La pesca marina, secondo la definizione adottata dalla l. 14 luglio 1965, n. 963, ricomprende ogni attività diretta a catturare esemplari di specie, il cui ambiente abituale o naturale di vita siano le acque marine, indipendentemente dai mezzi adoperati o dal fine perseguito. Con l. 17 febbraio 1982, n. 41, che ha provveduto ad un riordino della materia, si è in primo luogo prevista l’adozione, ad opera del Ministero della Marina mercantile, di piani di durata triennale per la razionalizzazione e lo sviluppo della pesca marittima, elaborati dal Comitato nazionale per la conservazione e la gestione delle risorse biologiche del mare ed approvati dal Cipe, nell’ambito del più ampio fine di promuovere lo sfruttamento razionale e la valorizzazione delle risorse biologiche del mare attraverso uno sviluppo equilibrato della pesca marittima. La pesca nel mare territoriale è riservata a cittadini e navi da pesca italiani, salve speciali convenzioni e deroghe autorizzate con d.p.r. (art. 221 c. nav.). Per l’esercizio della pesca, le navi ed i galleggianti (v.) abilitati alla navigazione devono essere muniti di apposita licenza, rilasciata dal ministero della marina mercantile. Presso lo stesso ministero è istituito il Fondo centrale per il credito peschereccio. Con riferimento allo scopo perseguito, si distingue fra pesca professionale, pesca scientifica e pesca sportiva. Ai fini amministrativi, si distingue inoltre fra: pesca costiera, esercitata lungo le coste continentali e insulari a distanza non superiore alle venti miglia; pesca mediterranea, o d’altura, esercitata nel Mare Mediterraneo, entro gli stretti di Gibilterra e dei Dardanelli e il canale di Suez; pesca oltre gli stretti od oceanica, esercitata oltre i suddetti limiti (art. 220 c. nav.). La disciplina della pesca e la vigilanza su di essa sono esercitate dal Ministero della Marina mercantile, dalle autorità marittime locali e dagli enti locali, regionali e provinciali. La disciplina e l’attività amministrativa relativa alla pesca nelle acque interne ( v.) è devoluta alle regioni dagli artt. 1 e 79 d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616, in base agli artt. 117 e 118 Cost.. Alla Sicilia ed alla Sardegna sono demandate anche le attribuzioni relative alla pesca marittima. Alle province è attribuita la competenza sui diritti esclusivi di pesca (v. diritti, pesca esclusivi di pesca). V. anche occupazione.
Competenze amministrative per la pesca: le competenze amministrative in materia di pesca nelle acque interne sono distribuite fra Stato e regioni e sono diversamente ripartite a seconda che si tratti di regioni a statuto speciale o ordinario. Per le regioni a statuto speciale, la competenza non è limitata alla sola pesca nelle acque interne, ma si estende anche a quella marittima (tranne che per la Valle d’Aosta ed il TrentinopescaAlto Adige, ma solo per ragioni di ordine geografico). Ev stata la giurisprudenza della Corte Costituzionale a definire precisamente le competenze di questo tipo di regioni, stabilendo che: con il termine «pesca » s’intendono, in senso stretto, le sole attività che riguardano la cattura delle specie animali esistenti in acqua; le competenze delle regioni vanno espletate nel rispetto delle competenze statali; logisticamente, la competenza concerne solo le acque territoriali, escludendo il mare libero e la piattaforma continentale. La competenza legislativa è esclusiva. La potestà regolamentare disciplina l’esercizio delle funzioni amministrative provenienti dall’area statale. Per le regioni a statuto ordinario, invece, la competenza è relativa solo al settore della pesca nelle acque interne. La competenza legislativa è concorrente. L’art. 100 del d.p.r. n. 616/1977 ha individuato le funzioni amministrative nelle seguenti: tutela e conservazione del patrimonio ittico; usi civici; esercizio della pesca; rilascio delle licenze; piscicoltura e ripopolamento; studio e propaganda; ricerca e sperimentazione; rilascio delle concessioni a scopo di piscicoltura nelle acque interne. La nozione di pesca nelle acque interne comprende anche la pesca nelle acque del demanio marittimo interno. La l. 2 maggio 1977 n. 192 ha aggiunto alle competenze regionali quelle relative alle autorizzazioni e alla vigilanza in materia di coltivazione dei molluschi eduli e relativi impianti di raccolta e depurazione. La disciplina comunitaria (art. 38 del trattato istitutivo della Cee) ritiene che i prodotti ittici rientrano tra quelli agricoli, alla cui disciplina sono quindi assoggettati. Inoltre, la Comunità , con una serie di regolamenti emanati tra il 1970 ed il 1983, ha istituito un regime unitario di conservazione e gestione della «risorsa pesca », anche al fine di garantire la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento equilibrato.
