Enciclopedia giuridica

A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z




Appropriazione



appropriazione della cosa: consiste nell’intenzione del detentore (v.) della cosa di mutare la sua detenzione in possesso: l’appropriazione non è sufficiente a conseguire tale mutamento giuridico se ad essa non si accompagna l’interversione del possesso (v.). L’appropriazione da parte del detentore di per se´ è sufficiente a fare perdere il possesso al possessore mediato (v. possesso, appropriazione mediato).

appropriazione di pregi: è una forma di concorrenza sleale tra imprenditori realizzata da colui che attribuisce falsamente ai propri prodotti pregi che sono dei prodotti del concorrente. Sono tali le false indicazioni di provenienza dei beni e la pubblicità commerciale, appropriazione per agganciamento (v.).

appropriazione indebita: è il delitto previsto dall’art. 646 c.p. quale violazione del diritto di proprietà . Preliminare è il problema definitorio del rapporto in cui l’agente deve trovarsi rispetto alla cosa: è infatti la sussistenza possessoria a fare da spartiacque tra la figura dell’appropriazione e quella del furto. Il limite logico del concetto di possesso rilevante ex art. 646 è quello di sottrazione ex art. 624: non vi è possesso ma soltanto detenzione ogni qualvolta l’agente, pur trovandosi in relazione materiale con la cosa, per farla propria deve sottrarla. Il possesso nel senso dell’art. 646 consiste pertanto in un rapporto tra soggetto e cosa il quale implichi una disponibilità autonoma: nel senso di un potere che si esercita al di fuori della diretta vigilanza di altra persona che abbia sulla cosa medesima un potere di fatto. Sulla base di un tale criterio sussiste una situazione possessoria e di conseguenza appropriazione nell’ipotesi di chi non restituisce un veicolo preso a nolo o nell’altra di chi si appropria di un libro ottenuto da una biblioteca. C’è invece mera detenzione quando la relazione di fatto con la cosa si svolge entro la sfera di custodia e sorveglianza di altri, ossia dal vero possessore. Per quanto riguarda il dolo generico, il soggetto deve essere consapevole di possedere una cosa mobile altrui e deve compiere l’appropriazione con la consapevolezza e volontà della materialità dell’atto e della sua portata pratica. Il dolo, secondo alcuni, è escluso nel caso in cui l’atto di disposizione sulla cosa avvenga con l’intenzione di restituire il tantundem o la cosa stessa, purche´ sussista il serio convincimento di potere restituire la cosa. Reciprocamente sussiste il dolo se il soggetto dispone della cosa senza intenzione di restituire, anche se successivamente si pente. Il dolo viene meno per errore di fatto se il soggetto ritiene che la cosa sia di sua proprietà , anche se per errore su legge penale; vi sarà invece errore su legge non penale se l’agente conosce la situazione di fatto ma ritiene che essa non concreti un possesso ai sensi dell’art. 646, o se il soggetto vuole il fatto nella sua mentalità e nel suo significato economicoappropriazionesociale rendendosi conto che esso implica un’appropriazione della cosa altrui. Oltre che con dolo generico, il soggetto deve agire con il fine specifico di procurare a se´ o ad altri un ingiusto profitto. Si rinnova anche per l’art. 646 la questione se il profitto debba essere solamente mediamente di natura economica o possa invece comprendere qualsiasi soddisfazione materiale o morale. Essendo il contenuto del dolo specifico, il profitto rappresenta ovviamente un risultato estraneo allo schema formale del fatto, e non occorre per la perfezione del reato che esso sia effettivamente conseguito. In merito all’ingiustizia del profitto si distingue opportunamente tra le ipotesi in cui la mancanza del fine di ingiusto profitto esclude già il carattere oggettivamente criminoso dell’azione e quelle in cui, pur non avendo l’agente diritto di far propria la cosa altrui, compie l’azione nell’errata convinzione della giustizia del profitto perseguito. Sotto il primo profilo vengono ovviamente in considerazione le comuni ipotesi di giustificazione degli artt. 50 e 51. Per quanto riguarda il diritto di ritenzione a titolo di compensazione di un credito, la giurisprudenza segue un ordine rigoroso, secondo cui occorre che tale credito, oltre che certo, sia liquido ed esigibile, ossia non controverso nel titolo e determinato nel suo ammontare. Sotto il profilo dell’errata convinzione circa la giustizia del profitto, acquistano rilevanza, escludendo il dolo, le ipotesi in cui l’agente ritenga per errore di essere in una situazione tale da fondare, se effettivamente esistente, un diritto di ritenzione. Il momento consumativo coincide con il manifestarsi esteriore della volontà di considerare la cosa come propria, a prescindere ovviamente dal conseguimento del profitto.


Apprendistato      |      Approvazione


 
.