La categoria dei fondi pensione introduce una partizione fondamentale del nostro sistema previdenziale. Essa è il frutto di prestazioni complementari a quelle del regime di previdenza obbligatoria, consegnandoci, così, un sistema pensionistico contraddistinto dalla summa divisio tra il regime generale di previdenza e il regime dei fondi pensione complementari. L’espressione fondo di previdenza identifica, dunque, un sistema di previdenza complementare e, al contempo, svincolata dalla previdenza di tipo obbligatorio. Il termine fondo pensione viene tuttavia impiegato anche per definire quel diverso e più limitato fenomeno per cui è stata prevista la creazione di forme previdenziali che sostituiscono, riguardo ad alcune categorie di lavoratori, il regime generale. Per evitare fraintendimenti, si usa parlare convenzionalmente, in questo caso, di fondi sostitutivi o esonerativi. La diversità dell’assetto proprio dei fondi pensione complementari rispetto a quello della previdenza obbligatoria non risiede tuttavia solo nella sua complementarità rispetto alla obbligatorietà del regime generale di previdenza, come è esplicitato nell’art. 1 del d.l. 21 aprile 1993, n. 124 (nonche´ nell’art. 3 dello stesso d.l., ove si indicano le modalità costitutive di tali fondi), ma anche nelle diverse tecniche impiegate, che passano dal sistema di ripartizione (proprio della previdenza generale obbligatoria) a quello di capitalizzazione (proprio dei fondi pensione). In rapida approssimazione, va indicato che in un sistema a ripartizione i contributi versati dai lavoratori non vengono accantonati per formare riserve, da investire poi finanziariamente, ma vengono utilizzati per erogare, con chiari intenti solidaristici, le prestazioni previdenziali agli attuali pensionati. Al contrario, nel sistema a capitalizzazione, i contributi versati vengono investiti per commisurare le pensioni a valori futuri in senso demografico e finanziario. Quest’ultimo aspetto conferisce ai fondi pensione un connotato del tutto particolare: essi assolvono ad un fine previdenziale mediante la gestione finanziaria delle risorse, il che ha impegnato il legislatore a congegnare un sistema che tenesse conto delle problematiche inerenti alla costituzione e alla organizzazione dei fondi ma anche all’investimento e alla gestione del patrimonio. L’art. 4 della legge sopra richiamata individua essenzialmente tre possibili forme giuridiche di creazione dei fondi: associazione non riconosciuta; soggetti dotati di personalità giuridica ai sensi dell’art. 12; patrimonio separato ed autonomo rispetto al patrimonio della società o dell’ente promotore del fondo. Riguardo a quest’ultima modalità , viene anche indicato che essa può essere posta in essere solo quando l’ente promotore del fondo abbia la forma di s.p.a. o di accomandita per azioni. In via generale va ricordato come sia possibile optare liberamente per una delle tre forme indicate, fatta salva, tuttavia, l’ipotesi in cui si tratti di un fondo costituito nell’ambito di una categoria, comparto o raggruppamento, in quanto in tal caso si deve necessariamente assumere la forma di soggetto riconosciuto. Dal disegno complessivo della legge sui fondi pensione si possono poi desumere i criteri di classificazione dei fondi. Il primo, assai rilevante, è quello tra fondi a contributi definiti e fondi a prestazioni definite. Si hanno fondi a contribuzione definita quando viene stabilita a priori l’entità dei contributi da destinare al finanziamento del fondo, mentre la prestazione da erogare al lavoratore non è predeterminata ma dipende dagli interessi che tali contributi hanno prodotto. Si hanno, invece, fondi a prestazioni definite quando la prestazione finale è predeterminata mentre l’entità del contributo è variabile. Naturalmente, la prestazione predeterminata è garantita anche nel caso in cui il livello di rendimento previsto non venga raggiunto. Questa distinzione riveste una notevole importanza in quanto, mentre i fondi a contributi definiti possono essere previsti per tutti i possibili destinatari dei fondi (cioè lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi e liberi professionisti), i fondi a prestazione definita possono essere posti in essere solo per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Un’altra distinzione importante corre tra i fondi aperti (disciplinati nell’art. 9 del d.l.) e i fondi c.d. chiusi: i primi, a differenza dei secondi, non sorgono nell’ambito di categorie aziendali o di raggruppamenti di lavoratori autonomi e di liberi professionisti ma sono aperti alla partecipazione dei lavoratori indipendentemente dal comparto o categoria di appartenenza. Perche´ si abbia fondo aperto occorre che non sussistano o non operino ne´ fondi di categoria o di comparto, ne´ fondi di raggruppamento per i lavoratori autonomi o liberi professionisti. Una ulteriore differenza rispetto ai cosiddetti fondi chiusi è ravvisabile, quanto ai promotori del fondo, nel fatto che i fondi aperti possono essere promossi esclusivamente dalle società di intermediazione mobiliare (l. n. 1 del 1991) e dalle imprese di assicurazione autorizzate ed abilitate alla gestione dei rami I, V, VI di cui alla tabella A allegata alla l. 22 ottobre 1986 n. 742, nonche´ dagli enti che gestiscono le forme di previdenza obbligatoria, quali ad esempio l’Inps. Il fondo non può autogestirsi, ma deve, con un apposito contratto, affidare la gestione ad appositi soggetti indicati nella legge: per i fondi a prestazioni definite, deve trattarsi esclusivamente di imprese di assicurazione autorizzate come sopra; per i fondi a contribuzione definite, anche di Sim e di enti gestori di forme di previdenza obbligatoria (art. 6). (A.D. Candian).
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