rescissione del contratto: rescissione altro non significa se non scioglimento o risoluzione del contratto: il termine ha però , nel linguaggio del c.c., un preciso significato tecnico e indica lo scioglimento del contratto per due specifiche cause: a) una prima causa di rescissione investe il contratto concluso in stato di pericolo: chi, per contratto, assume obbligazioni a condizioni inique, ossia con forte sproporzione tra il valore di ciò che dà e di ciò che riceve, per la necessità, nota alla controparte (non soltanto riconoscibile), di salvare se´ o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, può chiedere al giudice la rescissione rescissione (art. 1447 c.c.). Il caso è , in pratica, di non grande importanza: può essere il caso di chi, temendo un imminente pericolo per la salute propria o di persona che gli sta a cuore, accetta di pagare al chirurgo un corrispettivo di gran lunga superiore agli ordinari onorari professionali; oppure il caso di chi, avendo subito un incidente stradale, accetta di pagare una somma spropositata all’automobilista che lo porta all’ospedale; b) più importante, e in pratica più frequente, è l’ipotesi del contratto concluso in stato di bisogno: se c’è sproporzione tra la prestazione di una parte e quella dell’altra e la sproporzione è dipesa dalla situazione, anche momentanea, di bisogno economico di una parte, della quale l’altra parte ha approfittato, la prima può chiedere la rescissione rescissione (art. 1448, comma 1o, c.c.). Ev la cosiddetta rescissione per lesione: è il caso di chi (persona fisica o ente collettivo), trovandosi in difficoltà economiche, svende i propri beni pur di realizzare danaro, e il compratore, che sa delle condizioni di bisogno del venditore, ne approfitta acquistando per un prezzo irrisorio. L’estremo dello stato di bisogno non è inteso nel senso di indigenza assoluta, ma come situazione di difficoltà economica che incida sulla libera determinazione a contrattare e funzioni come motivo dell’accettazione della sproporzione fra le prestazioni. L’altro estremo, quello dell’approfittamento, è ritenuto presente quando sussiste la duplice consapevolezza dello stato di bisogno dell’altro contraente e della grave sproporzione esistente fra le prestazioni, sicche´ volere il contratto equivale a profittare del predetto stato di bisogno. Qui la legge fissa però un criterio per stabilire quando c’è sproporzione fra le prestazioni e, quindi, lesione (ossia danno) per la parte che ha contrattato in stato di bisogno: occorre una lesione oltre la metà (ultra dimidium); la prestazione ricevuta deve essere inferiore alla metà del valore che la prestazione eseguita aveva al tempo del contratto (art. 1448, comma 2o, c.c.); e questa sproporzione deve perdurare fino al momento in cui è proposta l’azione di rescissione (art. 1448, comma 3o, c.c.). Di norma è chi profitta dell’altrui stato di bisogno ad offrire il prezzo iniquo; ma questo non è ritenuto estremo necessario dell’approfittamento: la Cassazione ha giudicato rescindibile il contratto di vendita concluso al prezzo offerto dal venditore, e nonostante che nella specie si trattasse di prezzo superiore a quello inutilmente offerto in precedenza ad altri. La rescissione per lesione non può essere domandata per i contratti aleatori (v. contratti, rescissione aleatori) (art. 1448, comma 4o, c.c.); ne´ può essere domandata per i contratti a titolo gratuito (v. contratto, rescissione a titolo gratuito): la si è ritenuta ammissibile per la fideiussione (v.); ma l’assunto non può esser condiviso. Non basta considerare rilevante, oltre che lo stato di bisogno del contraente (il solo al quale dà rilievo la lettera dell’art. 1448 c.c.), anche lo stato di bisogno altrui, come lo stato di bisogno del debitore, che induce un familiare a prestare fideiussione, con approfittamento del creditore. Le norme sulla rescissione non proteggono, a differenza delle norme sull’annullamento del contratto per vizi del consenso (v. vizi, rescissione del consenso), una indifferenziata libertà del contraente (includente l’an, oltre che il quomodo, del contratto), ma proteggono il contraente solo contro il contratto a condizioni inique. Se lo stato di bisogno, di cui altri approfitta, induce taluno a vendere un bene che altrimenti non avrebbe mai venduto, ma lo vende senza subire lesione ultra dimidium, il contratto non è rescindibile. Per la stessa ragione non è mai rescindibile il contratto a titolo gratuito, quantunque concluso in stato di bisogno altrui. Come nel caso della eccessiva onerosità sopravvenuta (v. risoluzione del contratto, rescissione per eccessiva onerosità sopravvenuta), la parte