deliberazione a maggioranza: v. maggioranza, principio di deliberazione.
deliberazione di assemblea del condominio: v. condominio, assemblee del deliberazione; condominio, deliberazioni assembleari del deliberazione.
deliberazione di assemblea della comunione: v. comunione, assemblea dei partecipanti alla deliberazione.
deliberazione di assemblea dell’associazione: v. associazione, assemblea dell’deliberazione.
deliberazione di assemblea di s.p.a.: v. deliberazione assembleare.
documentazione della deliberazione: nelle società di capitali le deliberazioni assembleari debbono, a norma dell’art. 2375 c.c., constare da verbale, che deve essere sottoscritto dal presidente e dal segretario e che, se si tratta di assemblea straordinaria, deve essere redatto da un notaio. Per il condominio negli edifici l’art. 1136, comma 7o, c.c., dispone che delle deliberazioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto dall’amministratore. In tema di verbale delle deliberazioni assembleari di società di capitali la giurisprudenza è ispirata ad un atteggiamento particolarmente rigoroso: essa ritiene che il verbale attenga alla forma della deliberazione, e non soltanto, come postula il concetto stesso di verbale e come è opinione della prevalente dottrina, alla sua documentazione; e ritiene che si tratti di forma prescritta a pena di nullità. Ma ad opposta valutazione essa perviene riguardo al verbale delle deliberazioni del consiglio di amministrazione. Certamente, la formazione del documento è necessaria a tutti gli effetti di legge: per la trascrizione delle deliberazioni nel libro di cui all’art. 2421, comma 1o, c.c.; per l’iscrizione nel registro delle imprese, se si tratta di deliberazioni che vi sono sottoposte; ma anche per l’esecuzione delle deliberazioni da parte degli amministratori o per la loro impugnazione ai sensi dell’art. 2377, comma 2o, c.c. (come eseguire o come impugnare una deliberazione verbalmente adottata?). Questa necessità del documento non equivale, tuttavia, a condizione di validità delle deliberazioni. In mancanza del documento la deliberazione sarà inefficace; ma non si può escludere che il verbale, che è dichiarazione di scienza del presidente e del segretario o del notaio, avente ad oggetto l’adottata deliberazione, possa essere sostituito da una sentenza di accertamento. Un problema di fronte al quale la giurisprudenza ha, in tempi più recenti, mitigato l’originario rigore è quello della analiticità o sinteticità del verbale: se dal verbale, cioè , debba a pena di nullità risultare o non risultare l’indicazione nominativa dei soci intervenuti e del modo con il quale essi hanno votato. La giurisprudenza accoglie in prevalenza la tesi della sinteticità , ammettendo che, ai fini dell’impugnazione, il socio potrà dimostrare con ogni mezzo di prova la propria qualità di socio assente o, con apposite dichiarazioni messe a verbale, secondo quanto prevede lo stesso art. 2375 c.c., la propria qualità di socio dissenziente.
metodo collegiale della deliberazione: v. struttura della deliberazione.
struttura della deliberazione: di deliberazione il c.c. parla in materia di comunione (v.) (art. 2105, comma 2o, c.c.) e di società di persone (v.) (art. 2287 c.c.); di voto e di deliberazione parla in materia di consorzi (v.) fra imprenditori (art. 2606 c.c.), di assemblea di associazioni (v. associazione, assemblea dell’deliberazione) (art. 21 c.c.) e di condominio (v.) degli edifici (art. 1136 c.c.), di assemblea (artt. 2368 ss. c.c.) e di consiglio di amministrazione (art. 2388 c.c.) di società di capitali (v.) come di società cooperative (v.) (artt. 2532 ss. c.c.), e ancora la legge fallimentare ne parla in tema di concordato fallimentare (v. concordato, deliberazione fallimentare) (art. 127 l. fall.), di concordato preventivo (v. concordato, deliberazione preventivo) (art. 177 ss. l. fall.), di amministrazione controllata (v.) (art. 189 l. fall.). Di decisioni adottate a maggioranza si dice nel c.c. per l’impresa familiare (art. 230 bis, comma 1o, c.c.); e analoghe varianti terminologiche si ritrovano per le società di persone: vi si parla di consenso di tutti i soci (artt. 2252, 2275 c.c.) o di tutti i soci amministratori (art. 2258, comma 1o, c.c.), di consenso degli altri soci (artt. 2256, 2301 c.c.), di consenso della maggioranza (artt. 2258, comma 2o, 2322, comma 2o, c.c.); altre volte si dice che la maggioranza