fermo amministrativo: misura cautelare che sospende e interrompe l’adempimento di un’obbligazione di un’amministrazione dello Stato verso terzi, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale con un proprio credito. Il credito può essere vantato anche da un’amministrazione diversa da quella debitrice nei confronti del terzo. In tal caso l’amministrazione creditrice chiede all’amministrazione debitrice la sospensione del pagamento del proprio debito. Ev istituto disciplinato dall’art. 69, ultimo comma, r.d. 18 novembre 1923, n. 2430, recante norme sull’amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato, secondo il quale qualora un’amministrazione dello Stato che abbia a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni richieda la sospensione del pagamento questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo. Lo scopo del fermo fermo è quello di assicurare il soddisfacimento delle ragioni di credito di amministrazioni statali ed è misura necessaria alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato secondo la Corte Costituzionale (sentenza 19 aprile 1972, n. 621). Il fermo elimina ogni situazione di mora da parte dell’amministrazione pubblica. Assume la forma del provvedimento amministrativo e può essere quindi impugnato davanti al giudice amministrativo. Il fermo fermo ha effetti limitati nel tempo ed è preordinato ad un provvedimento definitivo. Tale è ad es. la revoca, che interviene nel momento in cui vengono meno le ragioni che inducono l’amministrazione stessa ad adottare il provvedimento di fermo. Ciò avviene in particolare quando il credito dell’amministrazione è soddisfatto o comunque diviene liquido ed esigibile. Pur essendo misura cautelare come il sequestro conservativo si differenzia da questo perche´ il fermo fermo non è sottoposto ad un controllo particolare del giudice come avviene nel sequestro. Si differenzia anche dal diritto di ritenzione o dall’eccezione di inadempimento perche´ istituti che presuppongono l’esistenza di un contratto a prestazioni corrispettive, mentre il fermo fermo è slegato da un qualsiasi rapporto contrattuale o sinallagmatico.
fermo di indiziato di delitto: nell’ambito delle misure privative della libertà previste nel c.p.p. particolare rilevanza ha assunto il fermo fermo ex art. 384 c.p.p., dal momento che attribuisce alla polizia giudiziaria o al p.m. un potere di cattura di carattere discrezionale, non sottoposto, come l’arresto, al requisito della flagranza di reato. In pratica, il fermo consiste in una privazione della libertà dopo la quale trovano applicazione le medesime norme previste per l’arresto (artt. 385 – 391 c.p.p.): la diversità fra i due istituti si coglie però nell’ambito dei presupposti, delle finalità e della titolarità del potere. Per quanto concerne i presupposti si può osservare che il fermo richiede gravi indizi di reità unitamente a elementi specifici dai quali possa desumersi il pericolo di fuga; non è richiesta la flagranza. Infine, il fermo deve essere consentito in ordine al titolo del delitto (o per l’entità della pena o per espressa previsione: art. 384 c.p.p.). Di chiara evidenza risultano le finalità che possono riassumersi nell’intento di evitare che l’indagato possa fuggire, soprattutto nei casi in cui, difettando la flagranza, non si può legittimamente procedere all’arresto. Infine, si deve rilevare che la titolarità del potere di procedere al fermo appartiene tanto alla polizia giudiziaria che al p.m.; alla polizia giudiziaria, in particolare, prima dell’assunzione della direzione delle indagini da parte del p.m. o in caso di sopravvenute emergenze (come ex art. 384, comma 3o). Il fermo non è consentito quando il fatto commesso è non punibile o coperto da una causa di giustificazione (art. 385 c.p.p.). I doveri della polizia giudiziaria e i casi di immediata liberazione del fermato sono disciplinati dagli artt. 386 e 389. Da notare, infine, che entro 48 ore il p.m. deve richiedere al giudice per le indagini preliminari della stessa sede la convalida del fermo; nelle successive 48 ore il G.i.p. deve celebrare in Camera di consiglio l’udienza di convalida e decidere, a pena di cessazione di efficacia del fermo (art. 390 c.p.p.). L’eventuale ordinanza di convalida del G.i.p. ha riguardo unicamente al controllo giurisdizionale sull’atto privativo di libertà operato dalla polizia giudiziaria e dal p.m., ma non è sufficiente da sola a consentire l’ulteriore continuazione dello stato di fermo: infatti, il G.i.p., se non emette anche una contestuale ordinanza per l’applicazione di una misura coercitiva deve, comunque, ordinare la immediata liberazione del fermato; in pratica, la restrizione della libertà del fermato prosegue solo se la contestuale richiesta di misura coercitiva è accolta dal G.i.p.. Avverso il provvedimento di convalida del fermo può essere proposto unicamente ricorso per Cassazione ex art. 391, commi 1o e 4o; mentre contro l’eventuale misura cautelare adottata può essere esperito l’ordinario mezzo di impugnazione del riesame previsto ex art. 309 c.p.p..
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