causalità adeguata: enunciata dalla dottrina tedesca alla fine del secolo scorso, considera causa la condotta umana che, oltre ad essere necessaria ed imprescindibile, risulta altresì, secondo un giudizio rapportato al momento della condotta, adeguata e proporzionata all’evento, cioè idonea a determinare l’effetto sulla base di ciò che di regola accade. Per idoneità si intende la probabilità di causare l’evento in astratto, cioè sulla base della comune esperienza. La condotta umana, pertanto, è causa soltanto degli effetti che, al momento in cui essa si svolse, erano da ritenersi probabili secondo l’id quod plerumque accidit e non invece di quelli che di regola, cioè nella generalità dei casi, non si verificano, vale a dire degli effetti straordinari o atipici.
causalità e astrattezza: v. causa, causalità del contratto.
causalità naturale: enunciata nel secolo scorso dalla scienza criminalistica tedesca, tale teoria (detta anche della condicio sine qua non o della equivalenza della condizione), concepisce la causalità in termini naturalistici: è causa dell’evento l’insieme delle condizioni necessarie e sufficienti a produrlo. Ognuna di esse è condicio sine qua non dell’evento ed esse tutte ai fini dell’evento si equivalgono. Poiche´ ciascuna scienza privilegia le condizioni di suo specifico interesse, il diritto penale considera la condotta umana; e la ritiene causa dell’evento quando, secondo un giudizio formulato ad evento avvenuto, essa sia stata anche soltanto una delle condizioni indispensabili per il verificarsi di questo. E la condotta è accertabile come causa necessaria quando, eliminandola mentalmente dal processo causale, l’evento verrebbe meno.
causalità nel diritto civile: è il rapporto fra causa ed effetto. Il concetto giuridico di causalità è diverso dal concetto naturalistico. Ev causa di un evento, in senso naturalistico, ogni fattore che sia concorso a determinarlo, che si sia posto cioè quale condicio sine qua non del prodursi dell’evento. Il concetto giuridico si basa, invece, su una selezione fra i diversi fattori, eseguita secondo il criterio della regolarità causale: un dato fattore è, giuridicamente, causa di un dato evento se questo ne costituisce l’effetto normale o l’ordinaria conseguenza. Questo criterio permette di verificare l’esistenza di un rapporto di causalità quando fra l’inadempimento del debitore e il danno subito dal creditore si interponga un evento intermedio, generato dal primo e, a sua volta, generatore del secondo. Nonostante l’interposizione di un evento intermedio, può esserci ugualmente regolarità causale, quando è normale che l’evento A produca l’evento B e che questo produca l’evento C. Così c’è regolarità causale fra l’inadempimento del depositario, che ometta di denunciare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione della cosa (art. 1780, comma 1o, c.c.), e il danno che il depositante ha subito per il mancato indennizzo da parte dell’assicuratore, cui il furto è stato denunciato in ritardo.