dei soci decide (art. 2257, comma 3o, c.c.) o che la stessa delibera: per l’art. 2287 c.c. l’esclusione è deliberata dalla maggioranza dei soci; nell’art. 1312 c.c. si parla di persona designata dalla maggioranza. Nel linguaggio legislativo voto e deliberazione sono riferiti a distinti artefici. Si parla, ripetutamente, di voto del socio e di deliberazione dell’assemblea: l’art. 2377, comma 1o, c.c., precisa che le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo, vincolano tutti i soci, ancorche´ non intervenuti o dissenzienti. Fra voto del socio e deliberazione dell’assemblea si suole, tradizionalmente, instaurare una differenza non semplicemente quantitativa, ossia basata sul fatto che la deliberazione consta di una pluralità di voti, ma una differenza di ordine qualitativo: si parla della deliberazione come di una dichiarazione di volontà ulteriore rispetto ai voti che sono concorsi a formarla, ossia come della volontà della società o dell’associazione e così via. Al modo di formazione della deliberazione, il cosiddetto metodo collegiale o di assemblea, si attribuisce la virtù di trasformare una pluralità di dichiarazioni individuali, i voti dei singoli soci, in una nuova unitaria volontà : la volontà collettiva formata dall’assemblea. Ma ciò non è nulla di più di una metafora, di una immagine del parlare figurato. La volontà presupposta dalla deliberazione è e non può essere se non quella degli individui che sono concorsi a formarla, giacche´ il termine volontà ha un significato psicologico che ne permette il riferimento solo a individui, non ad assemblee o a società . Al di là della metafora la deliberazione si presenta alla stregua di una pluralità di dichiarazioni individuali: essa non è la volontà dell’assemblea, ma la volontà della maggioranza, sia pure formata in assemblea. Alla volontà espressa dalla maggioranza, e non ad una pretesa volontà collettiva da essa diversa, va imputato l’effetto giuridico prodotto dalla deliberazione, l’effetto in particolare cui fa riferimento il ricordato art. 2377, comma 1o, c.c.. La deliberazione è quantitativamente, e non qualitativamente, diversa dai voti che concorrono a formarla: essa consiste in una pluralità di dichiarazioni unilaterali, l’efficacia delle quali è subordinata alla condizione che il contenuto di ciascuna di esse corrisponda al contenuto di tante altre dichiarazioni, ossia di tanti altri voti, quante occorrono per formare la richiesta maggioranza. Il metodo assembleare è condizione di validità della deliberazione: le deliberazioni della maggioranza vincolano, a norma dell’art. 2377, comma 1o, c.c., i soci assenti o dissenzienti solo se prese in conformità della legge e dell’atto costitutivo; si colloca fra le norme che regolano il procedimento assembleare di formazione delle deliberazioni. Ciò è tanto più vero in quanto il metodo assembleare non è sempre necessario per la formazione delle deliberazioni. Esso è espressamente previsto per le società di capitali (v.): qui c’è un complesso procedimento che muove dalla convocazione dei soci in un medesimo luogo e per un determinato ordine del giorno: ad essa seguono la discussione fra gli intervenuti alla riunione sulle materie all’ordine del giorno e, al termine della discussione, la votazione (art. 2363 ss.). Il metodo assembleare è , inoltre, espressamente previsto per le deliberazioni dei partecipanti alla comunione (v.) di diritti reali (art. 1105, comma 3o, c.c.), ma risulta superfluo per le deliberazioni unanimi, siano esse per avventura prese all’unanimità su oggetto per il quale sarebbe bastata la volontà della maggioranza, oppure deliberazioni necessariamente unanimi. Nella disciplina delle società di persone (v.) è, infine, assente ogni traccia del metodo assembleare e, nel silenzio della legge al riguardo, si è da tempo consolidato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale in queste società manca quel particolare organo sociale che è l’assemblea dei soci ed è , perciò , sufficiente raccogliere le singole volontà anche separatamente, senza che occorra uno speciale procedimento per una unitaria deliberazione in senso formale. Ne deriva che, quando si deve deliberare a maggioranza, non occorre neppure consultare tutti i soci; basta consultarne tanti quanti occorrono per formare la maggioranza richiesta. Le deliberazioni possono, dunque, essere prese dalla maggioranza anche all’insaputa