Ai sensi del r.d. 20 settembre 1934, n. 2011, le camere di commercio industria, agricoltura e artigianato istituite in ciascuna provincia, erano enti pubblici dotati di personalità giuridica, aventi funzioni di consulenza, di rappresentanza e di promozione nei riguardi degli interessi e delle attività economiche delle diverse province. Con d.p.r. 30 giugno 1954, n. 709, era stata riconosciuta personalità giuridica di diritto pubblico all’Unioncamere (Unione nazionale delle camere di commercio), associazione volontaria tra le camere di commercio avente lo scopo di favorire il potenziamento dell’istituto camerale mediante la promozione delle riunioni, dei convegni e di tutte le altre iniziative a tal fine ritenute utili. Una profonda riforma è intervenuta con l. 29 dicembre 1993, n. 580. Per l’art. 1 le camere di commercio sono enti pubblici che svolgono funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese; per l’art. 2 esse svolgono funzioni di supporto e di promozione degli interessi generali delle imprese. Questa insistenza sul concetto di interesse generale merita d’essere colta e sviluppata: l’interesse delle imprese, o del sistema delle imprese, è concepito come generale, ossia come proprio dell’intera comunità , e sia pure della comunità locale. Precisa l’art. 1: nell’ambito delle economie locali; e l’art. 2: nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza; mentre l’Unioncamere, per l’art. 7, cura e rappresenta gli interessi generali delle camere di commercio. Non gli interessi del complessivo sistema delle imprese, dunque, ma quello degli enti esponenziali delle imprese in ambito locale: ciò che conferma la essenziale funzione territoriale di questi enti. Si noti che i soggetti cui la legge fa riferimento non sono gli imprenditori, bensì le imprese: locuzione, quest’ultima, di più esteso significato, come emerge anche dalle norme che, agli artt. 10, comma 6o, e 12, comma 1o, prevedono la designazione dei componenti il consiglio anche da parte delle organizzazioni rappresentative dei lavoratori e delle associazioni di tutela dei consumatori e degli utenti. Il che è in linea con le grandi tendenze della moderna cultura giuridica, che guarda all’interesse dell’impresa come ad un’entità che non si riduce all’interesse dell’imprenditore, ma che si riporta alla superiore sfera dell’interesse all’efficienza produttiva dell’impresa (interesse dell’impresa in se´ ) o che corrisponde al punto di equilibrio fra interessi contrapposti, come emerge ad esempio dal progetto di direttiva comunitaria che, sulla scia del Company Act inglese, impone agli amministratori delle s.p.a. di gestire l’impresa coordinando fra loro l’interesse degli azionisti e quello dei dipendenti. La nostra Cassazione, a sua volta, ha statuito che l’interesse della società di capitali è un interesse superiore, che trascende l’interesse dei soci e che pone limiti ai poteri della stessa maggioranza del capitale sociale. Delude, sotto questo aspetto, l’art. 13 della legge, che chiama a far parte del consiglio, oltre agli imprenditori persone fisiche (la categoria ormai in estinzione degli imprenditori individuali), i rappresentanti legali e gli amministratori unici di società . Come se si trattasse di rappresentare la società di fronte ai terzi nell’ordinario corso degli affari sociali, e non già di esprimere entro l’organo camerale tutta la complessità delle situazioni aziendali implicite nel concetto di interesse dell’impresa. Delude, del pari, il mancato riferimento della legge alle imprese di gruppo. Come determinare il numero delle imprese agli effetti dell’art. 10, comma 1o, quando nel registro delle imprese sono iscritte più società appartenenti ad un medesimo gruppo? La nostra Cassazione parla della impresa di gruppo come di una impresa unitaria, sia pure articolata in una pluralità di società , e concepisce le società di gruppo come portatrici di un interesse di gruppo, per realizzare il quale le società operanti debbono attenersi alle direttive della holding. Può mai ammettersi che facciano numero, agli effetti della norma citata, tutte le società appartenenti ad un medesimo gruppo? E può ammettersi che, per effetto della designazione di cui all’art. 12, comma 1o, facciano parte del consiglio camerale i rappresentanti legali di più società del medesimo gruppo? Il problema si riproporrà quando i consigli nominati si avvarranno, come è augurabile, della norma dell’art. 12, comma 5o, e vareranno statuti che prevedano il loro rinnovo mediante elezioni diretta dei componenti. Ed è del pari auspicabile che gli statuti camerali non consentano che un medesimo gruppo disponga di più voti, e magari di un quantità innumerevole di voti, attuando così una sorta di plutocrazia camerale. Sarà , per contro, proponibile che una medesima impresa, ove si tratti di impresa di grandi dimensioni, sia rappresentata da più soggetti, che esprimano anche la voce del management dell’impresa, e non solo del consiglio di amministrazione; ed alludo così al management economico e finanziario come a quello tecnico. Non c’è , manifestamente, rappresentanza degli interessi generali del sistema delle imprese se è data voce in capitolo solo ai legali rappresentanti delle società . Sta bene la rappresentanza dei lavoratori, attuata con la designazione di due membri di nomina sindacale. Ma questi esprimeranno, come è giusto, il punto di vista del sindacato, mentre la composita realtà aziendale resterà priva di rappresentanza entro l’organo camerale. Il concetto di interesse generale, sul quale insiste la legge, induce a fare capo ad una categoria di enti locali non territoriali (ossia diversi da comuni e province), che è presente nella Costituzione (art. 118, comma 3o) e che la stessa nuova legge sulle camere di commercio evoca allorche´ fa riferimento, all’art. 2, comma 1o, ad una possibile delega di funzioni dallo Stato e dalle regioni alle camere di commercio. Inoltre queste possono gestire, direttamente o in società con soggetti pubblici e privati, strutture ed infrastrutture, purche´ di interesse economico generale a livello locale, e possono costituire aziende speciali (art. 2, comma 2o); sicche´ alle camere di commercio appare assegnato anche un ruolo imprenditoriale, che ricorda le finanziarie regionali e le aziende municipalizzate e i cui caratteri richiedono un’attenta determinazione. Meritano attenzione le forme di controllo sulle clausole inique inserite nei contratti di serie, che la legge riconosce alle camere di commercio. A questo modo le camere di commercio vengono chiamate a svolgere funzioni che non sono di tutela delle imprese ma, tutto all’opposto, di protezione delle loro controparti contrattuali, ossia dei consumatori, degli utenti, degli ausiliari autonomi delle imprese e così via, confermando a questo modo come ad esse si sia inteso attribuire funzioni di interesse generale entro le economie locali. Fra le funzioni delle camere di commercio va segnalata la tenuta del registro delle imprese (v.), che prende il posto del precedente registro delle ditte.
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