L’interesse di ciascun proprietario a ricevere aria e luce dalle finestre del proprio edificio o a fruire della vista del panorama è in conflitto con l’interesse del vicino a non trovarsi esposto a sguardi indiscreti. La legge distingue fra luci e vedute; sono luci le aperture nel muro che danno passaggio alla luce e all’aria, ma non consentono di affacciarsi sul fondo del vicino; sono vedute (o prospetti) quelle che, invece, consentono di affacciarvisi e di guardare di fronte; obliquamente o lateralmente (art. 900 c.c.). Alla duplice definizione legislativa, tanto delle luci quanto delle vedute, fa seguito la norma secondo la quale l’apertura che non ha i caratteri della veduta è considerata luce (art. 902 c.c.); sicche´ la nozione legislativa che conta è quella della veduta, dovendo considerarsi luce quella che non presenta i caratteri della prima. Questi caratteri vengono tradizionalmente identificati nella possibilità , che la veduta offre, di inspicere et prospicere in alienum o, come oggi si esprime la giurisprudenza, di sporgere il capo all’esterno e di vedere l’immobile del vicino. A loro volta le vedute si distinguono in dirette e laterali o oblique: la distinzione si basa sulla direzione dello sguardo, essendo dirette quelle che consentono di vedere il fondo del vicino senza dovere voltare il capo. Per le luci che si aprono sul fondo del vicino non sono prescritte distanze minime dal confine; tuttavia, l’art. 901 c.c. prescrive che esse debbono essere munite di inferriate e grate fisse (per garantire la sicurezza del vicino) e debbono (per proteggere il vicino da sguardi indiscreti) essere collocate ad una altezza dal pavimento o dal suolo del vicino di almeno due metri e mezzo, se al piano terreno, o di due metri, se ai piani superiori. Le vedute dirette debbono essere aperte ad una distanza di almeno un metro e mezzo dal confine (art. 905, comma 1o, c.c.), e la stessa distanza è imposta per balconi, terrazze e simili, se muniti di parapetto che permettano di affacciarsi sull’immobile del vicino (art. 905, comma 2o, c.c.); le vedute laterali o oblique debbono essere tenute a settantacinque centimetri (art. 906 c.c.). Se fra i fondi vicini intercorre una strada pubblica, queste prescrizioni vengono meno (art. 905, comma 3o, c.c.). Il vicino che abbia il diritto di costruire in aderenza o di ottenere la comproprietà del muro (v. distanze legali), può accecare le luci (art. 604 c.c.); non può , invece, chiudere le vedute dirette: se la costruzione del vicino è dotata di tali vedute, egli dovrà costruire alla distanza legale di tre metri. Il principio è formulato dall’art. 907 c.c. per l’ipotesi in cui il vicino ha acquistato il diritto di avere vedute dirette: ed un tale diritto si acquista se si è aperta la veduta a un metro e mezzo dal confine, a norma dell’art. 905 c.c.. La prescrizione vale per qualsiasi costruzione, compreso a questi effetti anche il muro di cinta, e vale altresì per gli alberi che siano tali da impedire la vista. A differenza delle distanze fra costruzioni, che sono imposte anche a tutela di pubblici interessi, quali salubrità , sicurezza, le distanze prescritte per le vedute sono a protezione solo di interessi privati. Si possono, perciò , concedere in deroga alle norme ora considerate servitù (v.) di prospetto, tali da attribuire il diritto di cui all’art. 907 c.c. anche se non si osserva l’art. 905 c.c.. Per la stessa ragione non valgono qui le maggiori distanze previste dai regolamenti comunali per le distanze fra costruzioni.
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