Enciclopedia giuridica

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Chiamata di terzo

Locuzione con cui si indicano, genericamente, i due modelli legali di intervento (v.) di terzo nel processo di cognizione c.d. coatti, con tale ultimo termine giustapponendosi questi a quello volontario (v.), in ragione della provenienza dell’iniziativa per la partecipazione del terzo al processo pendente fra altre parti. Nelle due ipotesi di chiamata di terzo, infatti, il terzo viene citato in giudizio da una delle parti originarie, per iniziativa di quest’ultima ovvero in adempimento ad uno specifico ordine del giudice, comunque indipendentemente dalla volontà del terzo stesso, laddove nel modello volontario l’iniziativa per l’intervento è da lui liberamente assunta. Con riferimento alla provenienza dell’iniziativa per la partecipazione del terzo al processo si distinguono le due figure di chiamata di terzo che seguono.

chiamata di terzo per ordine del giudice (o iussu iudicis): è l’ipotesi prevista dall’art. 107 c.p.c., che concede al giudice la facoltà di ordinare l’intervento del terzo, qualora reputi opportuno che il processo si svolga anche in suo confronto, essendogli comune la causa pendente fra le parti originarie. I principali problemi che l’istituto in parola pone sono, da un lato, la determinazione del significato della espressione causa comune, di cui fa uso l’art. 107 c.p.c.; dall’altro l’à mbito di operatività dell’istituto, soprattutto per ciò che concerne la sua parziale deroga al c.d. principio dispositivo (v.). In relazione al primo di tali problemi, esiste contrasto fra chi reputa che per comunanza di cause debba intendersi semplicemente una loro connessione (v.) oggettiva, e cioè l’identità di almeno uno degli elementi costitutivi dell’azione (titolo od oggetto), e chi, al contrario, postula un quid pluris rispetto ad essa, dato da un rapporto di connessione particolarmente qualificato, che si estrinsechi nella comunanza di entrambi gli elementi suddetti. Per ciò che concerne la seconda problematica, poi, si sostiene la compatibilità della chiamata di terzo con il principio dispositivo, in ragione degli indubbi vantaggi che da essa derivano, tanto sul piano dell’economia dei giudizi, quanto su quello dell’effettività della tutela giurisdizionale, nei tre casi nei quali l’ istituto è stato reputato utilmente applicabile, vale a dire le ipotesi degli accertamenti alternativi, pregiudiziali e dipendenti. La chiamata di terzo può essere ordinata dal giudice istruttore (v.), in ogni momento del giudizio di primo grado, con conseguente onere delle parti di citare il terzo per l’udienza all’uopo fissata. Nel caso in cui non vi provvedano, al giudice è fatto obbligo di disporre la cancellazione della causa dal ruolo (v.) (art. 270 c.p.c.).

chiamata di terzo su istanza di parte: ciascuna delle parti originarie del giudizio può, reputandolo utile sulla base delle allegazioni della controparte, chiamare un terzo nel processo, qualora la causa sia a questi comune o da questi la parte che opera la chiamata di terzo pretenda di essere garantita (art. 106 c.p.c.). Possono distinguersi, così, due distinte specie dell’istituto in esame: la chiamata di terzo chiamata di terzo semplice e quella c.d. in garanzia. Per ciò che concerne la prima ipotesi si ripresenta la problematica, affrontata alla precedente voce, circa il concetto di comunanza di cause. Quanto alla chiamata di terzo in garanzia (che può essere propria o impropria), qualora il garante si costituisca in giudizio ed accetti di assumere la causa in luogo del garantito, quest’ultimo può domandare la propria estromissione (v.) dal giudizio. La chiamata di terzo chiamata di terzo è sottoposta dalla legge a rigidi termini preclusivi, che coincidono con la fase introduttiva del giudizio (art. 269 c.p.c.); decorso tale momento, alle parti è preclusa la possibilità di chiamare un terzo in causa, che solo può intervenire volontariamente o per ordine del giudice. Le modalità di costituzione in giudizio del terzo chiamato, che sono le medesime previste per l’ipotesi della chiamata di terzo iussu iudicis, sono disciplinate dall’art. 271 c.p.c..


Cheque      |      Chiamato all’eredità


 
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