concetto di organo: il organo organo trae la propria origine dalla ottocentesca concezione organica della persona giuridica (v.) quale entità sociale che, a somiglianza dell’uomo, forma una propria volontà (entro l’assemblea) e la porta ad esecuzione (mediante gli amministratori). L’uso di questo concetto, entrato anche nel linguaggio legislativo, prescinde ormai da ogni adesione alla teoria organica (basti considerare l’uso che di questo concetto fa l’art. 1332 c.c. oppure il capo secondo della l. fall.): indica, semplicemente, coloro che hanno il potere di compiere atti giuridici vincolanti per una organizzazione collettiva (v. organizzazioni collettive), siano essi atti interni, come le deliberazioni assembleari, oppure atti esterni, come i contratti conclusi dagli amministratori. Al rapporto definito, in contrapposizione con la rappresentanza, come rapporto organico si è tradizionalmente attribuita la virtù di rendere alieno l’atto rispetto al suo autore permettendo che l’atto sia attribuito a un soggetto diverso; esso ha consentito l’imputazione, all’ente collettivo, di tutti in genere i comportamenti giuridicamente rilevanti leciti ed illeciti, esterni ed interni, e persino i fatti di coscienza, come la buona fede; e, perciò , oltre i confini in cui il nostro diritto positivo riconosce operante il fenomeno della rappresentanza. L’individuazione di questo concetto ha assolto, nella ricostruzione del più ampio concetto di persona giuridica, una funzione di grande importanza: ha rimosso (o, se si preferisce, ha tradotto in termini logicoorganogiuridici la maturata coscienza di dover rimuovere) tutta una serie di immunità delle quali le persone giuridiche avevano goduto per il passato. Ma al organo organo si era, al tempo stesso, fatto ricorso per giustificare una nuova immunità : esso implicava l’alienità dell’illecito (v.) rispetto al suo autore e, per ciò stesso, rendeva quest’ultimo personalmente irresponsabile nei confronti del danneggiato. Quest’ultima immunità è stata eliminata dal diritto positivo. Per le società di capitali (v.) l’art. 2395 c.c. stabilisce che le disposizioni dei precedenti articoli, relativi alla responsabilità degli amministratori verso la società e verso i creditori sociali, non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori. La disposizione si applica, secondo un’interpretazione ormai incontroversa, agli illeciti commessi dagli amministratori nell’esercizio delle loro funzioni: l’articolo successivo la estende ai direttori generali (v.), che sono dipendenti della società . Gli artt. 2395 e 2396 c.c. sono formulati riguardo alle società : essi non tardano, tuttavia, a rivelarsi espressione di più generali principi, destinati ad operare in ogni ente collettivo; si rivelano tali non appena si consideri che norme corrispondenti sono state estese dall’art. 28 della Costituzione allo Stato e agli enti pubblici, i funzionari e dipendenti dei quali sono stati dichiarati direttamente responsabili, secondo le leggi civili, degli atti compiuti in violazione di diritti, mentre la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. La norma dell’art. 2395 c.c. ha indotto taluno ad escludere la qualità di organo degli amministratori: se costoro rispondono direttamente verso il danneggiato, ciò significa, si è argomentato, che l’atto illecito non può dirsi alieno rispetto al suo autore e che costui, pertanto, non è legislativamente considerato quale organo della persona giuridica. La disciplina legislativa, che espone a responsabilità diretta l’autore dell’illecito, ha richiamato il concetto di rappresentante (v. rappresentanza): si è concluso che gli amministratori sono rappresentanti della persona giuridica, mentre la concorrente responsabilità di quest’ultima è stata qualificata come responsabilità indiretta (v. responsabilità , organo indiretta), ossia come responsabilità ex art. 2049 c.c.. La conclusione desta notevoli perplessità: l’art. 2049 c.c., relativo alla responsabilità di padroni e committenti (v. responsabilità , organo dei padroni e dei committenti), può spiegare perche´ la persona giuridica, sebbene agente per mezzo di rappresentanti, sia responsabile per l’illecito degli amministratori; essa