della minoranza. La volontà dei soci può , infine, essere dichiarata anche tacitamente: essa può desumersi per implicito da atti concludenti. Altro metodo può valere per le società cooperative. L’art. 2532, comma 6o, c.c., autorizza infatti l’atto costitutivo a consentire che le deliberazioni sociali siano prese dai soci per corrispondenza. Non c’è dubbio qui che, se l’atto costitutivo prevede tale facoltà ed i soci intendono valersene, le deliberazioni sono validamente prese al di fuori d’ogni riunione assembleare. Ma ciò non toglie che i soci, qualora preferiscano rinunciare al voto per corrispondenza, possano riunirsi in assemblea. Certo è (lo dicono espressamente gli artt. 2518 n. 10 e 2532, comma 6o, c.c.) che essi debbono essere posti in grado di valersi dell’una o dell’altra facoltà e che, in ogni caso, deve aver luogo una regolare convocazione di assemblea. Per l’assemblea delle società cooperative l’alternativa non è fra un sistema che esige la convocazione dei soci ed un sistema che da essa prescinda, bensì tra una forma ordinaria di convocazione (che impone l’onere dell’intervento per l’esercizio del voto) ed una forma speciale (che lascia facoltà ai soci di non intervenire e di manifestare il voto per corrispondenza). Ulteriori varietà di metodo vigono per le deliberazioni dei creditori concorsuali sulle proposte di concordato fallimentare, di concordato preventivo, di amministrazione controllata. Per ciascuna di esse la legge prevede un sistema diverso di votazione. In sede di approvazione del concordato fallimentare ogni traccia del metodo collegiale è assente: il giudice delegato, a norma degli artt. 125, comma 1o, e 128, comma 2o, l. fall., ordina la comunicazione della proposta ai creditori, i quali si riterranno consenzienti se non avranno fatto pervenire alla cancelleria del tribunale una espressa dichiarazione di dissenso. Solo i creditori muniti di cause legittime di prelazione, i quali preferiscano rinunciare ad esse, dovranno manifestare in modo esplicito la loro adesione al concordato (art. 127, comma 2o, c.c.). Lo stesso sistema la legge non ha applicato alle deliberazioni di concordato preventivo e di amministrazione controllata. Il tribunale, stabiliscono gli artt. 163 l. fall. per il concordato preventivo e 188 l. fall. per l’amministrazione controllata, se riconosce ammissibile la proposta del debitore, ordina la convocazione dei creditori in adunanza. Gli artt. 174 ss. e 189 l. fall. dettano, rispettivamente per l’una e per l’altra procedura, una particolareggiata disciplina dell’adunanza, mentre l’art. 175 l. fall. (richiamato dall’art. 189 per la deliberazione di amministrazione controllata) dispone ancora, sotto la rubrica discussione della proposta di concordato, che ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibile o accettabile la proposta di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. La legge, tuttavia, prevede per la deliberazione di concordato preventivo ed estende a quella di amministrazione controllata la possibilità del voto per corrispondenza. Le norme che lo regolano sono, per la prima deliberazione, quella dell’art. 178, comma 4o, l. fall.; per la seconda, quella dell’art. 189, comma 2o, l. fall., il quale considera efficaci, per la deliberazione di amministrazione controllata, solo i voti giunti per corrispondenza prima della chiusura delle operazioni, escludendo espressamente l’ammissibilità di quelli pervenuti in epoca successiva. D’altra parte, l’art. 178 l. fall. si riferisce, per la deliberazione di concordato preventivo, alle sole adesioni pervenute nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, cioè a quelle tardive, e nulla dispone circa l’efficacia delle adesioni tempestive. Ancora: nel concordato preventivo i voti per corrispondenza sono calcolati al solo fine del computo della maggioranza dei crediti; nell’amministrazione controllata, invece, sono calcolati a tutti gli effetti. In questa procedura, perciò , la collegialità è solo eventuale, dipendendo dal fatto che i creditori preferiscano intervenire all’assemblea anziche´ votare per corrispondenza; ed il diritto di discussione di ciascun creditore circa l’ammissibilità o l’accettabilità della proposta risulta solo condizionatamente protetto, giacche´ il creditore intervenuto per discutere rischia di non trovare interlocutori.
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