Enciclopedia giuridica

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Furto

Nonostante siano sorte discussioni sul bene protetto dalla norma di cui all’art. 624 che incrimina il furto, non si può non concordare con quell’autorevole dottrina che ha sottolineato che non sempre è il proprietario della cosa rubata ad essere parte lesa del reato, dal momento che la vera vittima è chi possiede la cosa sottratta, soggetto che può ben essere figura diversa dal proprietario. Pertanto, pare corretta l’affermazione in base alla quale si riconosce che oggetto specifico della tutela penale nel furto è il possesso e non la proprietà . In base al primo comma dell’art. 624 il delitto di furto consiste nel fatto di chiunque si impossessa della cosa mobile altrui sottraendola a chi la detiene. Il riferimento testuale dell’art. 624 al concetto di detenzione viene solitamente interpretato in dottrina nel senso che l’esistenza di una relazione tra soggetto passivo e cosa è presupposto essenziale della fattispecie di furto. La dottrina però giunge divisa all’esatta determinazione del significato della nozione in parola: per alcuni autori bisognerebbe far riferimento alla nozione civilistica di detenzione, per altri basterebbe accertare la presenza del solo animus detinendi, consistente nella coscienza e volontà di detenere, per altri ancora la detenzione di cui al reato in esame si esaurirebbe in una relazione puramente materiale con la cosa, da intendersi come possibilità di stabilire comunque con essa un contatto fisico. Per quanto concerne l’elemento oggettivo del reato in esame c’è concordia in dottrina sul fatto che il concetto di sottrazione equivalga a quello di spossessamento mentre assai problematici, a causa delle diverse opinioni in materia, sembrano restare i rapporti tra sottrazione e impossessamento: per alcuni i due momenti coinciderebbero riguardando lo stesso momento inteso, rispettivamente, dal punto di vista del soggetto passivo e da quello dell’agente. In base a questa teoria ritenendosi che la consumazione del reato si verifichi non appena il detentore risulta spogliato della cosa, perdendone la disposizione fisica, si dovrebbe coerentemente considerare furto consumato e non tentato quello del soggetto che, per esempio, abbia sottratta o nascosta la cosa sulla propria persona o in un qualsiasi involucro e sia sorpreso prima di potersi allontanare. Per un’opposta teoria dottrinale, oggi maggiormente seguita, sottrazione e impossessamento rappresenterebbero due momenti da considerarsi concettualmente e cronologicamente distinti: in pratica, la condotta tipica potrebbe dirsi compiutamente integrata in tutti i suoi elementi costitutivi solo allorche´ il soggetto attivo abbia conseguito l’autonoma disponibilità del bene, al di fuori di ogni possibile sfera di sorveglianza della vittima (in sintesi, la azione furtiva dovrebbe far nascere un nuovo possesso). In base a quest’opinione per la vera e propria verificazione dell’impossessamento si richiederebbe un quid pluris rispetto alla pura e semplice sottrazione, da intendersi come ogni comportamento o fatto capace di mutare radicalmente il rapporto preesistente, e tale da far ottenere all’agente la disponibilità autonoma della cosa, che verrebbe quindi a trovarsi in suo potere, e fuori dalla cerchia di vigilanza del precedente possessore. Ev evidente che così ragionando si giunge a conclusione assai differente in tema di rapporti tra reato consumato e tentato: il furto resterebbe infatti allo stadio del semplice tentativo fino al momento in cui l’autore non abbia acquistato l’autonoma disponibilità della cosa sfuggendo così alla sfera di sorveglianza della vittima. Le due teorie dottrinali di cui sopra sembrano influire anche sulla definizione dell’evento nel reato di furto, che secondo alcuni sarebbe da intendersi come perdita della disponibilità materiale della cosa da parte del possessore, mentre per altri dovrebbe più correttamente ritenersi coincidente con l’impossessamento del soggetto agente. Da segnalarsi che mentre in dottrina la seconda teoria sembra ultimamente prevalere, al contrario la giurisprudenza si serve assai più spesso della prima concezione per risolvere ipotesi problematiche, come quelle di assai frequente verificazione riguardanti i furti nei supermercati. Infatti, secondo la tesi assolutamente