contro cui è chiesta la rescissione rescissione può evitarla offrendo di modificare le condizioni del contratto in modo da ricondurle ad equità (art. 1450 c.c.). Il c.c. si esprime in termini di contratto a condizioni inique; di riconduzione del contratto ad equità . L’impiego del concetto di equità , retaggio dell’antica filosofia del giusto prezzo, è qui da considerarsi improprio: le norme in materia di rescissione non alludono ad un principio etico, bensì alla congruità economica del corrispettivo contrattuale. Il termine di riferimento per giudicare sulla iniquità delle condizioni contrattuali o sulla loro riduzione ad equità altro non è se non il valore di mercato della prestazione dedotta in contratto. Le cause di rescissione sono, a rigore, difetti genetici, e non funzionali del contratto: riguardano la formazione del contratto, non la sua esecuzione. Tuttavia, la legge le prende in considerazione come cause di scioglimento del rapporto contrattuale, assimilandole alle cause di risoluzione (v. risoluzione del contratto) piuttosto che a quelle (logicamente più affini) di annullamento (v. annullabilità ) del contratto. La scelta legislativa si coordina con gli interessi che le norme in materia mirano a proteggere: esse non tutelano, come si è appena rilevato, la libertà del contraente, che non potrà mai liberarsi del vincolo contrattuale per il solo fatto di avere contrattato in stato di pericolo o in stato di bisogno. Proteggono solo il contraente che, versando in un tale stato, abbia contrattato a condizioni inique; pongono rimedio allo squilibrio determinatosi fra le prestazioni contrattuali. Non è ammessa, perciò, la convalida del contratto (v. convalida, rescissione del contratto) rescindibile (art. 1451 c.c.), come è ammessa per quello annullabile; è invece ammessa la sua riconduzione ad equità , come per il contratto soggetto a risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (v. risoluzione del contratto, rescissione per eccessiva onerosità sopravvenuta) (ma anche il contratto annullabile conosce la rettifica (v. rettifica, rescissione del contratto), a norma dell’art. 1432 c.c.). Anche gli effetti della rescissione rispetto ai terzi sono regolati (art. 1452 c.c.) in modo corrispondente alla risoluzione. L’azione di rescissione è , in entrambi i casi, soggetta al breve termine di prescrizione (v.) di un anno, che decorre dalla conclusione del contratto (art. 1449, comma 1o, c.c.). Al medesimo termine di prescrizione è sottoposta anche l’eccezione di rescissione (art. 1449, comma 2o, c.c.): se la parte che ha tratto vantaggio dall’altrui stato di pericolo o di bisogno chiede l’esecuzione del contratto decorso un anno dalla sua conclusione, l’altra parte non può più eccepirgli la rescindibilità del contratto. Ev una deroga al principio generale sulla non prescrivibilità delle eccezioni, accolto invece in materia di annullabilità del contratto (art. 1442, comma 4o, c.c.). L’art. 1449, comma 1o, c.c., fa salva l’ipotesi che il fatto costituisca reato: in tal caso vale, a norma dell’art. 2947, comma 3o, c.c., il termine di prescrizione del reato. Di questa norma si è fatta applicazione nei casi in cui risultava ravvisabile il reato di usura (v.).
rescissione della divisione ereditaria: la rescissione rescissione è ammessa quando uno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto (art. 763 c.c.); nella rescissione rescissione si prescinde dalla ricorrenza degli stati soggettivi che gli artt. 1447 – 48 c.c. richiedono per la comune rescissione (v. rescissione del contratto). Alla divisione (v.) sono equiparati, agli effetti della soggezione a rescissione gli atti che abbiano per effetto (come ad esempio la vendita della quota di un coerede all’altro coerede) di far cessare lo stato di comunione (art. 764, comma 1o, c.c.). L’azione di rescissione non è , invece, ammessa contro la transazione (v.) con la quale si è posto fine alle questioni insorte a causa della divisione; e la non chiara formulazione dell’art. 764, comma 2o, c.c., ha sollevato il problema se sia irrescindibile solo la transazione successiva al contratto di divisione, e conclusa per porre fine alle questioni da questo provocate, o sia tale anche la transazione contestuale all’atto di divisione, ossia alla divisione fatta con intento transattivo. La giurisprudenza ricomprende entro l’art. 764, comma 2o, c.c., anche questa seconda ipotesi; ma la soluzione non muta, a ben guardare, neppure se si ritiene che questa ipotesi sia estranea alla previsione della norma, giacche´ l’irrescindibilità della transazione deriva comunque dall’art. 1970 c.c..
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