuire con il compratore (v.). Il danno è quello prevedibile al momento in cui l’obbligazione è sorta: se, per un improvviso aumento del prezzo delle merci, verificatosi durante il viaggio, il mittente subisce per il perimento delle merci un danno maggiore di quello prevedibile al momento del contratto di trasporto, il vettore risarcisce il minor danno prevedibile a quel momento. La più antica giurisprudenza considerava eccezionale il risarcimento del danno, e dava una interpretazione restrittiva del dolo di cui all’art. 1225 c.c., che circoscriveva al caso in cui il debitore, nel mancare intenzionalmente di dare esecuzione o esatta esecuzione alla prestazione dovuta, avesse agito con la consapevolezza di arrecare danno al creditore. In tempi più recenti la prospettiva appare rovesciata: la regola è la risarcibilità dell’intero danno; l}Icezione è l’esclusione della responsabilità nel caso di inadempimento non intenzionale. Perciò la responsabilità del debitore in dolo, in quanto applicazione della regola generale della risarcibilità dell’intero danno, anche non prevedibile, non può essere intesa restrittivamente: doloso è l’inadempimento intenzionale; la consapevolezza del danno è irrilevante. Così risponderà anche del danno danno al momento in cui l’obbligazione è sorta non solo l’appaltatore che, utilizzando nella costruzione cemento armato in quantità inferiore a quella richiesta dalla tecnica delle costruzioni, si sia reso responsabile del successivo crollo dellvIificio (qui c’era consapevolezza del danno), ma anche l’appaltatore che abbia realizzato l’opera in difformità del progetto: egli dovrà risarcire il lucro cessante del committente anche se di entità non prevedibile al momento della conclusione del contratto di appalto, per avere il committente perduto, a causa di quelle difformità , una occasione di vendita eccezionalmente favorevole. L’art. 2056 c.c., nel rinviare ai principi per la valutazione del danno sanciti in materia di inadempimento delle obbligazioni, omette di richiamare l’art. 1225 c.c.; si ritiene, perciò , che il risarcimento comprenda anche il danno danno al momento del fatto illecito. Si intende che la non prevedibilità riguarda qui l’entità del danno, non già l’evento dannoso: se questo non è prevedibile non c’è rapporto di causalità (v. causalità , rapporto di danno) e non c’è , di conseguenza, responsabilità .
danno patrimoniale: chi ha cagionato il danno deve risarcirlo, conclude l’art. 2043 c.c.. Il danno da risarcire è sia il danno danno sia, se ricorre il presupposto di cui all’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale (v. danno morale). La natura del danno danno non è in relazione necessaria con la natura del diritto o dell’interesse leso dal fatto illecito: la lesione di un diritto non patrimoniale può comportare danno, mentre è concepibile un danno non patrimoniale in conseguenza della lesione di un diritto patrimoniale. Altro è il criterio in base al quale si giudica sulla ingiustizia del danno, altro quello in base al quale si valuta la sua patrimonialità : il danno è ingiusto (e, perciò , risarcibile) in quanto lesivo di un diritto o di un interesse, patrimoniale o non patrimoniale, del danneggiato; è un danno danno in quanto produca conseguenze negative sul patrimonio del danneggiato. Il risarcimento del danno danno consiste, di norma, nel pagamento di una somma di danaro, che si calcola secondo i principi sulla valutazione dei danni di cui agli artt. 1223 – €“ 1226 e 1227 c.c.. In linea di principio può dirsi che il risarcimento del danno danno è l’equivalente monetario della perdita subita dal patrimonio del danneggiato; e si può ripetere, sulla scorta dell’art. 1223 c.c., che esso comprende tanto il danno emergente, ossia la perdita subita, quanto il lucro cessante, ossia il mancato guadagno. Specifica del fatto illecito è la norma, dettata dall’art. 2056, comma 2o, c.c., secondo la quale il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso; norma che viene applicata con questo principiodannoguida: il lucro cessante è risarcibile quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, appare ragionevole prevedere che il danno si produrrà nel futuro. Il lucro cessante è sempre danno futuro (v.), basato sulla valutazione presente del suo probabile verificarsi; il danno emergente, per contro, può essere sia danno presente sia danno futuro. Ev danno futuro il mancato guadagno spettante al lavoratore colpito da invalidità permanente che lo renda totalmente o parzialmente inabile al lavoro: il lucro cessante dovutogli corrisponderà alle somme che avrebbe percepito per tutto il tempo della sua residua vita lavorativa. Ma è danno futuro, sebbene sia danno emergente e non lucro cessante, il costo che l’infortunato dovrà affrontare, per tutto il tempo della sua vita residua, per avere perduto a causa dell’infortunio la propria autosufficienza ed essere costretto a servirsi dell’assistenza altrui. Va richiamata l’attenzione su alcuni principi che la giurisprudenza pone alla base della determinazione del danno danno: a) quando sia stato leso il diritto di proprietà , danno risarcibile è anzitutto quello che derivi dal perimento della cosa; ma è anche quello derivante, quando la cosa non sia perita e sia rimasta nel patrimonio del danneggiato, dalla limitazione delle facoltà di godimento o di disposizione della cosa, ossia dalla riduzione del suo valore d’uso o del suo valore di scambio; b) quando sia stato leso il diritto all’ integrità fisica (v.), si dovrà fare capo, per determinare il lucro