Nel lavoro privato la trasferta non è disciplinata per legge; di solito sono i contratti collettivi a prevedere una regolamentazione non omogenea per i vari settori, che può essere anche molto analitica o molto sintetica. L’unica regolamentazione della trasferta nel settore privato riguarda l’assoggettabilità a contributi previdenziali: si prevede che la diaria o indennità di trasferta in cifra fissa sono assoggettate a contributi limitatamente al 50% del loro ammontare e che sono completamente esenti i rimborsi a pie’ di lista che costituiscano rimborsi di spese sostenute dal lavoratore per l’esecuzione o in esecuzione del lavoro. In tal modo mediante la legge previdenziale sono posti alcuni principi importanti: innanzitutto è affermata la natura non retributiva di tutti i rimborsi spese sostenuti per il datore di lavoro, e quindi anche di quelli, probabilmente i più frequenti o almeno più consistenti, sostenuti in occasione di trasferte; viene inoltre posta la presunzione per cui l’indennità di trasferta in cifra fissa ha natura mista, per metà retributiva a compenso dell’attività particolarmente faticosa (come se fosse uno straordinario) e per l’altra metà restitutoria, per le spese non documentate o non documentabili. Solo che la stessa legge previdenziale finisce per essere tutt’altro che chiara, nel caso molto frequente in cui vengano corrisposti sia l’indennità in cifra fissa che il rimborso a pie’ di lista, perche´ in questo caso si potrebbe dubitare molto sulla natura a metà restitutoria dell’indennità di trasferta in cifra fissa. Per l’Inps non sarebbe possibile il cumulo e quindi, se sono rimborsate le spese a pie’ di lista, l’indennità di trasferta avrebbe natura interamente retributiva. Comunque non è mai lecito dedurre principi generali da una legge previdenziale, come da una legge fiscale, ispirate e imposte da esigenze speciali e mai generalizzabili. Di solito però la giurisprudenza afferma che, almeno in questo caso, dalla legge previdenziale possa essere desunta una presunzione semplice, un mero indizio, secondo i principi esposti: l’indennità di trasferta in cifra fissa ha natura a metà retributiva e a metà restitutoria, mentre il rimborso a pie’ di lista ha natura sempre restitutoria. A meno che, ovviamente, nel rimborso a pie’ di lista non vengano comprese spese che normalmente sarebbero a carico del lavoratore e non del datore di lavoro; ma qui si torna nell’incertezza, perche´ il discrimine si rivela spesso ambiguo. Dovendo pertanto basarsi sulla disciplina dei contratti collettivi, necessariamente frammentaria a seconda dei settori di appartenenza, possono essere descritte soltanto alcune linee fondamentali e tendenzialmente generali. Innanzitutto la nozione: la trasferta è la variazione del posto di lavoro abituale, purche´ provvisoria; nel caso invece in cui la variazione fosse definitiva, si avrebbe trasferimento e non più trasferta. La distinzione però è quanto mai difficile, perche´ la differenza tra il provvisorio e il definitivo può essere opinabile. La nozione è relativa e bisogna quindi guardare alle singole circostanze di tempo e di luogo: ad esempio uno spostamento all’estero, e cioè a località molto lontana, può restare provvisorio anche dopo un periodo abbastanza lungo di tempo, mentre uno spostamento in località relativamente vicina diventa definitivo molto prima. La differenza è sostanziale, perche´ nel caso di trasferta è dovuta la relativa indennità e magari anche il rimborso spese a pie’ di lista, mentre nel caso di trasferimento i contratti collettivi prevedono un’indennità una volta sola per un importo complessivo molto inferiore; in caso di trasferta il lavoratore ha diritto al rientro nella sede d’origine, mentre nel caso di trasferimento evidentemente questo diritto non esiste; infine, l’indennità di trasferta ha natura parzialmente restitutoria, mentre l’indennità di trasferimento ha natura retributiva. Si distingue ancora sia dalla trasferta che dal trasferimento il cosiddetto trasfertismo, che caratterizza il lavoro di chi è stato assunto proprio per svolgere la sua attività in luoghi sempre diversi, come ad esempio il viaggiatore e piazzista o l’autotrasportatore. Per tale caso la giurisprudenza aveva sempre affermato che le eventuali indennità corrisposte ai trasfertisti avevano natura integralmente retributiva e quindi andavano assoggettate per intero ai contributi previdenziali, su cui calcolare la pensione, e che inoltre le stesse indennità andassero computate come retribuzione ad ogni effetto contrattuale. Con un d.l. della fine degli anni ‘80 è stata tentata una parziale esenzione dai contributi previdenziali dell’indennità per trasfertisti, ma poi questo d.l. non è mai stato convertito in legge ed è quindi decaduto. Una normativa analoga è stata infine emanata con la l. 1o giugno 1991, n. 166, con una norma definita interpretativa e quindi, almeno apparentemente in via retroattiva. In base a questa normativa l’indennità di trasfertista è equiparata a quella di trasferta ai fini contributivi; ma i giudici hanno escluso la natura veramente interpretativa della normativa stessa ed hanno quindi affermato che la regola vale solo per il futuro (v. anche l’art. 4 quater della l. 17 marzo 1993, n. 63). Tuttavia, ai fini degli istituti contrattuali, dovrebbe restare la vecchia distinzione, e quindi l’indennità di trasferta ha natura solo in parte retributiva, mentre quella di trasfertismo (cioè dell’eterno itinerante) ha natura completamente retributiva e quindi si calcola su tutte le altre voci (ad esempio sul trattamento di fine rapporto). In astratto la trasferta non può essere rifiutata dal lavoratore. Si discute però se debba essere giustificata come trasferimento, secondo quanto dispone l’art. 13 dello statuto dei lavoratori; tuttavia, anche se questa normativa formale fosse applicabile, resterebbe comunque il fatto che la trasferta è indirizzata a soddisfare esigenze oggettive del datore di lavoro, il quale deve essere quindi in grado di provare la sua causa oggettiva; ed ovviamente sarebbe illegittima la trasferta disposta per motivi illeciti, ad esempio per allontanare dal suo posto di lavoro il sindacalista scomodo.
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