conflitto di interessi del socio: condizione del socio il quale si trova ad essere portatore, di fronte ad una data deliberazione, di un duplice interesse: del suo interesse di socio e, inoltre, di un interesse esterno alla società ; e questa duplicità di interessi è tale, per cui egli non può realizzare l’uno se non sacrificando l’altro interesse. La semplice duplicità della posizione di interesse in capo ad un medesimo soggetto di per se´ sola non implica, però , situazione di conflitto in senso tecnico. Le due posizioni di interesse possono essere fra loro solidali: il socio può realizzare il proprio interesse senza pregiudicare l’interesse della società . Il socio è , ad es., proprietario di un immobile (o è amministratore di una società proprietaria di un immobile), e in assemblea si deve deliberare sull’acquisto di questo immobile da parte della società (perche´ , si deve precisare per rendere credibile l’ipotesi, gli amministratori hanno sottoposto l’acquisto all’esame dell’assemblea, a norma dell’art. 2364, n. 4). Non si può sapere, a priori, quale dei due interessi il socio deciderà di soddisfare, se il suo interesse di venditore ad ottenere un alto prezzo o il suo interesse di socio della società compratrice ad un acquisto a vantaggiose condizioni: perciò , l’art. 2373, comma 1o, gli impone, cautelarmente, di astenersi dal voto. Se, nonostante il divieto, egli vota, e se il suo voto è stato determinante agli effetti del calcolo della maggioranza assembleare (cosiddetta prova della resistenza), allora assume rilievo il modo con il quale ha votato: se il socio ha sacrificato l’interesse personale o quello sociale o se ha realizzato un contemperamento dell’uno e dell’altro, tale da non nuocere alla società . Il comma 2o dell’art. 2373 stabilisce che la deliberazione può essere impugnata, a norma dell’art. 2377, qualora possa recare danno alla società : il che val quanto dire che la deliberazione è annullabile solo se, considerato il contenuto di essa, risulti evidente che il socio ha sacrificato l’interesse sociale a quello personale. La norma è , peraltro, molto rigorosa: essa non esige, agli effetti dell’annullamento della deliberazione, la prova di un effettivo danno subito dalla società , ma rende sufficiente la prova di un pericolo di danno. Una ipotesi tipica di conflitto di interessi è prevista dal comma 3o dell’art. 2373: gli amministratori non possono votare nelle deliberazioni riguardanti la loro responsabilità. Qui la situazione di conflitto di interessi è in re ipsa, come è in re ipsa, e non richiede alcuna prova nel caso in cui gli amministratori abbiano votato, il pericolo di danno per la società . Le azioni, per le quali non può essere esercitato il diritto di voto per conflitto di interessi, sono egualmente computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea.
conflitto di interessi tra amministratore e società: è l’ipotesi in cui un amministratore ha, in una determinata operazione, un interesse per conto proprio o di terzi in conflitto con quello della società . L’esistenza di tale conflitto obbliga l’amministratore interessato (art. 2391, comma 1o, c.c.): a) ad informare gli altri amministratori e il collegio sindacale; b) ad astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione. Il conflitto è rilevante se il socio ha partecipato, con voto determinante, ad una deliberazione del consiglio di amministrazione (v.) vertente sull’operazione per la quale sussiste il conflitto di interessi. Tale deliberazione è soggetta ad azione di annullamento ad iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti e dei sindaci, entro tre mesi dalla sua data (art. 2391, comma 3o, c.c.); in tal caso, l’amministratore è responsabile delle perdite che l’operazione ha cagionato alla società (art. 2391, comma 2o, c.c.).
conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato: il rappresentante (v. rappresentanza) deve contrattare nell’interesse del rappresentato (art. 1388 c.c.): non può utilizzare il potere di rappresentanza che gli è stato conferito per realizzare, anziche´ quello del rappresentato, il proprio interesse (o l’interesse di un terzo). Il che può accadere quando il rappresentante concluda un contratto in una situazione di conflitto di interessi con il rappresentato: quando l’interesse dell’uno e dell’altro, cioè , si trovino in concorrenza fra loro, e la realizzazione del primo comporti il sacrificio del secondo. Il rappresentante ha, ad esempio, una procura per comperare, e compera dalla società di cui è socio. Nell’interesse del compratore rappresentato dovrebbe adoperarsi per comperare al prezzo più basso possibile; come socio della società venditrice ha, tutto all’opposto, interesse a concordare con il rappresentante della società il prezzo più alto possibile: il prezzo che la società realizza finirà, in parte, nelle sue tasche quando saranno distribuiti fra i soci gli utili (v.) sociali. Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato è annullabile (v. annullabilità ) su domanda del solo rappresentato (art. 1394 c.c.), secondo le norme generali sull’annullabilità del contratto (e va ricordato che il termine quinquennale di prescrizione decorre, secondo la regola generale dell’art. 1442, comma 3o, c.c., dalla data del contratto, non da quella della successiva scoperta del conflitto di interessi). La situazione obiettiva di conflitto di interessi è da sola causa di annullabilità del contratto: basta, per ottenere l’annullamento, la prova dell’esistenza della situazione di conflitto in cui il rappresentante versava al momento della conclusione del contratto; non occorre l’ulteriore prova che il rappresentante ne abbia tratto effettivo profitto, realizzando il proprio e sacrificando l’interesse del rappresentato. La situazione di conflitto di interessi deve però essere influente sul contenuto del contratto: se, nell’esempio precedente, si trattava della vendita di merci il cui prezzo è predeterminato dall’autorità governativa, ogni conflitto di interessi deve ritenersi escluso. Ad uguale conclusione si deve pervenire se si tratta di titoli aventi una quotazione di borsa: così è stato più volte escluso il conflitto di interessi nell’acquisto da parte degli amministratori di società controllata di titoli a prezzo di listino della società controllante. Un limite all’azione di annullamento è posto nell’interesse del terzo contraente: il conflitto di interessi doveva essere noto o riconoscibile da questa (art. 1394 c.c.). Così, il contratto non potrà essere annullato se il rappresentante compratore era socio occulto della società venditrice, e partecipava a questa (come non di rado accade) attraverso un prestanome. Ipotesi tipica di contratto concluso dal rappresentante in conflitto di interessi con il rappresentato è quella del contratto che il rappresentante conclude con se stesso: ha, ad esempio, una procura per vendere e, giovandosi di questa, vende a se stesso; oppure ha la procura per vendere di Tizio e, al tempo stesso, la procura per comperare di Caio e, giovandosi di entrambe, vende a Caio la cosa di Tizio. Egli firma due volte il medesimo contratto: una prima volta, come venditore, firma in nome del rappresentato; una seconda volta, come compratore, firma in proprio nome oppure in nome del terzo dal quale ha ricevuto una procura a comperare. Anche in questo caso il contratto è annullabile, sempre su domanda del rappresentato (e, nel secondo esempio fatto, di ciascuno dei rappresentati), a meno che il rappresentante non fosse stato specificamente autorizzato a contrattare con se stesso oppure il contenuto del contratto non fosse determinato in modo tale (ad esempio, si trattava di merci a prezzo imposto o di titoli con quotazione di borsa) da escludere la possibilità di un conflitto di interessi (art. 1395 c.c.). In questo caso, tuttavia, il conflitto di interessi si presume, e la prova contraria dovrà essere data dal rappresentante. L’autorizzazione del rappresentato è , in linea di principio, sufficiente, non dovendosi, in presenza di essa, fornire l’ulteriore prova della impossibilità del conflitto di interessi. Tuttavia, l’art. 1395 c.c. richiede una autorizzazione specifica, al fine di evitare che il rappresentante abusi dell’autorizzazione ricevuta, contrattando con se stesso a condizioni di netto sfavore per il rappresentato. Questo requisito di specificità viene interpretato dalla giurisprudenza in modo rigoroso: l’autorizzazione, per essere valida, deve predeterminare il contenuto del contratto.
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