L’udienza preliminare (v. udienza, non luogo a procedere preliminare) che si tiene davanti al G.i.p. a seguito dell’esercizio dell’azione penale da parte del p.m. ex art. 405 c.p.p., si può concludere: 1) con il decreto che dispone il giudizio, in base all’art. 429 c.p.p., e conseguente passaggio alla fase del giudizio vero e proprio; 2) con la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. in questo secondo caso, l’udienza preliminare rappresenta anche l’esito finale del procedimento, ritenendo il G.i.p. che: a) il reato sia estinto; b) l’azione penale sia improcedibile; c) il fatto non costituisca reato; d) il fatto non sia previsto dalla legge come reato; e) il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso; f) la persona non è imputabile o non punibile per altri motivi. Sia la fase procedimentale in cui può avere luogo, sia i motivi specifici che ne possono costituire il contenuto, comportano che contro le sentenze di non luogo a procedere siano esperibili, oltre che i mezzi di impugnazione ordinari e straordinari previsti per tutte le sentenze, anche quello, previsto soltanto in questo caso, della revoca: in tal caso il p.m. richiede al G.i.p. la revoca della sentenza di non luogo a procedere se sopraggiungono nuove prove che da sole o unite alle altre possano determinare rinvio a giudizio, allegando appunto le nuove prove e la richiesta di rinvio a giudizio.
Non liquet | | | Non menzione della condanna |