uguaglianza della legge: il principio della legge uguale per tutti è una idea guida dell’ordinamento giuridico: la Costituzione lo riafferma nel comma 1o dell’art. 3, con la norma secondo la quale tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Ev una norma che esprime una precisa direttiva per la legislazione ordinaria: questa deve svolgersi per norme generali ed astratte, che non discriminino i cittadini in ragione delle condizioni personali o sociali, assoggettando alcuni ad una situazione deteriore o, all’opposto, concedendo loro privilegi. Ogni eventuale discriminazione, essendo violazione del principio costituzionale di uguaglianza, può essere censurata dalla Corte Costituzionale, alla quale spetta il compito di annullare le norme di legge ordinaria contrarie alla Costituzione (e la norma dell’art. 3, comma 1o, è fra le più applicate nei giudizi di legittimità costituzionale delle leggi, tanto anteriori quanto posteriori alla Costituzione). Il principio costituzionale di uguaglianza è , perciò , un presidio della legge generale; esso limita il potere legislativo nella emanazione di norme di diritto speciale (v. norme, uguaglianza di diritto speciale), che discriminino fra loro i cittadini. Questo non significa che norme di diritto speciale non possano essere emanate: significa, secondo l’orientamento consolidato nelle sentenze della Corte Costituzionale, che la legge ordinaria non può , senza un ragionevole motivo, dare un trattamento diverso a cittadini che si trovano in una uguale situazione. Così è stata dichiarata illegittima la norma del c.c. che vietava le donazioni tra coniugi, discriminando costoro, senza ragionevole motivo, rispetto agli altri cittadini. Ma è stata considerata legittima la norma che tratta diversamente l’ insolvenza (v.) dell’imprenditore commerciale rispetto a quella di ogni altro debitore, assoggettando solo il primo al fallimento (v.). Questo diverso trattamento, per la Corte Costituzionale, trova giustificazione nelle ben diverse ripercussioni che l’insolvenza di un imprenditore commerciale provoca nell’economia generale. Il comma 2o del medesimo art. 3 aggiunge che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Anche questo comma 2o è una direttiva (oltre che per gli apparati di governo) per la legislazione ordinaria: se il comma 1o, sancisce l’uguaglianza formale dei cittadini e postula una legge uguale per tutti, il comma 2o muove dalla premessa che, di fatto, i cittadini non sono affatto uguali tra loro ed enuncia il principio della uguaglianza sostanziale. La legge può e, anzi, deve derogare al principio della uguaglianza formale, e deve creare, a questo modo, disuguaglianze formali, quando ciò sia necessario per rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono ai cittadini di essere sostanzialmente uguali tra loro. Così, ad esempio, il recesso dal contratto di lavoro (v.) può essere diversamente regolato dalla legge a seconda che dal contratto receda il datore di lavoro (cui il recesso è consentito solo per giusta causa o per giustificato motivo), oppure il lavoratore (che può sempre recedere). Il primo fruisce, rispetto al secondo, di una condizione di disuguaglianza sostanziale, che la legge può tendere a colmare con una disuguaglianza formale a vantaggio del secondo.
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