pesca in alto mare: la libertà di pesca spetta a tutti gli Stati in alto mare (Conv. Ginevra, 1958, sull’alto mare, art. 2, comma 2o; Conv. Montego Bay, 1982, sul diritto del mare, art. 87, comma 1o, lett. e). Con la istituzione della zona economica esclusiva (Zee), gli Stati costieri hanno finito con il porre vincoli di sovranità , ai fini dell’esercizio della pesca, su larghe porzioni di alto mare, vietando l’attività degli Stati, i cui cittadini esercitavano tradizionalmente la pesca in quelle aree e al più , consentendo l’accesso per lo sfruttamento di limitati contingenti di catture ragguagliati a quello che supera le proprie capacità di pesca. Tutti gli Stati hanno, infatti, l’obbligo di imporre ai propri cittadini misure per la conservazione delle risorse viventi, cooperando a questo fine con gli altri Stati (Conv. Ginevra, 1958, sulla pesca, artt. 3, 4 e 8; Conv. Montego Bay, 1982, sul diritto del mare, artt. 117 e 118). Alla risoluzione dei problemi connessi alla conservazione e gestione razionale delle risorse ittiche dell’alto mare è dedicata la Conferenza mondiale della pesca, apertasi a New York nel luglio 1993.
pesca marittima: si svolge nelle acque del mare, in quelle del demanio marittimo, nelle zone di mare ove sfociano fiumi ed altri corsi d’acqua, oppure in quelle che comunicano direttamente con lagune e bacini d’acqua. Nell’ambito di questa nozione si distingue tra: pesca costiera, che si svolge lungo le coste continentali ed insulari dello Stato a distanza non superiore a 20 miglia; pesca mediterranea, che si svolge nel mare Mediterraneo; pesca oltre gli stretti, che si svolge fuori dagli stretti di Gibilterra, Dardanelli e Canale di Suez. In relazione al fine perseguito, si distingue, invece, tra pesca professionale, caratterizzata dall’assenza di fini lucrosi, e pesca specifica di ricerca. Dato l’alto rischio insito nell’attività , la forma giuridica di conduzione dell’impresa di pesca è , per lo più , la «cooperativa», che trova fondamento nella propensione solidaristica tra pescatori.
pesca nelle acque interne: si tratta della pesca che si esercita nelle acque dei fiumi, dei laghi, dei torrenti, dei canali e dei fossi che sboccano nel mare con foce libera. La nozione ricomprende sia le attività dirette alla ricerca e alla cattura del pesce, sia la piscicoltura e l’acquicoltura. La piscicoltura è l’insieme delle attività che hanno come obiettivo l’allevamento di pesci nonche´ il ripopolamento delle acque mediante immissione di avannotti e di riproduttori; si pratica, in genere, nelle acque dolci. L’acquicoltura, invece, riguarda non solo la piscicoltura ma anche la molluschicoltura, lo sfruttamento dei banchi sottomarini e l’allevamento di tutti gli organismi acquatici.
pesca nella zona economica esclusiva: v. zona, pesca economica esclusiva.