esaurisce, tuttavia, la propria sfera di applicazione nel campo della responsabilità , cosiddetta indiretta, per il fatto illecito dei commessi. Altri comportamenti degli amministratori sarebbero, invece, improduttivi di effetti per la persona giuridica: questa non subirebbe gli effetti degli stati soggettivi degli amministratori, quali la mala fede o l’ignoranza; verserebbe in una situazione di incapacità rispetto agli atti, i cosiddetti atti personalissimi, che non possono essere posti in essere per mezzo di rappresentanti. Risorgerebbero, fatta eccezione per la responsabilità da fatto illecito, le antiche incapacità : si dovrebbe finire con l’ammettere che le norme sulla personale responsabilità dell’agente, alle quali pure si riconosce il pregio della modernità , siano il segno di un ritorno del sistema legislativo verso posizioni da tempo abbandonate. L’inaccettabilità delle conseguenze induce a rivedere le premesse del ragionamento: una di queste risiede nella considerazione che, se gli amministratori fossero organi, l’illecito commesso sarebbe ad esse alieno; essi non ne sarebbero, giuridicamente, gli autori e non potrebbero, pertanto, essere chiamati a risponderne. Una seconda, tacita, premessa attiene al modo di concepire la responsabilità civile: si ragiona sul presupposto che debba, in linea di principio, rispondere del danno chi possa esserne definito come l’autore, e che solo in via di eccezione gli artt. 2047 ss. c.c. prevedano, in modo tassativo, le ipotesi in cui risponde altri che non l’autore del danno. Sarebbe, perciò , conforme ai principi la responsabilità della persona giuridica per l’illecito del suo organo, ma contraria agli stessi principi la responsabilità personale dell’organo, il quale non è , giuridicamente, l’autore dell’illecito, ne´ occupa posizione corrispondente a quella dei soggetti, diversi dall’autore dell’illecito, che sono dichiarati responsabili dagli artt. 2047 ss. c.c.. Sarebbe, ancora, conforme ai principi la responsabilità personale degli amministratori, se concepiti quali rappresentanti e, perciò , quali autori, giuridicamente, del fatto dannoso; e conforme ai principi, da questo punto di vista, anche la concorrente responsabilità della persona giuridica, dal momento che questa, sebbene soggetto diverso dall’autore del danno, occupa la medesima posizione di quei soggetti, non autori del danno, che sono dichiarati responsabili dall’art. 2049 c.c.. Si postula, insomma, la persistenza, nell’ordinamento vigente, di un sistema chiuso della responsabilità civile, fondato sulla tipizzazione di ipotesi definite: ci si ritiene, di conseguenza, costretti a fare, necessariamente, rientrare in questo sistema chiuso ogni prevista ipotesi di responsabilità civile: costretti, in particolare, ad attribuire agli amministratori della persona giuridica una qualificazione che, come quella di rappresentanti dell’ente, permetta di considerarli, giuridicamente, come gli autori del fatto dannoso e, quindi, come i responsabili di esso ai sensi dell’art. 2043 c.c.. Ma il vigente sistema della responsabilità civile è , tutto all’opposto, un sistema aperto: gli artt. 2047 ss. c.c. indicano alcuni, ma non tutti, i possibili criteri di collegamento di un fatto dannoso ad un soggetto chiamato a risponderne. Ciò che si è detto per le società di capitali vale anche per le società di persone (v.), come è reso palese da una norma significativa: nel regolare la restituzione ai soci dei beni conferiti in godimento, l’art. 2281 dispone che, se i beni sono periti o deteriorati per causa imputabile agli amministratori, i soci hanno diritto al risarcimento del danno a carico del patrimonio sociale, salva l’azione contro gli amministratori. Non c’è dubbio che il diritto del socio al risarcimento del danno sia un diritto che al socio compete nella qualità di proprietario della cosa conferita in godimento, e cioè come terzo; è indubbio, pertanto, che questa norma presuppone la responsabilità della società per gli illeciti commessi dagli amministratori. La norma fa, inoltre, salva l’azione contro gli amministratori: essa mostra, in tal modo, che la materia non è diversamente regolata nelle società con e nelle società senza