Costituisce l’applicazione al processo della norma eticolealtà e probità delle partigiuridica dell’honeste vivere, impedendo quegli atti, processualmente illeciti, che la legge respinge con appositi istituti che involgono non soltanto le parti ma tutti coloro che partecipano al processo: giudice (artt. 55, commi 1o, 2o); cancelliere o ufficiale giudiziario (art. 60); consulente (art. 64); p.m. (art. 74); testimone (art. 256). Per quanto riguarda le parti, queste non devono usare espressioni sconvenienti ed offensive (art. 89), agire o resistere in giudizio con malafede o colpa grave (art. 96), eccedere nelle spese di lite (art. 92), affermare al giudice fatti non veri od occultargli ciò che potrebbe servire a scoprire la verità (art. 117), tenere in udienza contegno scorretto (art. 129). La trasgressione del dovere di lealtà e di probità espresso dall’art. 88 c.p.c. giustifica, ai sensi dell’art. 92, comma 1o, c.p.c., la condanna, indipendentemente dalla soccombenza di una delle parti (e quindi, eventualmente, anche a carico della parte che all’esito finale della lite risulta vittoriosa) al rimborso delle spese processuali, anche non ripetibili, che la medesima, con il proprio comportamento, abbia causato alla controparte. All’infuori dei casilealtà e probità delle partilimite elencati sopra, l’obbligo di agire con lealtà e probità non ha altra sanzione che quella di disciplinare oltre al diritto del giudice di trarre argomenti di prova dal comportamento della parte (art. 116).
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