Enciclopedia giuridica

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Enfiteusi

Ev , fra i diritti reali su cosa altrui, quello di più esteso contenuto, al punto di essere stato considerato, nei secoli precedenti le codificazioni moderne, come una forma di proprietà : in particolare, come dominio utile (la proprietà della borghesia coltivatrice) in antitesi con il diritto del nudo proprietario, considerato come dominio diretto (la proprietà della classe aristocratica). Un tempo di applicazione molto diffusa, ha poi teso a scomparire; ma il favore legislativo nei suoi riguardi, manifestatosi con le leggi n. 607 del 1966, n. 1138 del 1970, n. 270 del 1974, ne ha suscitato un certo risveglio, anche se viene piegata ad assolvere funzioni molto lontane da quelle originarie. L’enfiteusi è un diritto perpetuo o, se è previsto un termine, ha durata non inferiore a vent’anni (art. 958 c.c.); può essere ceduto e trasmesso agli eredi (art. 965 c.c.); non è però suscettibile di subenfiteusi (art. 968 c.c.). Ha per oggetto, tradizionalmente, fondi rustici, ma per le citate leggi speciali è possibile costituirlo anche su fondi urbani, edificati o da edificare. Sul fondo l’enfiteuta ha la stessa facoltà di godimento che spetta ad un proprietario (art. 959 c.c.), ma con due obblighi specifici: 1) di migliorare il fondo; 2) di corrispondere al nudo proprietario, che qui prende il nome di concedente, un canone periodico (art. 960 c.c.), per la cui determinazione l’autonomia delle parti è vincolata dai criteri previsti dalle citate leggi speciali. La sua tradizionale funzione economica era, da un lato, di consentire ai proprietari terrieri di ricavare una rendita, in forma di canone periodico, da terre incolte o, comunque, scarsamente produttive, pur disinteressandosi del tutto della loro utilizzazione economica, incombendo sull’enfiteuta l’obbligo di migliorare il fondo. Era, dall’altro lato, di rendere possibile al coltivatore della terra di acquistare, con il reddito ricavato dalla coltivazione del fondo da lui migliorato, la proprietà del fondo stesso. Di qui l’affrancazione, ossia l’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’enfiteuta mediante il pagamento di una somma pari alla capitalizzazione del canone annuo. Tuttavia le menzionate riforme legislative hanno influito sulla funzione dell’enfiteusi: l’obbligo di migliorare il fondo è , in linea di principio, rimasto essenziale, ma è stato virtualmente vanificato dall’abrogazione della norma che, all’art. 971 c.c., non consentiva l’affrancazione se non dopo venti anni dalla costituzione dell’enfiteusi; sicche´ l’enfiteuta, che eserciti immediatamente il diritto di affrancazione è di fatto dispensato dall’obbligo di migliorare il fondo. Il diritto di affrancazione è un diritto potestativo dell’enfiteuta: egli ha la facoltà di acquistare la proprietà del fondo pagando al concedente, che non può rifiutarsi di prestare il proprio consenso, una somma pari, così disponeva l’art. 971 c.c., alla capitalizzazione del canone annuo al tasso di interesse legale (ossia moltiplicando per venti il canone annuo); ma oggi, per le ricordate leggi del 1966 e del 1970, la somma si ottiene moltiplicando il canone annuo per quindici. Il concedente perderà , a questo modo, la proprietà del fondo, ma riceverà in suo luogo un capitale che gli consentirà di continuare a percepire una rendita (minore, per effetto delle citate leggi, del tasso legale di interesse). Il diritto dell’enfiteuta è suscettibile di comunione (v.) (coenfiteusi), ma non può costituirsi su una quota del fondo indiviso, giacche´ l’obbligo di migliorare il fondo presuppone la piena disponibilità materiale di questo da parte dell’enfiteuta. Nel caso di coenfiteusi, il diritto di affrancazione può essere esercitato da uno solo degli enfiteuti ma, precisa l’art. 971 c.c., per la totalità ; salvo che, aggiunge la giurisprudenza, il concedente non accetti l’affrancazione parziale. Al concedente spetta, per contro, il diritto di domandare al giudice la devoluzione del fondo, ossia l’estinzione del diritto di enfiteusi: a) se l’enfiteuta non adempia l’obbligo di migliorare il fondo; b) se non paga due annualità di canone (art. 972 c.c.). Fra le domande di devoluzione e affrancazione prevale la seconda, a norma dell’art. 972, comma 3o, c.c. Causa di estinzione dell’enfiteusi è il perimento totale del fondo (art. 963, comma 1o, c.c.): il che può verificarsi per effetto di eventi naturali, come quelli che trasformino il fondo nel nuovo letto di un fiume; si verifica anche quando l’evento naturale incida sulla destinazione economica del fondo, rendendolo inutilizzabile per la coltivazione, come nel caso del fondo agricolo reso irreversibilmente sterile dalle acque del mare; non si verifica, invece, per le trasformazioni urbanistiche, come l’assunzione del carattere edificatorio di un terreno in precedenza agricolo. Figura peculiare dell’enfiteusi è il riconoscimento del proprio diritto, che il concedente può chiedere all’enfiteuta un anno prima del compimento del ventennio (art. 969 c.c.). La funzione di questo riconoscimento è , manifestamente, di impedire il compimento dell’usucapione ventennale: l’atto ha natura dichiarativa, non dispositiva; non sana la mancanza di un atto costitutivo dell’enfiteusi, ne´ sana gli eventuali vizi di questo. Come ogni atto dichiarativo o di accertamento, esso inverte l’onere della prova (v.) circa l’esistenza di un rapporto di enfiteusi: sarà l’enfiteuta, che abbia sottoscritto la ricognizione, a dover provare la mancanza di un valido contratto di enfiteusi. La norma ha carattere eccezionale: la regola è che il riconoscimento del diritto reale altrui, a differenza del diritto di credito altrui (art. 1988 c.c.), non produce alcun effetto giuridico.


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