pesca nelle zone di ripopolamento ittico in alto mare: rientra in questa tipologia la Zona di pesca a sudpescaovest di Lampedusa. L’area, posta nel Canale di Sicilia tra la Tunisia e le Isole Pelagie è delimitata da una linea che, partendo dal punto di arrivo della linea delle 12 miglia delle acque territoriali tunisine, si ricollega sul parallelo di Ras Kapoudia, con l’isobata dei 50 m. e segue tale isobata fino al punto di incontro con la linea che parte da Ras Agadir in direzione NordpescaEst ZV=45 – €™. Tale zona di ripopolamento è considerata dall’ordinamento italiano (d.m. del 25 settembre 1979) una porzione di alto mare che è tradizionalmente riconosciuta come zona di ripopolamento ed in cui è vietata la pesca ai cittadini italiani ed alle navi battenti bandiera italiana. In contrasto con questo provvedimento dell’Italia, la Tunisia continua ancora oggi (il primo atto istitutivo del vincolo è il Decreto Beylicale del 26 luglio 1951 il cui contenuto è stato ripetuto in successive leggi) a considerare il Mammellone come zona riservata alla pesca dei soli battelli nazionali, delimitandolo con modalità identiche a quelle adottate dal nostro Paese. Il differente modo di qualificare giuridicamente la zona è alla base del contenzioso che oppone l’Italia alla Tunisia da quando, con lo scadere, nel 1979, dell’ultimo accordo bilaterale di pesca tra i due Paesi, è venuto a cadere il regime preferenziale di pesca in acque territoriali tunisine previsto in favore dei battelli italiani, dietro pagamento da parte del nostro Governo di cospicue contropartite finanziarie. Il problema è acuito dal fatto che la Tunisia pretende di assoggettare alla propria giurisdizione, mediante sequestro in mare, i battelli italiani sorpresi a pescare nella zona. Per contrastare questa tendenza e riaffermare il diritto dell’Italia a controllare con le proprie navi pubbliche autonomamente il rispetto da parte dei battelli nazionali della regolamentazione adottata per la zona la l. 31 dicembre 1989, n. 979, sulla difesa del mare, riserva alla Marina militare la vigilanza sulle attività economiche sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là delle acque territoriali italiane.
pesca nel mare territoriale: l’esercizio delle attività di pesca nell’ambito delle acque territoriali rientra nei diritti esclusivi dello Stato costiero che, a tale scopo, ha facoltà di emanare leggi e regolamenti per riservare ai nazionali lo sfruttamento delle relative risorse (Conv. Ginevra, 1958, sul mare territoriale e la zona contigua, art. 14, comma 5o; Conv. Montego Bay, 1982, art. 21, comma 1o). Tutti gli Stati costieri, a cominciare dall’Italia che lo ha fatto con d.m. 29 novembre 1984, riservano ai battelli nazionali la pesca all’interno della fascia delle 12 miglia delle acque territoriali. Questi diritti si estendono tuttavia nella zona contigua marittima nel caso in cui lo Stato costiero l’abbia istituita senza tuttavia prevedere, contemporaneamente, una riserva di pesca a proprio favore.
pesca nel Mar Mediterraneo: nei bacini chiusi (Conv. Montego Bay, 1982, sul diritto del mare, art. 122), quali il Mediterraneo, si è evidenziata l’esigenza di realizzare una cooperazione particolarmente stretta in materia di pesca (art. 123), esigenza che, per quanto riguarda il Mediterraneo, aveva già trovato un riconoscimento con la costituzione del Consiglio generale delle pescherie per il Mediterraneo (Gfcm), nel 1949. Il quadro d’insieme della pesca pesca, nonostante esistano le premesse per lo sviluppo della necessaria cooperazione tra gli Stati della regione, in assenza di zone economiche esclusive, è dunque caratterizzato da un regime di libertà caratteristico dell’alto mare. Per questo motivo, la cooperazione degli Stati deve tendere: a stabilire un razionale sistema di conservazione e di protezione riguardo a specie che, in linea di principio ricadono nel regime di libertà di pesca; a verificare le possibilità di applicazione di un simile regime convenzionale, una volta stabilito, anche agli Stati non rivieraschi del Mediterraneo; a impedire che le misure di conservazione accettate dalla gran parte degli Stati interessati, non vengano vanificate da altri. Lo strumento per la realizzazione di tali obiettivo è l’accordo, sia bilaterale che multilaterale e l’attività di cooperazione realizzata in sede Fao e di Gfcm.
