Il servizio militare del lavoratore era causa di risoluzione del contratto di lavoro in virtù del primo comma dell’art. 2111 c.c.. Tale disposizione risulta abrogata dal d.leg. 13 ottobre 1946, n.303, che ha stabilito il principio della sospensione (non già risoluzione) del rapporto di lavoro per il lavoratore militare, ma a condizione che costui fosse alle dipendenze dell’imprenditore da almeno tre mesi. La esclusione della tutela dei dipendenti con meno di tre mesi di servizio deve ritenersi superata dal disposto dell’art. 52 Cost. secondo cui il servizio militare del lavoratore non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino (in questi termini, del resto si è pronunziata anche la Corte Costituzionale). Infine la l. 3 maggio 1955, n. 370, ha esteso la regola della conservazione del posto di lavoro a tutti i lavoratori richiamati alle armi. Cessato il servizio militare del lavoratore il lavoratore congedato deve porsi a disposizione del datore di lavoro nei trenta giorni successivi (o nei termini stabiliti dai contratti collettivi). In mancanza il rapporto di lavoro è risolto. La l. n. 370 del 1955 stabilisce inoltre che il lavoratore richiamato alle armi non può essere licenziato prima che siano decorsi tre mesi, salvo che per giusta causa. A favore del lavoratore richiamato alle armi è prevista una apposita cassa costituita presso l’Inps (che versa, per i primi due mesi, una indennità mensile pari alla retribuzione, e, successivamente, pari alla eventuale differenza tra la stessa e il trattamento economico militare, ove questo sia inferiore: art. 1 l. 10 giugno 1940, n. 653). Tale garanzia è stata estesa anche agli operai. Nulla dice, invece, la legge per quanto riguarda le prestazioni economiche a favore dei lavoratori chiamati alle armi per servizio di leva.
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