causalità nel diritto penale: tradizionalmente considerato uno dei tre aspetti dell’elemento oggettivo del reato, e più precisamente ciò che collega la condotta all’evento. In base all’art. 40, comma 1o, c.p., nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Occorre premettere che si ritiene sussistente il rapporto di causalità tra condotta ed evento per i soli reati con evento inteso in senso naturalistico: infatti, in omaggio al principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.), non può considerarsi conseguenza dell’operato di un uomo una modifica del mondo esterno che non sia causalmente collegata con una sua condotta. Ma quando un evento può dirsi per certo conseguenza di una condotta? La dottrina tradizionale ha spiegato la causalità ricorrendo a tre diverse soluzioni: 1) teoria della condicio sine qua non, o dell’equivalenza delle cause, secondo la quale basta, a collegare condotta ed evento, l’aver posto in essere una qualunque delle cause dell’evento stesso, senza considerazione alcuna per la diversa importanza delle diverse cause, che quindi sono viste come tutte equivalenti nella causazione dell’evento. Tale teoria presenta l’inconveniente di estendere troppo l’ambito della responsabilità penale, finendo per offrire un criterio non univoco; 2) teoria della causalità adeguata, secondo la quale il rapporto di causalità sussiste soltanto quando il soggetto abbia posto in essere l’evento con una condotta idonea a provocarlo in termini di probabilità . Pur prescindendo dalle critiche riservate a livello teorico a questo giudizio di probabilità , si deve sottolineare dal punto di vista pratico, la eccessiva restrizione della responsabilità umana, nel considerare scollegate dal rapporto di causalità tutte le condotte che non presentino, allo stato attuale, probabilità di produrre l’evento considerato (c.d. cause ignote), e finendo quindi per offrire un criterio, se pur in senso opposto, parimenti fuorviante rispetto a quello della teoria precedente; 3) teoria della causalità umana: da una interpretazione sistematica degli artt. 40 e 41 c.p., la teoria in questione ritiene di poter dedurre che per l’esistenza di un rapporto di causalità occorre da un lato l’aver posto in essere una condizione dell’evento (40, comma 1o, c.p.), dall’altro che il verificarsi dell’evento non dipenda da fattori eccezionali, imprevedibili. Tale teoria, pur risolvendo sotto il profilo teorico i problemi delle due precedenti, e pur avvicinandosi sotto quello pratico alla realtà delle cose, presenta il grave inconveniente di rendere quasi invisibile il confine tra causalità e colpevolezza, col richiedere la prevedibilità dell’evento. La giurisprudenza degli anni Settanta ha fatto propria la teoria della causalità umana, e la dottrina si è dovuta dunque attivare per renderne i confini il meno possibile soggettivi in tema di prevedibilità. Così c’è chi ha ritenuto prevedibile l’evento che si presenta come conseguenza verosimile della condotta, secondo la scienza e l’esperienza di quel dato momento storico. Come si vede, un concetto anch’esso relativo, ma sicuramente più oggettivo del riferimento al singolo agente. Più recentemente si è rivalutata la componente della condicio sine qua non, limitandone la portata mediante il ricorso alla verifica del giudizio di prevedibilità innanzitutto sul fatto concreto, ed inoltre nell’ottica di leggi non più genericamente scientifiche, bensì specificamente statistiche (c.d. leggi di copertura). Tale orientamento è stato da poco recepito dalla giurisprudenza. Una volta fatto il punto della situazione sullo stato attuale delle interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, si vedranno ora due dei principali problemi relativi alla causalità, e cioè: a) la causalità nei reati omissivi; b) concorso di cause ed imputazione dell’evento. a) La causalità nei reati omissivi; i reati omissivi vengono tradizionalmente distinti in reati omissivi propri, per i quali è necessario e sufficiente il mancato compimento di un’azione che la legge penale impone di realizzare (ad es. omissione di soccorso, art. 593 c.p.), e reati omissivi impropri, previsti esplicitamente dall’art. 40, comma 2o, c.p., che testualmente recita: non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo; tali reati si dicono anche commissivi mediante omissione, e sono caratterizzati da una struttura in cui si ravvisa la violazione di un obbligo di impedire il verificarsi di un evento previsto da una ulteriore fattispecie (ad es. disastro ferroviario causato dalla mancata