La nave può appartenere a più persone, ciascuna delle quali sia titolare di una quota. In tal caso si ha la comproprietà navale, regolata in modo parzialmente diverso dalla comunione ordinaria. Per antica consuetudine le quote sono 24 e si chiamano carati: ogni carato è , a sua volta, frazionabile; i comproprietari sono detti caratisti. Il diverso regime rispetto alla comune comproprietà , regolata dal c.c., si riassume nel fatto che le deliberazioni relative agli atti di utilizzazione, di innovazione e di disposizione della nave richiedono maggioranze minori di quelle che occorrono nella comunione ordinaria. In particolare, le delibere relative all’utilizzazione normale o alle innovazioni miranti alla migliore utilizzazione della nave si prendono a maggioranza semplice (cioè più di 12 carati); e, se la maggioranza delle quote è in un’unica mano, per compiere atti di amministrazione ordinaria non occorre nemmeno convocare in assemblea gli altri caratisti; mentre una maggioranza di almeno 16 carati occorre solo per le innovazioni o riparazioni che importino spese eccedenti la metà del valore della nave (artt. 278 ss. c. nav.). Il singolo caratista, d’altra parte, ha meno poteri del comune condomino: non può , in particolare, chiedere lo scioglimento della comunione, secondo l’art. 1111 c.c. (salvo non sia dissenziente rispetto a deliberazioni per innovazioni o riparazioni straordinarie: art. 260, comma 2o, c. nav.). La vendita della nave richiede una deliberazione unanime dei caratisti o, su richiesta di quanti rappresentino la metà dei carati, un decreto del tribunale di autorizzazione alla vendita (art. 264). Ev una regolazione normativa ispirata dall’esigenza di evitare, il più possibile, che la discordia fra i caratisti impedisca l’utilizzazione, o le riparazioni, di un bene economico qual è la nave. Ma c’è di più : a maggioranza semplice i caratisti possono deliberare la trasformazione della comproprietà navale, che è in quanto tale comunione di solo godimento (che si esercita cedendo la nave in locazione a terzi e percependone il reddito attraverso il corrispettivo della cessione in uso), in società di armamento (art. 278 c. nav.), assumendo così in proprio i rischi connessi alla diretta gestione della nave; con la conseguenza che i caratisti dissenzienti si trovano, loro malgrado, a dimettere la qualità di comproprietari e ad assumere quella di soci. La differenza fra caratisti che hanno consentito e caratisti che non hanno consentito la trasformazione della comproprietà in società di armamento non è però cancellata: solo i primi, e non anche i secondi, rispondono verso i terzi delle obbligazioni sociali, anche se ne rispondono non solidalmente, come nelle società di persone di diritto comune, ma parzialmente, ossia in proporzione delle rispettive quote (art. 283). L’anomalia di questa trasformazione a maggioranza della comunione in società si manifesta, piuttosto, nella partecipazione alle perdite per l’esercizio della nave: tutti, nei rapporti interni, partecipano alle perdite in proporzione delle rispettive quote; ma quelli che non hanno consentito alla trasformazione possono liberarsi della partecipazione alle perdite, abbandonando la loro quota di proprietà della nave (art. 285). Così essi si trovano esposti all’eventualità di perdere la comproprietà della nave per i rischi di una diretta gestione che era stata decisa contro la loro volontà . L’atto costitutivo della società di armamento è soggetto a trascrizione nel registro di iscrizione della nave (art. 279). In mancanza, i comproprietari consenzienti assumono verso i terzi responsabilità solidale, anziche´ parziaria (art. 284).
trattamento fiscale delle società di armamento: ai fini delle imposte dirette le società di armamento sono equiparate alle s.n.c. o alle s.a.s. a seconda che siano state costituite all’unanimità o a maggioranza. La diversità di trattamento fiscale di questi due tipi societari è peraltro molto contenuta. V. società , trattamento fiscale delle società di armamento.
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