Oggetto dell’art. 629 c.p. che prevede il reato di estorsione è l’interesse all’inviolabilità del patrimonio e alla libertà di determinazione personale contro fatti di coercizione commessi mediante costrizione a fare od omettere per procurare all’agente o ad altri un ingiusto profitto con danno della parte lesa. Da notare che nell’ipotesi in cui l’estorsione sia compiuta da un soggetto che riveste la qualifica di pubblico ufficiale si ritiene che ricorra il diverso delitto di concussione. Soggetto passivo può essere tanto la persona che subisce direttamente la violenza o minaccia che quella, eventualmente diversa, che risulta essere titolare del patrimonio. Il nucleo centrale del delitto di estorsione è comunemente individuato in un’attività di coartazione della vittima, rispetto alla quale l’attenzione della dottrina e giurisprudenza si è indirizzata in particolare sulla minaccia che, statisticamente, è considerata la modalità prevalente nella condotta integratrice del delitto in parola. A questo proposito degno di rilievo appare un consolidato orientamento della Cassazione in base al quale la minaccia non richiede necessariamente la prospettazione di un male irreparabile alle cose e persone e tale da non lasciare nessuna libertà di scelta, essendo al contrario sufficiente la prospettazione di un male che, anche con riferimento alle circostanze che l’accompagnano, sia idoneo a far sorgere nella vittima il timore di un pregiudizio concreto. Indifferente è del pari la forma della minaccia che può quindi essere diretta o indiretta, palese o larvata, reale o figurata, determinata o indeterminata. Per quanto riguarda la violenza, essa può cadere su un soggetto diverso dalla vittima e può essere esercitata su cose oltre che su persone. Tanto la violenza che la minaccia devono costituire il mezzo per costringere la vittima a tenere un determinato comportamento, che in pratica si sostanzia sempre in un atto di disposizione patrimoniale. A questo proposito non vi è dubbio che tale atto possa concretizzarsi in un negozio giuridico, rispetto al quale si registrano due differenti orientamenti: da una parte vi è l’opinione di chi ritiene insussistente il reato anche nel caso in cui il negozio sia nullo, dall’altra si collocano coloro che operano una distinzione tra atti nulli e annullabili, ammettendo il reato solo per questi ultimi, in quanto temporaneamente produttivi di effetti giuridici. Riguardo all’ulteriore elemento del profitto c’è da rilevare che esso può consistere in una qualsiasi utilità , anche non patrimoniale, che rechi al soggetto attivo o ad altri un vantaggio. Dubbi sono viceversa sorti riguardo al requisito dell’ingiustizia dello stesso: la giurisprudenza è per lo più orientata nel senso di ritenere che il profitto è da considerarsi sempre ingiusto quando l’utilità in cui si concreta non è e non può ritenersi dovuta all’agente o ad altri. Secondo un’autorevole dottrina il requisito in esame si concretizzerebbe nel caso in cui il profitto sia conseguito con mezzi antigiuridici, con mezzi legali utilizzati per uno scopo diverso da quello per cui risultano concessi dall’ordinamento, o infine con mezzi il cui uso sia comunque contrario al buon costume. La consumazione del delitto di estorsione si ha nel momento e luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e l’altrui danno. Il tentativo è comunemente ammesso e si verifica quando alla violenza o minaccia non segua l’evento desiderato dall’agente. In ordine all’elemento soggettivo si discute se sia necessario o meno il dolo specifico: mentre, infatti, alcuni autori ritengono necessario quest’ultimo, in quanto il fine di procurare a se´ o ad altri un ingiusto profitto colorerebbe anche l’elemento soggettivo quale scopo dell’azione, per una diversa concezione sarebbe sufficiente il dolo generico, poiche´ la realizzazione di un profitto ingiusto con altrui danno altro non sarebbe che un elemento costitutivo del delitto in parola. Per l’estorsione sono previste le medesime circostanze aggravanti speciali applicabili al delitto di rapina. Per quanto concerne i profili distintivi rispetto al successivo delitto ex art. 630 c.p., si è rilevato in giurisprudenza che essi si sostanzierebbero nel differente mezzo usato (il sequestro di persona), nella finalità specifica di conseguire il prezzo della liberazione e nel momento consumativo, che nel sequestro di persona a scopo di estorsione è indipendente dal conseguimento del profitto.
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