personalità giuridica; rivela che, nel sistema vigente, il organo organo è ormai disancorato da quello di persona giuridica e vale per ogni organizzazione collettiva con attività esterna, anche se non elevata al rango di persona giuridica. Del che la Cassazione ha, del resto, preso coscienza da tempo in rapporto alle associazioni non riconosciute (v. associazione, amministratori dell’organo non riconosciuta). Fino agli anni sessanta il Supremo Collegio concepiva gli amministratori delle associazioni riconosciute quali organi della persona giuridica e, per contro, gli amministratori delle associazioni non riconosciute quali semplici mandatari degli associati. Del pari, i poteri di rappresentanza degli amministratori venivano inquadrati, rispettivamente, nello schema della rappresentanza necessaria (v. rappresentanza, organo necessaria) e in quello della rappresentanza volontaria (v. rappresentanza, organo volontaria). Una netta svolta si compie nella giurisprudenza della Cassazione negli anni settanta, sulla base della considerazione che la persona fisica preposta alla rappresentanza dell’associazione non riconosciuta è strumento non accidentale, come nella rappresentanza volontaria, ma necessario dell’attività del soggetto collettivo. Si può dire, in conclusione, che il concetto di rappresentanza organica ha in parte perduto e in parte conservato la sua valenza originaria: ha perduto quel suo carattere che rendeva il fatto o l’atto dell’organo alieno rispetto all’autore, il quale può, all’opposto, essere chiamato a rispondere in solido con l’ente del quale è organo; ha, tuttavia, conservato quell’ulteriore carattere originario che consente l’imputazione all’ente, oltre che degli atti giuridici (v.), anche dei fatti illeciti (v.) e, in generale, dei fatti giuridici (v.) posti in essere dall’organo nell’esercizio delle sue funzioni; che consente, inoltre, l’imputazione all’ente anche degli stati soggettivi, di buona o mala fede, di scienza o di ignoranza come la buona o la mala fede rilevante agli effetti dell’acquisto a non domino (v. acquisto, organo a non domino) delle cose mobili (art. 1153 c.c.), come lo stato di scienza o di ignoranza rilevante agli effetti dell’azione revocatoria (v. azione, organo revocatoria), ordinaria (art. 2901 c.c.) o fallimentare (art. 67 l. fall.). Sotto questo secondo aspetto la rappresentanza organica (v. rappresentanza, organo organica) si distingue nettamente tanto dalla rappresentanza volontaria quanto dalla rappresentanza legale (v. rappresentanza, organo legale), con la quale pure ha in comune il carattere di rappresentanza necessaria. Per altri aspetti può dirsi che la rappresentanza organica ha guadagnato ulteriore terreno rispetto al passato: un tempo si riteneva che il dolo (v.) dell’organo, in particolare del pubblico dipendente, interrompesse il rapporto organico; oggi, per contro, si afferma che all’ente sono riferibili anche i fatti dolosi dei propri organi, sempre che posti in essere, naturalmente, nell’ambito delle loro attribuzioni e per realizzare i fini dell’ente. Non solo: i principi ora riassunti non valgono più , come in origine, per le sole organizzazioni collettive dotate di personalità giuridica; valgono ormai per tutte le organizzazioni collettive con attività esterna. La norma dell’art. 1388 c.c. (v. rappresentanza) vale, per regola generale, anche per i contratti conclusi dall’organo: l’ente ne resta vincolato solo se l’organo abbia agito in suo nome, salva la possibilità di ammettere, in rapporto alle circostanze, una contemplatio domini (v.) tacita oppure presunta. La regola trova, tuttavia, una rilevante eccezione nelle società di persone, in forza della interpretazione estensiva che la nostra giurisprudenza dà all’art. 147, comma 2o, l. fall.. Secondo un naturale negotii del contratto di società di persone ciascun socio (illimitatamente responsabile) è , disgiuntamente dagli altri, amministratore della società (art. 2257) e ciascun socio amministratore è , in quanto tale, rappresentante della società (art. 2266, comma 2o, c.c.). Il potere rappresentativo ha, dunque, la propria fonte nel contratto di società: una apposita clausola è necessaria non per fondare, ma per