discriminazione a causa di sesso: il divieto di discriminazione discriminazione costituisce da un lato una specificazione del più generale divieto di discriminazione (v.) in ragione delle molteplici condizioni soggettive dei lavoratori (il sesso, la razza, l’età, la sindacalizzazione ecc.) e, dall’altro, è il tramite di accesso a problematiche di più ampio respiro, attinenti alla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (v. parità di trattamento, discriminazione tra uomini e donne in materia di lavoro). La formulazione di un’organica normativa antidiscriminatoria, che esca dal solco della tradizionale legislazione garantisticodiscriminazioneprotettiva della donna lavoratrice nella prospettiva dell’eguaglianza di trattamento tra i sessi, viene realizzata dapprima con la l. n. 903 del 1977 ed in seguito, con una più marcata attenzione ai modelli evolutivi di diritto internazionale e comunitario, tramite la l. n. 125 del 1991 sulle azioni positive (v.) Tale legislazione segna una svolta sostanziale nell’approccio normativo al tema delle discriminazione, sancendo sia per le discriminazioni dirette che per quelle indirette l’irrilevanza dell’intento discriminatorio e la rilevanza dell’effetto pregiudizievole dell’atto o del comportamento; introducendo un regime di prova prima facie che rende possibile, una volta provata l’esistenza di una disparità di trattamento, fondare presuntivamente il suo carattere discriminatorio perche´ l’onere della prova si trasferisca sul datore di lavoro convenuto; imboccando, sul piano dei rimedi, una direzione decisamente innovativa nei confronti delle tipiche misure civilistiche di tutela, e cioè impiegando l’azione positiva in funzione sanzionatoria. La l. 19 luglio 1993, n. 236, modificativa, tra l’altro, dell’art. 5 l. n. 223 del 1991, ha infine previsto una particolare tutela per il lavoro femminile nelle ipotesi di mobilità (v. mobilità , discriminazione dei lavoratori nell’impresa). In tali ipotesi, infatti, l’impresa non può collocare in mobilità una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale della manodopera medesima occupata nell’impresa nelle mansioni prese in considerazione.
divieto di discriminazione: il principio di non discriminazione costituisce uno dei principali limiti all’esercizio del potere direttivo (v.) dell’imprenditore e rappresenta, più in generale, una direttiva giuridica intimamente connessa al fondamentale valore dell’eguaglianza (art. 3 Cost.) e al concetto di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro (v. parità di trattamento, discriminazione tra uomini e donne in materia di lavoro). La tutela antiscriminatoria nei rapporti di lavoro ha trovato progressiva attuazione sia attraverso interventi legislativi diretti e diversamente graduati, sia attraverso il sostegno all’autonomia collettiva (c.d. funzione uniformatrice del contratto collettivo) (v. contratto collettivo). Nel periodo antecedente all’emanazione dello statuto dei lavoratori il discriminazione discriminazione è sostanzialmente limitato al solo atto di recesso: la l. n. 7 del 1963, eliminando uno degli aspetti discriminatori più deplorevoli, il licenziamento a causa di matrimonio (v.), decreta la nullità dello stesso e delle c.d. clausole di nubilato che prevedevano la risoluzione del rapporto in conseguenza del matrimonio; mentre la l. n. 604 del 1966 sul licenziamento individuale (v.) ha sancito la nullità , indipendentemente dalla motivazione adottata, del licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali (v. licenziamento discriminatorio). A partire dalla l. n. 300 del 1970 la legislazione si snoda attraverso una serie di disposizioni normative volte alla generalizzazione del principio di non discriminazione e alla identificazione degli atti discriminatori oggettivamente illegittimi, vale a dire vietati in considerazione del pregiudizio arrecato e non già del motivo determinante della condotta datorale: ne sono espressione gli artt. 15, 16 e 28 dello statuto dei lavoratori., nonche´ la l. n. 903 del 1997 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro. L’art. 15 statuto dei lavoratori, sancisce la nullità di qualsiasi atto o patto che determini un effetto discriminatorio in ragione dell’affiliazione politica o sindacale di un lavoratore, alla sua militanza sindacale od esercizio dei diritti sindacali ovvero alla sua appartenenza ad una gruppo etnico, religioso, linguistico nonche´ in ragione del sesso; tale divieto riguarda ogni atto discriminatorio pregiudizievole posto in essere durante lo svolgimento del rapporto, dall’assunzione del lavoratore (v.) al licenziamento (v.); l’art. 16 statuto dei lavoratori. vieta la concessione di trattamenti economici collettivi di maggior favore aventi carattere discriminatorio; l’art. 28 statuto dei lavoratori, predispone una disciplina di repressione del comportamento antisindacale (v.) il cui bacino di pescaggio, assai ampio, tutela la libertà, l’attività sindacale e il diritto di sciopero proibendo la discriminazione in quanto pratica idonea, tra le altre, a ledere i beni protetti. Successivamente, in seguito ad un processo di differenziazione della nozione legale di discriminazione, la tematica si è progressivamente focalizzata sui profili relativi alle discriminazioni a causa del sesso (v.): nel più recente intervento legislativo sulle azioni positive (v.) la nozione di discriminazione viene in parte riformulata, confermandosi, da un lato, una qualificazione negativa dell’atto disgiunta dalla ricerca del motivo illecito, bensì individuata in relazione alla disparità di trattamento obiettivamente prodotta, ed ampliandosi, dall’altro, la nozione sino a comprendere la discriminazione c.d. indiretta. Tale è individuata in ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa. Diversamente dalla nozione di discriminazione diretta, la discriminazione indiretta muove dal riconoscimento dell’insieme delle differenze connesse all’appartenenza di sesso (o di razza, di religione ecc.), di modo che tali differenze non si traducano, senza il ricorso di obiettive necessità, in una diseguaglianza di trattamento.
discriminazione razziale: v. apartheid; crimina juris gentium.
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