manovra di uno scambio da parte del manovratore). Il fatto che per quanto attiene ai reati omissivi propri non possa parlarsi di evento in senso naturalistico, ma solo giuridico, comporta (come conseguenza di quanto detto all’inizio) che non si pongano problemi particolari in tema di causalità. Al contrario, il problema si pone in tutta la sua evidenza nei reati commissivi mediante omissione, proprio perche´ facenti riferimento ad una fattispecie base. Allo stato attuale, il complesso dibattito sviluppatosi sull’art. 41, comma 2o, c.p. vede come maggioritaria la tesi che ravvisa in particolari soggetti obblighi di impedire l’evento, detti anche posizioni di garanzia, a loro volta distinte in posizioni di controllo, originarie e derivate, spontanee, contrattuali, posizioni che, una volta violate, costituirebbero la condotta tipica del reato commissivo mediante omissione. In tema di causalità, la dottrina tradizionale ritiene che l’evento sia causato non dall’omissione in se´ , ma dall’aliud factum; la dottrina oggi dominante, invece, in sintonia con l’individuazione delle posizioni di garanzia, ritiene che, non potendosi ricostruire nei reati omissivi un rapporto di causalità simile a quello dei reati commissivi, deva essere effettuato, allo scopo di individuare il collegamento tra condotta omissiva ed evento, un giudizio ipotetico o prognostico sul verificarsi o meno dell’evento, se fosse stata realizzata l’azione doverosa omessa. In sostanza, neppure tale giudizio potrà fornire soluzioni certe, basandosi, come si è detto, su di una struttura probabilistica. Si deve infine ricordare che il tema della causalità nei reati omissivi impropri non è stato fino ad oggi sufficientemente approfondito dalla giurisprudenza, nonostante sia stato definito in dottrina senza alcun dubbio il punto centrale del dibattito sul problema causale di fronte al nostro diritto positivo. b) Concorso di cause ed imputazione dell’evento; una volta chiariti i termini del dibattito sul nesso causale, occorre accertare quale condizione sia causa dell’evento nel caso che ne concorra più di una. L’art. 41 c.p. considera proprio tale ipotesi, specificando al primo comma che il concorso di cause estranee all’operato dell’agente, antecedenti, contemporanee o sopravvenute che siano, di regola non esclude il rapporto di causalità tra condotta ed evento. Tale assunto sembra affermare esplicitamente il principio dell’equivalenza delle cause. Il secondo comma dell’art. 41 c.p. stabilisce che le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce di per se´ un reato, si applica la pena per questo stabilita. Tale secondo comma, nella sua prima parte, costituisce a tutt’oggi l’altro grande problema in materia di causalità. Innanzitutto ci si è chiesti perche´ il codice preveda espressamente soltanto le cause sopravvenute e non anche quelle antecedenti e simultanee; sul punto la dottrina ha finito per equiparare, se pur con diverse motivazioni, i tre gruppi di concause. Ma è evidente che il nodo centrale è costituito dall’identificazione delle caratteristiche che le concause devono avere per essere da sole sufficienti a determinare l’evento. Innanzitutto è stato sottolineato il superamento della vecchia posizione che intendeva come tali le c.d. serie causali autonome: queste infatti esulano dall’art. 41, comma 2o, perche´ escludono in radice il rapporto di causalità ex art. 40, comma 1o. Dunque, si ritiene che la locuzione usata dall’art. 41, comma 2o, voglia richiamare l’attenzione sulle c.d. serie causali apparentemente indipendenti, cioè su fattori che, pur essendo da soli idonei a provocare l’evento, presuppongono anche tutto quanto è avvenuto prima, dopo o durante il loro verificarsi. Si dice allora che in tali condizioni la serie causale apparentemente autonoma, per interrompere il causalità deve essere anormale, atipica, eccezionale, imprevedibile, tanto che taluno ha parlato addirittura di caso fortuito, laddove, secondo la dottrina dominante, il caso fortuito incide sulla colpevolezza (e quindi sull’elemento soggettivo) e non sull’elemento oggettivo del reato, di cui la causalità fa parte. La giurisprudenza, in sintonia con la dottrina sopra esposta, ha fatto proprio il concetto che il causalità risulta spezzato quando si verifica una serie causale eccezionale, atipica ed imprevedibile, di cui il fatto dell’imputato si pone come mera occasione per svilupparsi, e non come vera e propria concausa. V. condotta, evento, obbligo, causalità di impedire l’evento e posizione di garanzia, omissione, reato.