escludere il potere del socio di amministrare la società o il suo potere di rappresentarla. Orbene, perche´ un socio obblighi la società e, di conseguenza, gli altri soci illimitatamente responsabili non è affatto necessario che egli spenda il nome della società . Ben può il socio agire in nome proprio: egli ugualmente obbligherà la società e gli altri soci, se i creditori potranno provare che il loro contraente è socio di una società commerciale di persone e che egli non ha agito nel (solo) proprio interesse, ma nell’interesse della società. A tanto la giurisprudenza arriva applicando estensivamente l’art. 147, comma 2o, l. fall., che prevede testualmente l’estensione del fallimento ai soci occulti di società palese (v. fallimento, organo del socio occulto). L’estensione consiste nell’applicare la norma al caso del fallimento di un imprenditore (apparentemente) individuale, del quale successivamente si scopra l’esistenza di soci. In tal caso, fermo restando il fallimento originariamente dichiarato, viene dichiarato anche il fallimento della società occulta e degli altri soci di questa. Alla base di questa giurisprudenza operano due premesse incontestabili: a) il potere rappresentativo del socio non deriva, nella società di persone, da un apposito atto, bensì è inerente al contenuto legale dello stesso contratto di società , come emerge dai citati artt. 2257 e 2266, comma 2o, c.c.; b) perche´ l’effetto rappresentativo si verifichi non occorre, nelle società di persone, la contemplatio domini, come è dimostrato dall’art. 147, comma 2o, l. fall.: se in una società di tre soci, uno dei quali occulto, questo fallisce quantunque il suo nome non sia stato speso, si dovrà concludere che fallisce anche il socio occulto di una società di due soci, non potendosi ammettere che la conclusione debba mutare per il solo fatto che i soci siano due anziche´ tre. Per provare la responsabilità della società occulta e dei suoi soci è , dunque, sufficiente dare la prova dell’esistenza del rapporto sociale: si è , con ciò stesso, data la prova del potere rappresentativo di colui che ha agito come apparente imprenditore individuale.
organo della persona giuridica: v. capacità di agire, organo della persona giuridica; concetto di organo.
organo dell’associazione: v. associazione, organi dell’organo.
organo dominante dell’associazione: v. associazione, organi dominanti della organo.
organo e rappresentante: v. organo, concetto di organo.
fatto illecito dell’organo della persona giuridica: v. responsabilità , organo della persona giuridica per fatto illecito dell’organo; fatti illeciti, responsabilità dei pubblici dipendenti per organo.
organo internazionale: ente investito di una funzione dal diritto internazionale. Affinche´ si abbia un organo organo non è necessaria la esistenza di un soggetto di diritto cui imputare l’attività dell’organo; è sufficienza che esista una struttura anche obbiettiva capace di funzionare in modo unitario. Devono tenersi distinti dalle c.d. riunioni di organi (conferenze, congressi ecc.) che costituiscono delle semplici riunioni di organi nazionali; a meno che non si abbia in loro favore una vera e propria investitura di funzioni internazionali (con la sostituzione, ad esempio, del criterio maggioritario a quello dell’unanimità per le deliberazioni) ed esse non assumano carattere organico. Tali organi si distinguono in: a) burocratici, costituiti da un individuo o da un complesso di individui, che danno vita alla c.d. burocrazia internazionale (segretariati delle organizzazioni internazionali; bureaux internazionali ecc.) e non burocratici; b) di attività internazionale e di attività interna. L’Ufficio internazionale di Berna per la registrazione dei marchi di fabbrica o di commercio viene indicato come un esempio dell’ultima categoria; c) di individui e di Stati, a seconda che le persone fisiche componenti l’organo siedano a titolo individuale o come rappresentanti di Stati; d) individuali e collegiali, a seconda se composti da una o più persone fisiche; e) legislativi, amministrativi e giurisdizionali, con riferimento alle funzioni esplicate; f) permanenti ed occasionali.
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