cessante, alla capacità di reddito del danneggiato o, se questi non è ancora in età lavorativa, alla posizione economica e sociale della sua famiglia. L’art. 2056, comma 2o, c.c., impone di considerare le circostanze del caso: perciò , il giudice non può determinare il lucro cessante in base alla cosiddetta invalidità generica, applicando meccanicamente le percentuali di riduzione della capacità lavorativa prevista dalle tabelle di cui alla legge sugli infortuni sul lavoro (perdita di un dito: riduzione del tot per cento della capacità lavorativa; perdita di un braccio: perdita del tot + n per cento, e così via); deve, invece, valutare la invalidità specifica, collegata alla attività professionale del danneggiato. Il danno permanente può essere anche liquidato in forma di rendita vitalizia (v.) (art. 2057 c.c.). Qualora il danneggiato riceva dal fatto illecito altrui, oltre che un danno, anche qualche vantaggio, opera la cosiddetta compensatio lucri cum damno: dall’ammontare del danno si sottrae l’ammontare del vantaggio. Perche´ la compensatio operi occorre, si precisa in giurisprudenza, che il vantaggio sia conseguenza immediata dell’illecito: perciò , non si può detrarre dal risarcimento del danno per invalidità permanente la retribuzione spettante all’infortunato per la nuova occupazione trovata, confacente al suo stato di minore capacità lavorativa. In luogo del risarcimento in danaro si può ottenere, se è possibile, una reintegrazione in forma specifica (art. 2058 c.c.), ossia il ripristino della situazione preesistente, come la demolizione di una costruzione; oppure la consegna di un nuovo bene in sostituzione di quello distrutto dal danneggiante; oppure, quando il danno ingiusto consista in una diffamazione, lesiva del diritto all’ onore (v.), o nella divulgazione di immagini o di notizie, lesiva del diritto alla riservatezza (v.), nell’ordine del giudice di distruggere il materiale (stampati, filmati ecc.) mediante i quali si perpetua la diffamazione o la lesione della riservatezza. Il secondo comma dell’art. 2058 c.c. aggiunge che il risarcimento è disposto per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.
danno per il ritardo: v. mora, danno del debitore.
danno per inadempimento: v. responsabilità , danno per inadempimento.
danno per la risoluzione del contratto: la parte inadempiente è tenuta a risarcire il danno cagionato alla controparte: il danno per l’ inadempimento (v.) o il danno per il ritardo (v. mora, danno del debitore), se la parte esegue con ritardo la prestazione; il danno danno, se a causa del suo inadempimento il contratto è risolto (art. 1453 c.c., comma 1o). Si intende che il risarcimento del danno per inadempimento o per il ritardo non è legato ai presupposti della risoluzione: può essere ottenuto anche se l’inadempimento non rivesta il requisito dell’importanza di cui all’art. 1455 c.c. o, in caso di ritardo, anche se il termine non fosse qualificabile come essenziale ai sensi dell’art. 1457 c.c.. L’offerta del debitore di un adempimento tardivo non impedisce al creditore di ottenere la risoluzione del contratto; non è , tuttavia, priva di effetti sul risarcimento del danno, valendo ad impedire la maturazione degli interessi ulteriori e degli ulteriori danni. La parte che chiede il risarcimento del danno ha l’onere di provare di avere subito un danno per l’altrui inadempimento o per il ritardo nell’adempimento e di provare, altresì, l’ammontare del danno subito. V. anche clausola penale.
danno per legittima difesa: v. legittima difesa, danno cagionato per danno.
danno per mancato guadagno: v. lucro cessante.
danno per rovina di edificio: v. responsabilità , danno per rovina di edificio.
danno prevedibile: v. danno non prevedibile.
rapporto di causalità fra inadempimento e danno: fra inadempimento e danno deve sussistere uno specifico rapporto di causalità : non è risarcibile qualsiasi danno che, in qualche modo, si ricolleghi all’inadempimento, in un generico rapporto di causa ad effetto, ma solo il danno che ne sia conseguenza immediata e diretta (art. 1223 c.c.). Così, se il creditore di una somma di danaro si trova, a causa dell’inadempimento del proprio debitore, nella condizione di non poter profittare, per mancanza del danaro occorrente, della occasione di un vantaggioso affare o se si trova, peggio, nella condizione di non poter pagare i propri creditori, subendo la vendita all’asta dei propri beni, si tratta di danni (lucro cessante nel primo esempio, danno emergente nel secondo) dei quali non potrà pretendere il risarcimento dal suo debitore: l’inadempimento di questo ha solo concorso a determinare lo stato di difficoltà finanziaria del creditore e questo stato di difficoltà finanziaria (che si deve ritenere derivi da molteplici cause e non può essere considerato tutto dipendente dall’inadempimento di quel singolo debitore) ha, a sua volta, determinato i danni in questione; non c’è , dunque, un rapporto di causa ad effetto diretto e immediato fra inadempimento e danno, ma solo un rapporto indiretto e mediato.
danno risarcibile: v. danno emergente; lucro cessante.
risarcimento del danno: v. responsabilità , danno contrattuale; clausola, danno penale; responsabilità , danno extracontrattuale; danno morale; danno patrimoniale; danno biologico.
risarcimento del danno per inadempimento: v. inadempimento, danno dell’obbligazione; responsabilità , danno contrattuale.
risarcimento per danno emergente: v. danno emergente.
danno secundum ius: v. danno ingiusto.
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