rapporto di causalità fra fatto illecito e danno: perche´ possa affermarsi la responsabilità civile dell’autore di un fatto, deve esserci, tra il fatto e il danno, un rapporto di causa ad effetto, per cui possa dirsi che il primo ha cagionato (art. 2043 c.c.) il secondo; ed incombe sul danneggiato l’onere di darne la prova. Questo rapporto non va inteso in senso naturalistico: ogni evento dipende, generalmente, dal concorso di molteplici cause; e ciascuna di esse è , in senso naturalistico, in rapporto di causalità con l’evento. Per il diritto non basta che il fatto commesso sia stato una delle tante cause che sono concorse a determinare l’evento dannoso; occorre, giacche´ ci sia rapporto di causalità in senso giuridico, che il fatto si presenti quale causa efficiente dell’evento. Si suole adottare, per applicare questo principio, il criterio della cosiddetta regolarità statistica: un dato fatto è considerato, giuridicamente, come causa di un evento se questo, sulla base di un giudizio di probabilità ex ante, poteva apparire come la conseguenza prevedibile ed evitabile di quel fatto. Si distingue così fra vere e proprie cause e semplici occasioni di un evento, che non sono con l’evento in rapporto di regolarità statistica. Risponde del danno chi ne pone in essere una causa, non chi ne pone in essere una semplice occasione. La distinzione fra causa e occasione non si basa sulla successione cronologica dei fatti: può essere chiamato a rispondere chi pone in essere una causa antecedente o remota, se questa provoca un decorso causale che conduce, con regolarità statistica, alla causa prossima dell’evento dannoso. Si dice, in tal caso, che l’autore del fatto antecedente o remoto risponde dell’evento dannoso quantunque questo sia conseguenza mediata o indiretta del fatto. La causa prossima esclude il rapporto di causalità fra la causa remota e l’evento solo se, essendo imprevedibile ed inevitabile da parte di chi ha posto in essere la causa remota, si riveli di per se´ sola sufficiente a produrre l’evento. Se Tizio ferisce in un incidente stradale Caio e questi, mentre l’ambulanza lo trasporta in ospedale, muore a causa di un nuovo incidente automobilistico nel quale resta coinvolta l’ambulanza, Tizio risponde solo del ferimento, e non della morte di Caio; e ciò quantunque sia evidente che Caio non sarebbe morto se Tizio non lo avesse investito e non si fosse trovato in quella ambulanza. Il punto è che il comportamento di Tizio è stato causa del ferimento, ma solo occasione della morte di Caio. Se Caio, invece, raggiunge l’ospedale e ivi muore di malattia, bisognerà distinguere a seconda che la malattia sia una complicazione clinicamente accertata e statisticamente prevedibile delle lesioni subite nell’incidente (Tizio risponderà della sua morte) oppure no (Caio, ad esempio, muore a causa di un errato intervento chirurgico, oppure era malato di cuore e, per lo spavento, muore di infarto: Tizio non risponderà della sua morte, anche se da un punto di vista puramente naturalistico l’ha cagionata).
causalità umana: è la concezione secondo la quale la condotta umana è causa dell’evento quando ne costituisce condicio sine qua non e l’evento stesso non sia dovuto all’intervento di fattori eccezionali. Tale teoria si incentra sulla considerazione che l’uomo può prevedere gli effetti che derivano da determinate cause e può inserirsi nel processo causale per imprimere la direzione considerata: egli può dominare gli accadimenti in virtù dei suoi poteri conoscitivi e volitivi. Gli sono perciò attribuibili gli accadimenti che, anche non voluti, egli era in grado di prevedere ed evitare in quanto rientranti nella sua sfera di controllo, e mai gli eventi eccezionali. La prevedibilità richiesta deve intendersi riferita a parametri oggettivi, ossia secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico, a differenza di quanto accade nella colpa (v.), la quale si fonda invece sulla prevedibilità dell’evento secondo le conoscenze, soggettive, che l’agente ha o è tenuto ad avere. L’accadimento deve poi apparire come verosimile, ossia probabile, conseguenza della condotta.
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