politica comunitaria della pesca: autonoma solo dal 1977, quando ad essa viene dedicata una apposita sezione della Relazione generale della Commissione; fino ad allora infatti, essa rientrava nell’ambito della politica agricola (v. politica comunitaria, pesca agricola). Più in particolare, a seguito della Dichiarazione adottata al vertice straordinario dell’Aja del novembre 1977, gli Stati hanno esteso i limiti delle zone di pesca, con una azione coordinata, nel Mare del Nord e nell’Oceano Atlantico settentrionale sino ad un massimo di 200 miglia marine a partire dalla costa. All’interno di dette zone le attività sia dei pescatori di terzi Stati che quelle dei pescatori comunitari vengono disciplinate da appositi accordi bilaterali. Nel 1983, poi, i ministri competenti in materia di pesca degli Stati membri, hanno raggiunto un accordo sulla politica comune della pesca ed è nata la c.d. Europa blu. La pesca pesca riguarda, in linea generale, la parità di condizioni di accesso alle risorse delle acque marittime comunitarie; la conservazione delle risorse biologiche ivi comprese; una serie di misure tra le quali, ad esempio, la fissazione dei totali autorizzati di cattura (Total Allowable Catches: TAC); il rafforzamento e l’ampliamento degli accordi con i Paesi terzi; il sostegno ai mercati tramite un’organizzazione comune ristrutturata; l’ammodernamento e lo sviluppo del settore della pesca e dell’acquacoltura con azioni finanziate.
zone riservate di pesca: zone di ampiezza variabile, a volte corrispondenti alla zona contigua marittima, nell’ambito delle quali lo Stato costiero si riserva diritti esclusivi di pesca. Di una zona contigua marittima in materia di pesca si comincia a parlare in un certo modo con riferimento alla Convenzione di Ginevra, del 1958, sulla pesca e la conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare (artt. 6, 7) che riconosce allo Stato costiero non diritti sovrani esclusivi di sfruttamento, bensì uno speciale interesse alla conservazione delle risorse marine in un’area di mare libero adiacente al mare territoriale, consentendogli di adottare unilateralmente misure appropriate a tale fine, se non sia raggiunto entro 6 mesi un accordo al riguardo con gli altri Stati i cui cittadini esercitino la pesca nella zona. Ev prevista anche una procedura per regolare le eventuali controversie tra gli Stati (art. 9). Nel corso della II Conferenza di Ginevra del 1960, sul diritto del mare, emerge la tendenza al riconoscimento di una zona riservata di pesca ampia fino a 12 miglia dalla costa all’interno della quale si riconoscono allo Stato costiero in materia di pesca e di conservazione delle risorse biologiche, gli stessi diritti esercitabili nel mare territoriale: contestualmente entro una zona tra le 6 e le 12 miglia venivano riconosciuti diritti storici, a durata limitata, ai pescatori stranieri che avessero pescato abitualmente nella zona per un periodo di 5 anni antecedenti al 1958. Successivamente, tale tendenza viene legittimata dalla conclusione di accordi internazionali in tal senso, quali la Convenzione europea di Londra, del 1964 sulla pesca. Le pretese all’istituzione di pesca pesca divennero sempre più ampie e più frequenti tra il 1958 ed il 1974, anno di apertura della III Conferenza delle N.U. sul diritto del mare, nell’ambito della quali iniziò a concretarsi l’idea di una giurisdizione esclusiva dello Stato costiero sulle risorse viventi e non in una fascia di mare di 200 miglia dalla costa che darà vita all’istituto della zona economica esclusiva (Zee).
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