Il diritto soggettivo (v. diritti soggettivi) è un interesse protetto dal diritto oggettivo: il soggetto portatore dell’interesse protetto coincide con il soggetto titolare del diritto. Ma questa coincidenza può mancare: può accadere che il diritto oggettivo attribuisca ad un soggetto una pretesa a protezione di un interesse altrui. In tal caso non si parla più di diritto soggettivo, ma si parla di potestà. Ev il caso della potestà dei genitori (v.) sui figli minori: ai primi è riconosciuta una serie di pretese sui secondi; ma è riconosciuta loro non nel proprio interesse, bensì nell’interesse dei figli. Le potestà sono poteri propri del soggetto, anche se spettantigli nell’interesse altrui; non vanno confuse con i poteri derivati, in forza dei quali un soggetto è abilitato ad agire nell’interesse altrui per incarico conferitogli dallo stesso interessato, come nel caso della rappresentanza (v.); o vi è abilitato per provvedimento della pubblica autorità , come nel caso del tutore (v.) dell’incapace o nei casi degli amministratori giudiziari, del curatore del fallimento e così via, e si parla allora di ufficio.
potestà dei genitori: entrambi i genitori hanno l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole (art. 147 c.c.), adempiendo questo dovere in proporzione delle rispettive sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo (art. 148 c.c.). All’adempimento di questi doveri è preordinata la potestà, ad essi spettante sui figli minori. Essa ha preso il posto, con la riforma del 1975, della patria potestà: ora spetta ad entrambi i genitori ed è esercitata da essi di comune accordo (art. 316, commi 1o, e 2o, c.c.). Neppure si tratta, come in passato, di una sorta di potere assoluto, cui il figlio minore deve immancabilmente piegarsi. L’art. 147 c.c. valorizza la personalità del minore: nell’istruirli ed educarli i genitori debbono tenere conto delle capacità , dell’inclinazione naturale e della aspirazioni dei figli. Se uno dei genitori è lontano o, comunque, impedito nell’esercizio della potestà, questa è esercitata dall’altro (art. 317 c.c.); ma, se un genitore trascura i propri doveri o abusa dei propri poteri con grave pregiudizio per i figli, il giudice può pronunciare la sua decadenza dalla potestà, e può anche ordinare l’allontanamento dei figli dalla residenza familiare (art. 330 c.c.). In caso di disaccordo fra i genitori su questioni di particolare importanza ciascuno di essi può rivolgersi al giudice, il quale sentirà in questo caso i figli se maggiori di quattordici anni (art. 316, commi 3o e 5o, c.c.). Se occorrono, nel frattempo, provvedimenti urgenti e indifferibili, vi provvede il padre (art. 316, comma 4o, c.c.). Il giudice, in questa ipotesi, non adotta però soluzioni, come nel caso dell’art. 145 c.c.: si limita a suggerirle e, se il contrasto permane, attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che ritiene più idoneo a curare l’interesse del figlio (art. 316, comma 5o, c.c.). Ha qui agito, manifestamente, la preoccupazione di evitare che l’organo dello Stato si sostituisca ai genitori, anche se tra loro in disaccordo, nell’esercizio della potestà sui minori, considerata come prerogativa inalienabile di quella società naturale che è la famiglia. I figli, a loro volta, debbono rispettare i genitori e, se conviventi, contribuire al mantenimento della famiglia con le proprie eventuali sostanze e con il proprio eventuale reddito (art. 315 c.c.). Non possono abbandonare la casa dei genitori e, se se ne allontanano senza il loro permesso, i genitori possono ricorrere al giudice tutelare (art. 318 c.c.). I genitori hanno la rappresentanza dei figli minori (artt. 320 ss. c.c.), che è rappresentanza legale (v. rappresentanza, potestà legale), attribuita loro dalla legge; e possono quali rappresentanti legali, continuare l’esercizio dell’impresa commerciale di cui il figlio sia titolare. Essi hanno, altresì, l’usufrutto legale sugli eventuali beni dei figli, esclusi i beni acquistati dai figli con i proventi del proprio lavoro (oltre che quelli ad essi pervenuti per successione o per donazione con la specifica destinazione alla carriera, ad un’arte o ad una professione del minore); ma debbono destinare i frutti che percepiscono al mantenimento della famiglia ed alla istruzione ed educazione dei figli (art. 324 c.c.). V. anche genitori, potestà come rappresentanti legali del minore.
potestà dei genitori naturali: al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui. Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell’art. 316 c.c.. Se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice nell’esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall’esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore. Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore.
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