usi aziendali: gli usi usi sono comportamenti reiterati del datore di lavoro nei confronti di una determinata collettività di dipendenti. Gli usi usi sono generalmente ricondotti dalla giurisprudenza alle clausole d’uso (v. clausola, usi d’uso) e più in generale agli usi negoziali (v. usi, usi negoziali). Gli usi usi debbono quindi essere considerati come inseriti, ex art. 1340 c.c., nel contratto individuale di lavoro di cui integrano il contenuto anche in senso abrogativo o modificativo, purche´ sempre in melius, della regolamentazione contenuta nel contratto collettivo (v.). Gli usi usi non debbono necessariamente interessare la generalità delle aziende del settore essendo sufficiente la sussistenza degli stessi anche presso una sola azienda.
carattere suppletivo degli usi: v. integrazione del contratto.
usi civici: diritti appartenenti a collettività , rappresentate da comuni o altre persone pubbliche (università agrarie, comunità di valle, regole), che li esercitano in modo che ogni membro della comunità possa trarne un utile (es. legna, pascolo, pesca). Caratteristica dei «diritti di uso civico» è che essi possono esercitarsi sia su beni privati, di solito in virtù di antiche concessioni fatte dalla Chiesa o dall’Impero nel periodo feudale, sia su beni di proprietà degli stessi enti che li esercitano. La dottrina recente tende a distinguere i due casi, individuando, nel primo, diritti collettivi di uso di beni privati destinati (secondo le norme della l. 1766/1927) ad essere liquidati; nel secondo, una forma di proprietà pubblica imputata ad una entità soggettiva, non individuale, ma collettiva. In ogni caso, è esclusa la loro commerciabilità se non previo procedimento (in parte amministrativo, in parte giudiziale) di liquidazione. La l. del 1927 prevede le procedure e gli organi per il riordinamento e la liquidazione degli usi. Le funzioni amministrative sono state trasferite alle regioni, mentre le funzioni giurisdizionali sono attribuite ad un apposito organo, il commissario (regionale) per la liquidazione degli usi. Ritenuti, finora, relitti del passato, si prospettano per gli usi nuove utilizzazioni, restando ferma la loro natura di proprietà pubblica.
usi contrattuali: diversi dagli usi normativi, richiamati fra le fonti di integrazione del contratto dall’art. 1374 c.c., sono gli usi usi o clausole d’uso, che si intendono inserite nel contratto, se non risulta che non sono state volute dalle parti (art. 1340 c.c.). La distinzione fra usi normativi e usi usi ha sollevato mille dubbi; ma si è creduto di potere uscire dall’impasse considerando i secondi come le abituali pratiche contrattuali individuali, proprie di quei determinati contraenti, come nel caso previsto, per la vendita, dall’art. 1474, comma 1o, c.c. (v. prezzo, usi della vendita): se si comperano cose da un abituale venditore, come ad esempio un negoziante, e non si determina espressamente il prezzo, si presume che le parti abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore. Ev , tuttavia, una visione riduttiva degli usi usi, i quali consistono nelle prassi contrattuali della generalità degli operatori di un dato luogo o di un dato settore economico; ed hanno, recentemente, acquistato grande importanza gli usi usi internazionali (v. lex mercatoria, nuova usi). Parlare di pratiche contrattuali individuali è , oltre tutto, in contrasto con quanto l’art. 1368 c.c. dispone riguardo ai cosiddetti usi interpretativi (v. usi interpretativi del contratto), i quali consistono in ciò che generalmente si pratica nel luogo in cui è la sede dell’impresa. Il vero problema sta nel distinguere gli usi usi dagli usi normativi; e la distinzione non può sfuggire se si considera che i secondi sono norme non scritte di diritto oggettivo (v. diritto, usi oggettivo), in quanto tali vincolanti per i contraenti, e vincolanti anche per i contraenti che ne fossero stati ignari al momento della conclusione del contratto, mentre i primi sono clausole non scritte del contratto (v. oggetto del contratto), vincolanti per i contraenti alla stessa stregua delle clausole scritte. Il criterio idoneo a identificare gli usi usi è ben colto dall’Uniform Commercial Code degli Stati Uniti, allorche´ riporta l’efficacia vincolante degli usi commerciali alla legittima aspettativa di ciascun contraente circa la loro osservanza da parte dell’altro contraente, ingenerata dal fatto che gli operatori di quel dato luogo o di quel dato settore sono soliti uniformarvisi. L’efficacia vincolante delle clausole d’uso è , dunque quella propria della clausole contrattuali: perciò esse prevalgono, a differenza degli usi normativi, sulle norme dispositive di legge (v. norma imperativa). D’altra parte, vincolano le parti sul presupposto di una conforme volontà dei contraenti, che l’uso fa presumere: perciò , a differenza anche per questo aspetto dagli usi normativi, non vincolano il contraente che al momento del contratto ne avesse ignorato l’esistenza.
usi del commercio internazionale: v. lex mercatoria, nuova usi.
