Perche´ il contratto concluso dal rappresentante produca direttamente effetto nei confronti del rappresentato, è necessaria una preliminare condizione: il rappresentante deve concludere il contratto in nome del rappresentato. Non basta che egli abbia agito per conto altrui; non basta che l’altro contraente sapesse che egli non contrattava nel proprio interesse, bensì nell’interesse di altra persona. Occorre la cosiddetta spendita del nome o, secondo il linguaggio tradizionale, la contemplatio domini: il contratto deve essere concluso in nome del rappresentato e, se si tratta di contratto scritto, deve essere formato con la menzione del suo nome (con la formula: a questo contratto partecipa Tizio in rappresentanza di Caio, oppure: partecipa Caio rappresentato da Tizio, e simili) o deve essere sottoscritto in nome del rappresentato (il rappresentante Tizio, ad esempio, firmerà in calce al contratto con la formula: Tizio in qualità di rappresentante di Caio, oppure Caio rappresentato da Tizio; o anche formule più sintetiche: per Caio, Tizio; Tizio per Caio). Se un soggetto agisce in nome proprio, quantunque per conto altrui, omettendo di spendere il nome di colui per conto del quale agisce, il contratto produrrà effetti nei suoi confronti: sarà lui ad acquistare i diritti e ad assumere le obbligazioni che derivano dal contratto; e ciò anche se l’altro contraente sapeva che egli agiva non per conto proprio, ma per conto altrui, e sapeva per conto di chi agiva. Lo si desume, inequivocabilmente, dall’art. 1705, comma 1o, c.c.: il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. Può però accadere che un soggetto sottoscriva il contratto con il solo proprio nome, senza ulteriore specificazione, ma in presenza di circostanze che non lasciano dubbi sul fatto che egli agisse in nome altrui: ad esempio, perche´ l’altrui procura, anche se non menzionata nel contratto, era stata a questo allegata, oppure perche´ la sottoscrizione del contratto era stata preceduta da un preliminare recante la contemplatio domini, oppure perche´ questa figurava nelle lettere che le parti si erano scambiate nel corso delle trattative precontrattuali. Si discute se si può configurare, in casi di questo genere, una contemplatio domini tacita. Ancora: la spendita del nome altrui è stata omessa da persona che ordinariamente agisce come rappresentante altrui e in un contratto rientrante fra quelli che essa normalmente conclude per il dominus. Si può, in questo ordine di casi, presumere la contemplatio domini? A questi interrogativi la giurisprudenza dà risposte non uniformi: talora esige che la spendita del nome risulti dal contratto; talaltra ammette che possa risultare aliunde. A volte richiede una contemplatio domini espressa; altre volte giudica sufficiente una spendita del nome altrui tacita o anche presunta. Le particolarità dei casi di specie hanno sicuramente influito sul mutevole orientamento dei giudici. La chiave di lettura della giurisprudenza in materia può essere questa: i giudici hanno disatteso l’eccezione del rappresentato, che per sottrarsi alle conseguenze del contratto concluso dal suo rappresentante faceva valere la mancata menzione del proprio nome, tutte le volte che una simile eccezione appariva, date le circostanze, un formalistico pretesto contrario alla buona fede (v.). In linea di principio può dirsi che una spendita del nome tacita o presunta è sicuramente ammessa per i contratti verbali. La quotidiana contrattazione dei commessi di negozio prescinde una formale spendita del nome dell’imprenditore: essi vendono merci altrui in locali altrui, e ciò fa presumere che agiscano in nome altrui. La tradizionale giustificazione, del resto, che si dà alla valida contrattazione dei minori dotati di capacità naturale di intendere e di volere, considerati quali rappresentanti dell’esercente la potestà su di essi, si regge proprio sulla ammissibilità di una contemplatio domini presunta: l’altro contraente non ha bisogno di chiedere al minore se agisce in nome proprio (e in tal caso il contratto sarebbe invalido) oppure in nome dei genitori; è legittimato a presumere questa seconda ipotesi in rapporto alla natura e all’oggetto del contratto. Se tutto ciò è vero, sarà difficile sostenere che la spendita del nome altrui debba necessariamente essere espressa quando il contratto abbia forma scritta. Un punto, tuttavia, dovrà essere ben chiaro: i fatti concludenti o gli elementi presuntivi utilizzabili non potranno mai riferirsi alla mera altruità dell’interesse gestito, essendo perfettamente ammissibile contrattare in nome proprio per un interesse altrui. Dovranno riferirsi, invece, alla altruità del rapporto giuridico dedotto in contratto: essere tali, cioè , da indurre con sicurezza ad escludere che il contraente avesse inteso acquistare per se´ i diritti o ad assumere su di se´ le obbligazioni formanti materia del contratto. V. anche rappresentanza; capacità naturale, contemplatio domini dei minori.
contemplatio domini dell’institore: l’institore (v.) è tenuto ad informare il terzo della circostanza che egli tratta per il preponente (v.) (art. 2208 c.c.); altrimenti incorre in responsabilità personale nei confronti del terzo per le obbligazioni assunte. Il terzo può però agire anche contro il preponente per gli atti compiuti dall’institore che siano pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto. La norma si giustifica per la considerazione che, se l’atto giuridico posto in essere dall’institore è pertinente ad un’attività economica afferente ad un’impresa altrui, l’imprenditore resta obbligato in virtù di una contemplatio domini presunta. Chi contrae con l’institore, pertanto, può agire tanto nei confronti dell’institore che abbia omesso la contemplatio domini, quanto nei confronti del preponente, traendo profitto da una contemplatio domini presunta.
Contanti | | | Contenzioso |