prevalente in giurisprudenza si ha furto consumato e non tentato allorche´ l’agente venga sorpreso prima della uscita dal locale e anche prima del passaggio dalla cassa, visto che il momento consumativo coinciderebbe già con il prelevamento della merce dagli scaffali. Per ciò che attiene all’oggetto materiale del reato in esame c’è assoluta concordia in dottrina e giurisprudenza nello escludere l’applicabilità dell’art. 812 c.c. contenente la nozione civilistica di cosa mobile. Più correttamente il concetto pare potersi ricavare con riferimento alla funzione della condotta furtiva: in quest’ottica è perciò da considerarsi mobile ogni cosa che si può sottrarre, comprese le cose originariamente immobili ma divenute suscettibili di sottrazione essendo state successivamente mobilizzate e con esclusione dei beni immateriali e dei diritti, anche se relativi a cose mobili. La dottrina ha sottolineato che il furto è senza dubbio un reato di danno e risulta perciò necessario alla sua integrazione un pregiudizio al soggetto passivo derivante dalla sottrazione: in base a ciò si concorda nel ritenere l’insussistenza della fattispecie in esame nel caso di sottrazione di cose che siano prive di ogni valore di scambio (come nell’esempio classico del chicco d’uva o del chiodo arrugginito). Più controversa è l’ipotesi in cui la sottrazione abbia ad oggetto una cosa avente un valore meramente affettivo. Ai sensi di quanto previsto dal secondo comma dell’art. 624 la dottrina ha precisato che deve ritenersi provvista di un valore economico ogni tipo di energia suscettibile di essere utilizzata e goduta da un soggetto con profitto proprio e danno altrui. In base a ciò si ha senza dubbio furto nell’ipotesi in cui si sottraeva energia elettrica, meccanica, termica o gassosa, mentre la fattispecie in oggetto deve al contrario ritenersi esclusa nel caso di uso di un apparecchio radiotelevisivo senza pagamento del canone, dal momento che non potrebbe definirsi diminuita l’energia dell’emittente. Per quanto riguarda il requisito dell’altruità della cosa deve osservarsi che non sono da considerarsi altrui le res communes omnium, salvo quelle che, in seguito all’individuazione di una loro parte, siano divenute oggetto di diritti patrimoniali. Peraltro, secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente dominanti nelle cose comuni a tutti non possono farsi rientrare i c.d. beni demaniali, che divengono perciò suscettibili di furto. C’è da ricordare ancora a questo proposito che la l. n. 968 del 22 dicembre 1977 ha reso gli animali oggetto di caccia beni appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato, con la conseguenza che oggi è configurato prevalentemente il furto aggravato in caso di uccisione di animali da parte di cacciatori abusivi. Per quanto concerne l’elemento psicologico del reato, il furto è da ritenersi una paradigmatica fattispecie a dolo specifico, giacche´ è specificamente richiesto il fine di trarre profitto dalla cosa per se´ o altri. Peraltro, il fine in oggetto in dottrina e giurisprudenza è inteso in senso assai ampio, ritenendosi infatti che nella nozione di profitto debba farsi correttamente rientrare qualsiasi utilità o soddisfazione, anche di carattere semplicemente morale, che il soggetto attivo abbia in animo di ricavare dall’impossessamento della cosa. Alcuni autori ritengono che tale profitto debba comunque poter essere qualificato come ingiusto, anche se in realtà la norma sul furto tace al riguardo. La giurisprudenza e la dottrina prevalenti sono però di diverso avviso e ritengono che l’omissione legislativa abbia lo scopo di evitare che colui che vanti una pretesa legittima possa soddisfare appropriandosi delle cose altrui: in quest’ottica il reato dovrebbe considerarsi sussistente anche se il vantaggio cui mirava l’agente era in realtà legittimo. C’è da ricordare infine che l’art. 625 c.p. disciplina una serie di aggravanti speciali del furto, da considerarsi di natura oggettiva ai sensi e per gli effetti degli art. 70 n. 1 e 118 c.p. A questo proposito, in relazione a quanto disposto nell’ultimo comma della disposizione in esame, c’è da ricordare come la giurisprudenza ritenga possibile il concorso tra più ipotesi contenute nello stesso numero dell’art. 625, mentre la dottrina è di diverso avviso.


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