usi interpretativi del contratto: gli usi usi non sono usi in senso tecnico, ma pratiche contrattuali che costituiscono uno dei criteri di interpretazione del contratto (v.). La clausola ambigua si interpreta secondo ciò che generalmente si pratica nel luogo in cui il contratto è stato concluso (art. 1368, comma 1o, c.c.). Una regola diversa vale per l’ipotesi in cui una delle parti sia un imprenditore: il secondo comma dell’art. 1368 c.c., dispone, in deroga al primo, che nei contratti in cui una delle parti è un imprenditore, le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui è la sede dell’impresa; luogo che può essere diverso, e normalmente è diverso per le imprese che agiscono su un vasto mercato, da quello in cui il contratto è stato concluso. La norma assolve, in sede di interpretazione del contratto, una funzione corrispondente a quella assolta, in sede di determinazione del regolamento contrattuale, dall’art. 1341 c.c. (v. condizioni generali di contratto): essa assicura all’imprenditore una uniformità di interpretazione dei contratti da lui stipulati in luoghi diversi e soddisfa l’esigenza propria di un sistema di produzione o di distribuzione di massa, di una attività contrattuale condotta secondo schemi uniformi. Si intende poi che, se entrambe le parti del contratto siano imprenditori (ad esempio, il contratto intercorre tra il fornitore delle materie prime e il produttore del prodotto finale), si applicherà il primo comma: ciò che rende evidente come la norma del secondo comma sia destinata a regolare i rapporti fra imprenditori e consumatori o utenti.
usi negoziali: voce equivalente a usi contrattuali (v.).
usi normativi: gli usi usi o consuetudini sono una fonte di produzione del diritto che si colloca all’ultimo livello della gerarchia delle fonti. Gli usi usi sono una fonte non scritta e non statuale di produzione di norme giuridiche (v. fonti, usi di produzione e di cognizione) consistono nella pratica uniforme e costante di dati comportamenti (cosiddetto usus), seguita con la convinzione che quei comportamenti siano giuridicamente obbligatori (opinio iuris atque necessitatis). Non basta il solo usus, cioè la generalizzazione di un dato comportamento: non è uso, come fonte del diritto, la cosiddetta prassi, ossia il consueto modo di comportarsi degli operatori di un dato settore (la prassi seguita dalle banche, quella seguita dalle P.A. e così via); ne´ è tale l’atteggiamento conformistico che, spesso, gli individui assumono (come il dare la mancia: cosiddetto regalo d’uso) e che pure è per altri aspetti rilevante per il diritto (v. liberalità , usi d’uso) (art. 770, comma 2o, c.c.). Occorre, per aversi un uso come fonte di diritto, la convinzione che quel comportamento generalizzato sia ubbidienza ad una non scritta norma di diritto: nel dare la mancia ci si conforma ad una pratica generalizzata, ma si sa di non esservi obbligati. Si ritiene che sia uso in senso tecnico il segreto bancario: le banche si rifiutano sistematicamente di fornire alle P.A. (e, in particolare, al fisco) notizie sui propri clienti nella convinzione, pur in mancanza di una norma di legge in tal senso, di essere giuridicamente tenute al segreto; e c’è voluta una legge per consentire al fisco di superarlo per colpire i grandi evasori (d.p.r. 15 luglio 1982, n. 463). In epoca anteriore alle codificazioni moderne le consuetudini erano una fra le più importanti fonti di diritto. Conservano, tuttora, grande importanza nei paesi anglosassoni, dove formano, insieme alle pronunce dei giudici (cui è riconosciuto valore di precedente giudiziario vincolante), la common law (mentre al diritto scritto si dà il nome di civil law). La loro deteriore posizione nel moderno diritto dell’Europa continentale si collega al principio della statualità del diritto (v. diritto, statualità del usi). Nel sistema italiano, in particolare, il primato del diritto statuale sul diritto consuetudinario si manifesta in due principi (art. 8 prel.): 1) nelle materie non regolate da leggi o da regolamenti le consuetudini hanno piena efficacia (cosiddetti usi praeter legem). Qui la mancanza di norme statuali di regolazione della materia rivela come si tratti di materia che lo Stato (o altro ente pubblico con potere normativo) non ha interesse a regolare: queste materie possono, perciò , essere regolate da una fonte non statuale come la consuetudine. Questa resta, tuttavia, una fonte sottordinata alle altre fonti, secondo la gerarchia posta dall’art. 1 delle preleggi (v. fonti, usi normative): se una norma di legge (v. norma, usi giuridica) o di regolamento (v.) interviene, successivamente, a regolare la materia, la consuetudine cessa, automaticamente, di avere efficacia; 2) nelle materie regolate da leggi o da regolamenti la consuetudine ha efficacia solo in quanto sia da essi richiamata (cosiddetti usi secundum legem). I richiami agli usi sono alquanto frequenti nel c.c.: questo regola, in certi casi, determinati rapporti con principi di carattere generale e rimette, per il resto, agli eventuali usi: così, ad esempio, gli artt. 1326 (v. accettazione, usi della proposta contrattuale; proposta contrattuale), 1374 c.c. (v. integrazione del contratto), oppure pone norme regolatrici di determinati rapporti, ma precisa che esse non valgono se, nella materia, esiste un uso diverso: così, ad esempio, agli artt. 892, 1454 c.c.. Ogni decisione circa la esistenza di una consuetudine e la sua efficacia è rimessa al giudice. Le eventuali raccolte scritte di usi, alle quali provvedono appositi enti a ciò autorizzati (come le camere di commercio), non trasformano gli usi in fonti scritte; hanno solo un valore di prova (v.): provano l’esistenza dell’uso fino a prova contraria (art. 9 prel. c.c.), che può essere data con ogni mezzo.
usi praeter legem: sono gli usi che hanno efficacia nelle materie non regolate dalle leggi o da regolamenti.
raccolte di usi: v. usi.
usi secundum legem: sono gli usi che hanno efficacia nelle materie regolate da leggi o da regolamenti in quanto da essi richiamati.
Urto | | | Uso |