corrispondenza tra chiesto e pronunciato: è il vincolo del giudice a pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa (art. 112 c.p.c.), relativo al monopolio delle parti in ordine alla determinazione del tema decisionale. A questo proposito si distinguono due situazioni: l’attore infatti indica l’episodio di vita (posizione del fatto) e lo collega a determinate norme (posizione della norma) per dedurne conseguenze giuridiche. In relazione al diritto il giudice è libero di scegliere la norma da applicare (jura novit curia). In relazione ai fatti, mentre il giudice è strettamente vincolato a quelli principali (determinatori della fattispecie affermata), non altrettanto può dirsi in relazione a quelli secondari (strumentali rispetto alla determinazione della fattispecie). Nella determinazione del voluto rileva anche l’attività del convenuto: quando non si limiti ad una semplice difesa (negando la fondatezza dei fatti affermati dall’attore, o delle loro conseguenze giuridiche), influisce sul tema decisionale introducendo fatti che tolgono in tutto o in parte valore a quelli dell’attore (v. domanda, corrispondenza riconvenzionale; eccezione riconvenzionale). Se il giudice non rispetti il vincolo cui è sottoposto si configurano due ipotesi: un difetto di pronuncia, se omette di giudicare su alcune richieste delle parti; un eccesso di pronuncia (ultrapetizione) se eccede tali richieste. In quest’ultimo caso il vizio della sentenza si fa valere tramite impugnazione, per evitare che resti sanato dal passaggio in giudicato. In caso di omessa pronuncia, più che impugnare la sentenza per evitare il passaggio in giudicato di qualcosa che manca, sembra opportuno che la parte riproponga la richiesta in un nuovo giudizio.
violazione, sottrazione, soppressione e rivelazione di corrispondenza: l’art. 616 c.p. configura il delitto di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza. Si tratta di un reato, punibile a querela della persona offesa, posto a tutela dell’inviolabilità dei segreti, intesa come momento di una più generale salvaguardia della libertà individuale della persona. Con tale fattispecie incriminatrice viene sanzionata, con pena detentiva o alternativamente con pena pecuniaria, la condotta di chi prenda cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottragga o distragga, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero in tutto o in parte la distrugga o la sopprima. Una pena più grave è comminata nel caso in cui il colpevole, senza giusta causa, riveli, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza e da tale fatto derivi nocumento. Pena più lieve è invece prevista dall’art. 618 c.p. se la rivelazione di corrispondenza, senza giusta causa e con conseguente nocumento, avviene ad opera di chi, pur non avendo posto in essere le condotte descritte dall’art. 616 c.p., sia venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta e che doveva rimanere segreta. In merito a tali illeciti la giurisprudenza ha avuto modo di precisare che per contenuto di una corrispondenza deve intendersi non soltanto ciò che è manifestato mediante espressioni grafiche, ma anche tutto ciò che, affidato alla protezione della busta, è destinato a significare al destinatario un pensiero o un’azione del mittente: ogni cosa (danaro o fotografie), cioè , concernente i rapporti personali fra persone lontane. Si è inoltre sostenuto che sia punibile, in quanto condotta da ritenersi equivalente al distruggere o al sopprimere, anche il fatto di chi sottragga per un tempo apprezzabile la corrispondenza al destinatario, frustrando in concreto lo scopo che si proponeva il mittente con l’invio. L’art. 5 della l. n. 547 del 1993 in materia di criminalità informatica ha modificato l’art. 616 c.p. con l’introduzione del quarto comma che precisa che per corrispondenza s’intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza. L’art. 619 c.p. prevede pene più gravi se i fatti descritti dall’art. 616 sono commessi, abusando delle proprie qualità, da addetti ai servizi delle poste, dei telegrafi o dei telefoni. Questi stessi soggetti sono puniti ai sensi dell’art. 620 c.p. se avendo notizia, nelle loro qualità , del contenuto di una corrispondenza aperta, o di una comunicazione telegrafica o telefonica, la rivelano senza giusta causa a chi non sia il destinatario. .
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