Ev una causa di risoluzione del contratto (v.) non prevista dalla legge, ma riconosciuta dalla giurisprudenza; e consiste in un presupposto oggettivo del contratto che le parti hanno avuto presente al momento della sua conclusione, ma che non hanno menzionato nel contratto: al successivo venir meno di quel presupposto viene ricollegata la possibilità , per il contraente che vi ha interesse, di ottenere dal giudice la risoluzione del contratto. La presupposizione ha origine antica: aveva preso vita, singolarmente, entro la teoria del dogma della volontà , che le attribuiva rilevanza quale tacita condizione del consenso, apparendo il mancato verificarsi dell’evento presupposto come alterazione della volontà , e non potendo concepirsi un effetto giuridico che non corrispondesse alla effettiva volontà del contraente. Classico esempio, tratto da un caso giudiziario inglese, è quello del balcone preso in locazione per un dato giorno ed una data ora: per il giorno e per l’ora in cui sarebbe passato, nella strada antistante, il corteo per l’incoronazione della regina. Chi prende in locazione il balcone non enuncia il motivo che lo ha indotto al contratto, ossia il desiderio di assistere alla manifestazione; ma l’altra parte non poteva non averne coscienza, sia per il carattere insolito di una locazione del genere, sia per la notorietà del pubblico avvenimento enunciato per quel giorno, in quell’ora e in quel luogo. All’ultimo momento l’itinerario del corteo viene modificato, e chi aveva preso il balcone in locazione chiede gli venga restituito il corrispettivo già versato, adducendo di averlo preso in locazione nella presupposizione che da esso avrebbe potuto assistere al pubblico avvenimento. Può l’altra parte rifiutarsi di restituirglielo, eccependo che nel contratto fra loro intercorso non si faceva alcuna menzione di quel pubblico avvenimento e che il contratto non era stato, perciò , sottoposto alla condizione risolutiva (v. condizione, presupposizione risolutiva) che quell’evento non si verificasse? I casi intorno ai quali la giurisprudenza odierna si è pronunciata sono di questo genere: un imprenditore edile compera per un elevato prezzo un terreno edificabile con l’intento, non dichiarato nel contratto, di utilizzarlo per una costruzione; ma, a vendita già conclusa, sopraggiunge una modificazione del piano regolatore comunale che sottrae quell’area alla precedente destinazione residenziale e la vincola a verde agricolo. Analogo problema: può il compratore ottenere la risoluzione del contratto e la liberazione dalla obbligazione di pagare il prezzo o la restituzione del prezzo già pagato? Oppure il venditore può eccepire che nessuna espressa condizione risolutiva era prevista dal contratto, e così pretendere, o trattenere se lo ha già riscosso, un prezzo non più giustificato dal valore della controprestazione eseguita? Il caso è diverso a quello dell’errore sui motivi (v. errore, presupposizione di diritto), giacche´ qui si tratta non di erronea conoscenza della situazione presente al momento del contratto, ma di sopravvenienza, dopo il contratto, di una situazione diversa da quella allora esistente. Per molto tempo, la nostra dottrina ha negato valore giuridico alla presupposizione, adducendo che i motivi del contratto sono, in linea di principio, irrilevanti per il diritto e che, per acquistare rilievo, debbono tradursi in una volontà contrattuale condizionata, ossia in una condizione (v.), sospensiva o risolutiva, espressamente apposta al contratto. La opposta soluzione, oggi accolta con sempre maggiore frequenza, tende a basarsi sull’applicazione delle clausole generali di buona fede (v.) nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto: si dà rilievo prevalente al sopraggiunto venir meno della funzione del contratto, al fatto che l’evento sopraggiunto ha prodotto, come nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta, testualmente previsto dall’art. 1467 c.c., una alterazione funzionale della causa (v.), rendendo non più giustificato lo scambio fra le prestazioni contrattuali, che l’evento sopravvenuto ha reso non più equivalenti fra loro; e lo stesso art. 1467 c.c. viene considerato come applicazione, in una situazione specifica, di un siffatto più generale principio. La possibilità di invocare la presupposizione viene dalla giurisprudenza circondata da alcune limitazioni. La situazione di fatto o diritto presupposta non deve presentare carattere di incertezza, dovendo ritenersi altrimenti che il contraente aveva accettato il rischio del successivo mutamento; deve essere comune a entrambi i contraenti o, comunque, percepibile dalla controparte. Invece non è sempre richiesto, come si dovrebbe richiedere, che il contraente che invoca la presupposizione non abbia ancora eseguito la propria prestazione, sicche´ la presupposizione appare invocata non solo per sottrarsi all’esecuzione della prestazione (il pagamento del prezzo convenuto per un’area non più edificabile), ma anche per ripetere (v. ripetizione di indebito) la già eseguita prestazione. Il punto esige un chiarimento. La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (v. risoluzione del contratto, presupposizione per eccessiva onerosità sopravvenuta) può essere domandata, per l’art. 1467 c.c. come per la giurisprudenza che lo applica, dalla parte che non ha ancora eseguito la prestazione divenuta eccessivamente onerosa. Altrettanto si deve dire per la presupposizione, specie se la si considera quale applicazione di un medesimo, più generale, principiodal quale discende anche l’art. 1467 c.c.. Se il pianoregolatore viene modificato quando il compratore ha già pagato il prezzo dell’area originariamente edificabile, l’evento sopraggiunto non attiene più al contratto di vendita, che con l’esecuzione delle prestazioni di entrambe le parti ha già esaurito la propria funzione. Il rischio relativo ai successivi mutamenti della condizione giuridica del suolo su altri non può ricadere se non sul compratore, ma non in quanto tale, bensì in quanto proprietario del suolo. In materia di divisione (v.) la Cassazione ha affermato che il contratto di divisione può restare caducato, per effetto del sopravvenuto accertamento dell’impossibilità di uno dei condividenti di edificare, alla stregua degli strumenti urbanistici sull’immobile assegnatogli, qualora tale edificazione risulti presupposto essenziale e comune a tutti i contraenti (cosiddetta presupposizione), sicche´ la sua non realizzabilità venga ad alterare l’equilibrio economico voluto dalle parti. V. anche testamento, revoca del presupposizione.
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